Quelle scuse in TV
In questo caso è andato in scena il “politicamente corretto in salsa feudale”. Il Ministro ha chiesto scusa in quanto politico-ministro e in quanto uomo...
Ministri
Il Ministro della cultura Sangiuliano ha chiesto “scusa” a moglie e Premier Meloni per il flirt con la Boccia nominata dal ministro “Consigliere per i grandi eventi”. L’atmosfera di decadenza della politica italiana assume aspetti tragicomici, ciò malgrado non si deve cadere nella banalizzazione o nel facile sorriso; in questi decenni troppo spesso sono stati sottovalutati episodi di tal genere dall’opinione pubblica, essi, invece, sono l’espressione del nichilismo della politica. In questo caso è andato in scena il “politicamente corretto in salsa feudale”. Il Ministro ha chiesto scusa in quanto politico-ministro e in quanto uomo.
Ancora una volta è andata in scena, si ipotizza, la colpa ontologica: essere uomini-maschi. Nella cornice storica in cui siamo, bisogna dimostrare e rassicurare di essere “uomini nuovi”; il ministro ha chiesto scusa nella TV di Stato, pagata con soldi pubblici, per questioni private. Ha chiesto scusa alla moglie per il legame con la Boccia, a cui si aggiungono le scuse alla Premier. Ora qualora abbia utilizzato soldi pubblici o abbia mancato ai suoi doveri perché distratto da “altro”, le scuse dovrebbero essere poste al popolo. Le scuse alla Premier odorano di investitura feudale tradita. Ha ricevuto l’investitura di ministro, ha tradito la fiducia della Premier e ancora una volta, è in primo piano il rapporto triangolare di scusa e sudditanza a logiche private del potere rese pubbliche mediante la TV di Stato. Il popolo in tutto questo è soggetto passivo, è semplicemente lo spettatore di un mondo distante, in cui le questioni private sembrano avere la priorità sul servizio ministeriale.
Il caso Sangiuliano è la sintesi di un potere sempre più neofeudale che si colora di postmodernismo con l’uomo che chiede scusa per aver mancato ai suoi impegni matrimoniali. In realtà, se andiamo oltre l’aspetto fenomenico, l’elemento postmodernista può essere riassorbito perfettamente nella logica della sudditanza feudale. Nella TV di Stato è andata in onda la crisi della democrazia e della sovranità popolare; il potere è autoreferenziale e gerarchico; il popolo assiste ormai abulico all’ennesimo teatrino, in un momento storico difficilissimo per guerre, crisi delle identità patrie e logoramento della cultura nazionale assediata dal modello anglofono. Si spera che vi sia una indagine sulle spese; la fiducia della Premier al ministro non ha valore sacro, bisognerebbe accertare che non siano stati usati fondi statali e questo è l’unico dato che al popolo dovrebbe interessare.
Inutile rilevare che la Destra dovrebbe testimoniare la difesa dei valori tradizionali, ma il nichilismo non conosce valori… Un ultimo dubbio, ma è solo tale, se al posto di Sangiuliano ci fosse stata una donna ad essere “similmente protagonista” probabilmente le scuse non sarebbero state pubbliche, in quanto le donne non devono dimostrare di essere “donne nuove”; la trasformazione è richiesta solo agli uomini. Resta un dato su cui non riflettiamo mai sufficientemente la parola “ministro” deriva dal latino “minister -stri «servitore, aiutante», der. di minor agg., minus avv. «minore, meno»”.
I ministri sono i servitori del popolo, sono pagati dal popolo e dovrebbero rappresentarlo e ad asso rendere conto nella realtà, di tutto questo da decenni non c’è traccia. Essi dovrebbero essere dei punti di riferimento etico e politico. L’aver accettato la merizzazione di tutto ha portato al vuoto siderale del nostro tempo. Siamo diventati plebe, in quanto non osiamo più chiedere a ministri e a rappresentanti del popolo che antepongono gli interessi privati al benessere del popolo. Le lacrime dei ministri dovrebbero essere per il popolo e per coloro che vivono quotidianamente la fatica di vivere che diviene fastidio per la vita. Se parlassero con i precari e con i migranti capirebbero il morso del dolore di coloro che non hanno tempo per gli amori, perché devono sopravvivere spesso da soli. Il realismo disincantato ci induce a tenere la testa bassa, dovremmo reimparare ad alzarla per pensare un’altra realtà e la prassi per ottenerla. Ancora una volta i classici ci donano parole che ci consentono di uscire dalla palude della mediocrità in cui siamo impantanati, Eraclito ci ricorda una verità eterna:
“Bisogna volere l’impossibile, perché l’impossibile accada”
La decadenza è nel disincanto che come un veleno ci abitua ad una politica mediocre e senza prospettive, pertanto è arrivato il momento di pensare l’impossibile; è l’unico modo per avere una vita semplicemente umana. L’emancipazione è nel congedo politico ed etico dalle miserie che il dominio vorrebbe “venderci come quotidiana normalità”. Solo riappropriandoci del senso dello scandalo possiamo riconquistare la sovranità popolare.
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