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Quello che le donne non dicono

Se non ora quando? Ora so che le donne che si candidano a governare l’Italia hanno già messo a frutto le pratiche politiche e le riflessioni maturate in tanti anni di femminismo spesso disprezzato e negato.

di Pina La Villa - martedì 12 luglio 2011 - 2893 letture

Siena, otto e nove luglio 2011: Se non ora quando?

Fiumi di parole e immagini di donne. La mattina dell’8 luglio le parole sul senso dell’incontro, il pomeriggio le narrazioni e i desideri, il giorno dopo le parole per organizzarsi. Parole vecchie e nuove, parole per comunicare, raccontare, confermare un tacito impegno preso da tutte nello stupore della grande partecipazione alle manifestazioni del 13 febbraio in tutte le città d’Italia.

Per queste parole rimando al blog di senonoraquando

e al dossier che stiamo costruendo su girodivite, aperto dall’articolo di Rosangela Pesenti.

Io voglio parlare di quello che ho visto, perché a Siena sono andata per vedere e capire, e ho notato soprattutto l’organizzazione e quello che le donne facevano, i loro comportamenti, le reazioni.

Perché l’organizzazione è già politica e perchè i dettagli svelano.

All’arrivo al prato Sant’Agostino mi accoglie la canzone di Nada, “Ma che freddo fa”.

E poi, dopo Nada, tanta altra musica. La colonna sonora di questi giorni è bellissima, apre e chiude gli incontri, ci fa ballare, ci emoziona, ci unisce e unisce le generazioni. Ci sono tante cinquantenni ma anche molte trentenni e qualcuna anche più giovane. (Ampiamento rappresentato è il ceto medio colto, quello che, come diceva Paul Ginsborg, aveva reagito a Tangentopoli nel 1992. la cosiddetta società civile).

E’ presto, c’è aria di festa, ho tempo di occupare una delle 1200 sedie predisposte per l’incontro.

Mi aggiro per i tavoli dell’organizzazione. C’è il buffet - caffé, succo d’uva, dolci – serve per l’autofinanziamento. Ma l’acqua no, non si paga. L’acqua dev’essere di tutti. Abbiamo fatto un referendum, dicono orgogliose le volontarie (che hanno passato due giorni a riempire brocche piene d’acqua e a portarle ai tavoli, e non dev’essere stato facile).

Ho poi scoperto il punto G (sì, proprio come la rubrica di girodivite), una postazione con un computer fra la piazza e l’androne del Liceo che ha ospitato l’incontro per le parti “coperte”, in cui era possibile registrare il proprio intervento audio per postarlo subito sul blog di senonoraquando, e uno spazio in cui con l’aiuto di fili e mollette si potevano lasciare anche i propri messaggi cartacei.

Ecco, a me è bastato questo, la musica, le brocche d’acqua e il punto G, per sapere che ero nel posto giusto.

Ora, al di là delle parole,che sono poi arrivate puntuali da tutti gli interventi, so che le donne che si candidano a governare l’Italia chiedendo fra l’altro che la rappresentanza sia più ampia, hanno già messo a frutto, e si spera non le dimenticheranno, le pratiche politiche e le riflessioni maturate in tanti anni di femminismo spesso disprezzato e negato.

Gli interventi introduttivi sul palco sono stati rigorosamente in coppia, per dare il senso di un lavoro comune, perché è importante per le donne saper lavorare insieme, solidarizzare. In molti casi così è stato anche nel pomeriggio, per gli interventi delle singole e dei comitati.

Relazioni scritte, perché devono lasciare traccia e perché preparate, meditate, frutto di attenzione per chi deve ascoltare.

E infatti l’attenzione è stata massima, malgrado il caldo, la luce estiva e il clima di festa.

Anche i commenti durante gli interventi di Rosy Bindi, Livia Turco, Giulia Bongiorno sono stati meditati, puntuali.

Anche loro, come tutte, hanno avuto tre minuti per parlare. E sono bastati. Bastano, se si hanno le idee chiare. Il minutaggio non è stato imposto solo dall’elevato numero di partecipanti, è stata anche una scelta precisa, di rifiuto dei discorsi fiume, spesso autoreferenziali e inconcludenti, che molte di noi hanno sentito in altri luoghi della politica.

Certo, dopo 55 interventi ascoltati in un caldo pomeriggio di luglio, l’effetto può essere una leggera confusione, ma il quadro della realtà delle donne italiane e del loro impegno politico quotidiano sul territorio, è chiaro.

Da Actionaid a Punto G 2011 (Genova 11 anni dopo), dalla rete delle donne antiviolenza di Perugia all’UDI, dall’associazione “Donne di carta” a “Officina”, che si occupa degli stereotipi di genere, dalla rappresentante della Rete degli studenti alle archeologhe precarie, al comitato di Siracusa che nasce dal Movimento 100 donne, e poi “Donne 2005” di Sassari, Arcidonna Sicilia, Associazione “Di nuovo” di Milano, Associazione Orlando, e poi la rete, con Le Filomene e tante altre. Come si vede si tratta di un impegno che viene da lontano, a cominciare dagli anni Settanta per finire ai comitati nati dopo il 13 febbraio, un impegno sotterraneo e misconosciuto, ma efficace.

