Quelli che…..MILAN INTER ’63. La leggenda del Mago e del Paròn
Viaggio nelle mostre estive di Palazzo Reale a Milano. 1° puntata
di
Orazio Leotta
- lunedì 22 luglio 2013
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Milano rappresenta nell’immaginario collettivo l’emblema del boom economico italiano degli anni ’60. Da ogni parte del meridione, dal nord-est, dalla Sardegna ci fu un flusso migratorio verso il capoluogo lombardo perché Milano ti dava il pane, se lavoravi onestamente potevi dare una svolta alla vita della tua famiglia. Milano era sinonimo di Breda, Campari, Redaelli, Falck, Borletti, Sit-Siemens, Alfa Romeo etc. (Jannacci ad esempio cantava “Vincenzina e la Fabbrica”).
E poi la Borsa valori, la Fiera. Una Milano che lavorava sodo, ancora lontano dalle dissipatezze di quell’altra solo “da bere”, ma anche una Milano che amava divertirsi, che si radunava al Vigorelli per la Sei Giorni ciclistica a vivere i duelli tra Maspes e Sacchi, che viveva gli esordi dei vari Celentano, Jannacci, Pozzetto, Gaber. Una Milano che fu set cinematografico di “Rocco e i suoi fratelli” con Luchino Visconti che colse i patemi di ciò che voleva dire emigrare. Era la città dove s’incontravano le intellighenzie dei vari Montanelli, Viola, Buzzati, Montaldi, Mulas. In mezzo a tutto ciò Milano diventa la capitale anche del calcio e lo diventa soprattutto per merito di due grandi personaggi, molto diversi tra loro, ma ognuno capace di valorizzare al massimo le risorse umane a disposizione e di condurre nel 1963 l’uno, Nereo Rocco, il Milan in cima all’Europa nella mitica finale
di Wembley quando la doppietta di Altafini stese il Benfica di Eusebio; l’altro, Helenio Herrera, al terzo tentativo, di condurre l’Inter all’ottavo scudetto della sua storia. E da lì in avanti, tra i due, fu un susseguirsi di memorabili sfide sul campo, ai microfoni di radio e TV o davanti a tavole imbandite che caratterizzarono tutti gli anni ’60 passati agli annali, in Italia, nell’Europa e nel mondo, come anni di dominio della Milano rossonerazzurra.
Helenio Herrera, nato nel 1910 da genitori spagnoli emigrati in Argentina, si trasferisce a Casablanca in Marocco all’età di sette anni. Qui cresce brado tra le palafitte e i terreni sabbiosi del deserto nord-africano; dà i primi a calci al pallone e la sua fame di arrivare, di uscire dalla miseria, lo fa impegnare oltremisura tanto da esordire nel massimo campionato marocchino e poi in diverse squadre francesi disputando finanche una finale di Coppa di Francia. Angelo Moratti lo chiamò all’Inter nel 1960: il suo palmares da allenatore era convincente: 2 scudetti con l’Atletico Madrid e 2 col Barcelona, più coppe varie. Il suo “tacalabala” un misto di veneto-ispanico, divenne il suo marchio di fabbrica; ai giocatori impose il “giuramento del pallone” prima di ogni gara e i corridoi della “Pinetina” furono arredati con cartelloni che incitavano a dare sempre il massimo ed a far crescere in ognuno l’autostima. Atteggiamento da “Conducator”, piglio da Caudillo, Herrera ha il merito di avere dato il giusto valore alla figura dell’allenatore, fino ad allora definito un semplice selezionatore oltre che portaborse. Egli, così come anche Rocco, diede l’idea che un allenatore può determinare i risultati di una squadra ed essere forse più importante dei giocatori stessi, che divenivano a quel punto intercambiabili. Diverse le origini dell’austro-ungarico
Nereo Roch (il cognome fu italianizzato in Rocco), benestante di famiglia, i genitori conducevano un’avviata macelleria che riforniva di carni le navi in partenza dal porto di Trieste. Come calciatore, a differenza di Herrera, era molto dotato, giocò col Napoli e con la Triestina ed esordì in Nazionale e la sua carriera si interruppe sul più bello solo per l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Mentre Herrera parlava perfettamente spagnolo e francese, abbastanza l’arabo e l’inglese e imparò in fretta l’italiano, Rocco si esprimeva solo in dialetto triestino.
I suoi atteggiamenti da finto burbero, da buon padre di famiglia, molto legato ai “senatori” ma con un occhio attento ai più giovani era considerato dai calciatori come un secondo padre o un fratello maggiore. Faceva la doccia assieme ai giocatori, e per dare l’esempio beveva il vino nelle bottigliette di Coca Cola per non dare nell’occhio……L’Inter di Herrera vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali; il Milan di Rocco due scudetti, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe e tre Coppe Italia. Il compianto Gianni Brera ne cantò le lodi di entrambi, del Mago Herrera e del Paròn Rocco; egli stesso era compagno di bisbocce di Rocco, Nicolò Carosio, Beppe Viola e tanti grandi di allora che davano al “pallone” una dimensione più sana, a misura d’uomo, disincantata e capace di sdrammatizzare. Come soleva rispondere il Paròn quando gli veniva pronunciato il decoubertiniano “Vinca il Migliore!!”: “Ciò, speremo de no!!!”
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