Tre minuti ciascuna anche per rifiutare l’ordine gerarchico, l’ordine patriarcale. Sì, è faticoso, forse non sempre limpido, ma oggi è il messaggio che conta. La forma e la sostanza coincidono. Nuove parole sì - e su molte l’accordo è diffuso - ma se le parole devono ritrovare il loro significato, se devono essere autentiche, allora accanto alle nuove parole ci devono essere nuovi metodi.

Nelle parole di Serena Sapegno e di Titti De Simone, le conclusioni dell’incontro di Siena:

Serena Sapegno: un altro passo è stato fatto, ora occorre cercare di far pesare la forza che, da tanti anni, abbiamo messo in moto. La forza sta nel mettere insime singole e associazioni che esprimono differenze che vanno riconosciute e valorizzate. Abbiamo inoltre messo in moto aspettative, le domande nuove da parte di nuovissime aggregazioni di donne devono trovare risposte. Non possiamo sottovalutare però le difficoltà oggettive di far pesare sulla scena pubblica la forza delle donne, soprattutto negli ultimi anni. Le tante associazioni non hanno scambiato le loro esperienze, non hanno fatto massa critica.

Da qui il desiderio di unirsi. Il progetto è quello di rilanciare un grande movimento delle donne, che è necessario a noi e all’Italia.

Titti De Simone: c’è bisogno delle donne qui ed ora, in questo momento politico. Un patto fra donne su obiettivi condivisi. Qui non nasce un partito, anche se non siamo nemiche né dei partiti né delle istituzioni. Nasce un movimento fondato su un un nuovo patto fra le donne, una rete stabile, aperta, che realizzi circolarità, incontri periodici. Il comitato promotore del 13 febbraio avrà un ruolo funzionale, le reti saranno in realzione fra loro e col comitato nelle forme che sceglieranno.

La proposta organizzativa prevede il suo punto forte nella rete individuando il ruolo politico della comunicazione telematica. Con i blog, e con facebook e twitter, abbiamo raggiunto le singole, quelle che non facevano e non hanno mai fatto attività politica e che però vivevano il disagio, dice Elisa Davoglio, che si occupa del blog e di Punto G.

Il movimento delle donne, che in Italia è stato sempre forte, rinasce e si organizza per contare in un momento particolarmente difficile della nostra storia, forse così difficile proprio perché è mancato il loro contributo. (Ma uno striscione diceva "Non siamo mai state zitte, semmai inascoltate").

Sì, tutto questo va bene, ed è largamente condiviso. Ma per capirne di più torno ancora ai gesti, a quello che le donne non dicono, ma sanno e fanno.

Domenica, ultimo incontro, nella piazza stracolma sotto il sole di mezzogiorno, interviene Lidia Menapace (vedi chi è Lidia Menapace su Wikipedia). Tutte e tutti in piedi, un applauso che non finisce più.

Non è un omaggio all’età, è l’omaggio alla coerenza, alla intelligenza e alle battaglie che hanno visto Lidia Menapace protagonista dalla Resistenza (giovanissima partigiana) ad oggi. Parla a nome dell’associazione nazionale partigiani (ANPI) e l’applauso più fragoroso è alla fine del suo discorso, non solo quindi per quello che lei rappresenta ma per quello che ha detto, e che al di là di tutte le parole, è la storia profonda e il desiderio che circola fra le donne (tantissime) e gli uomini (numerosi) presenti.

Ci tiene a sottolineare che il suo non è un semplice saluto, che ha sempre pensato che in questo movimento occorre assolutamente esserci ma occorre capire ancora alcune cose, in particolare cosa significa trasversalità, quanto il movimento deve “includere” ( il riferimento è all’intervento di Giulia Bongiorno) e soprattutto che prima o poi occorrerà parlare o riparlare di lavoro di riproduzione, e fare i conti col capitalismo e le conseguenze che produce sulle nostre vite. Ma il richiamo iniziale è al primo articolo della nostra costituzione, all’importanza della res pubblica contrapposta al privato (che, ci ricorda, in greco vuol dire idiota).

E l’applauso è spontaneo, dalle viscere di un movimento che può e deve essere inclusivo ma che ha le sue radici e la sua ragion d’essere nella nostra Costituzione antifascista e nelle idee che, nella storia italiana, hanno unito il femminismo e le lotte sociali.

Un applauso che è stato come la presentazione della carta d’identità del movimento, un applauso con cui il nuovo patto fra le donne è stato ratificato ritrovando le ragioni ideali delle sue radici per affrontare le sfide di oggi.


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