Quel rumore di chiavi che rompe un lungo silenzio
Femminicidio. Un fatto individuale o sociale? E Intanto le donne continuano a essere uccise.
Viene da chiedersi come in Italia il numero di femminicidi sia minore rispetto a Paesi meno sentimentalistici come la Svezia, sottovalutando che la violenza di genere si può manifestare anche in assenza di gelosia o possesso. Dati a parte, quando le donne subiscono dei crimini sullo sfondo spesso c’è una cittadina o un sobborgo dove i giovani frequentano la stessa compagnia e la fine di una relazione, specie per un uomo, può implicare uno smacco anche con la comunità. E forse anche quei retaggi di patriarcato, di cui tanto adesso si parla, pesano in quei contesti di ruoli che si tramandano nella gestione delle attività di famiglia, magari a conduzione femminile ma sulla base di un potere decisionale maschile: un sistema sociale che in passato ha avuto anche una sua funzione di unità famigliare da cui scelte coraggiose come quella di opporsi compattamente al fascismo (il caso dei fratelli Cervi), o di creare occupazione e benessere (il caso degli Olivetti, dei Crespi) ma rigido nella divisione dei ruoli con la cura della casa, dei figli e degli anziani, affidata alle donne: ruoli che si sono perpetuati a livello di prassi sempre più incompatibile con i cambiamenti in corso. Questo, in parte, spiegherebbe l’alto numero di femminicidi nei Paesi più moderni perché anche in Svezia si viene dal patriarcato e ancora non si accetta che le donne, già da tempo, si sottraggano a ruoli predefiniti.
In Italia i residui di un’insieme parentale che fa riferimento al più anziano, e a chi poi gli succederà, si spiegano anche con un’economia tuttora basata sulla piccola impresa, spesso a gestione famigliare. Ora, tra matrimoni che si disfano, padri incapaci, professionalmente frustrati, primogeniti in giro per il mondo, la crisi di un patriarcato per certi aspetti mai estinto si traduce in senso di fallimento, rabbia, da cui le conseguenze tragiche anche in ambiti di benessere e apparente serenità.
Solo da poco si inizia a distinguere femminicidio da delitto generico riconoscendo la premeditazione in quasi tutti i casi. Il numero delle donne che vengono uccise, aggredite, spaventa tutte e tutti perché ognuno ha delle amiche (se non delle figlie, delle sorelle, delle nipoti). Gli uomini sembrano ora disposti a riflettere sul loro passato senza escludere di aver avuto comportamenti maschilisti (seppure non violenti). Partecipano numerosi alle manifestazioni agitando le chiavi; anche quelli che da giovani sfottevano le femministe. Ed è sconveniente che, in un momento in cui, sulla scia dell’emergenza uomini e donne si uniscono mettendo da parte antichi rancori, si venga a creare un gap tra chi sostiene il femminicidio un problema individuale, di ineluttabile propensione al male, e chi culturale, sociale, che coinvolge lo Stato. Di fatto non esistono i presupposti di schieramento (...se non politici) tra modi pensare che non sono così opposti: ritenere chi aggredisce una donna responsabile di se stesso non esclude che in lui abbiano inciso esempi di sopraffazione maschile mentre diventava adulto. Così come attribuire delle responsabilità allo Stato non significa sottovalutare componenti di disagio psichico in chi decide di uccidere; piuttosto sottolineare l’inefficienza degli apparati per la pubblica sicurezza e le complicanze di un sistema economico che costringe una donna a convivere con un uomo violento perché altrimenti non ha dove andare, di che sostenersi.
La situazione è complessa ma occorre scindere interventi di prevenzione attraverso l’educazione al genere da quelli di protezione dove episodi di violenza già sono annunciati. Questi ultimi sono più impegnativi perché oltre alla macchina pubblico/amministrativa coinvolgono quella burocratica, legale, ma sono anche gli unici ora in grado di diminuire le aggressioni. Molte sono le donne che avrebbero potuto e che potrebbero salvarsi attraverso operazioni di polizia tempestive (a seguito di segnalazioni giunte ad operatori specializzati) e lo scioglimento di nodi giuridici che impediscono di intervenire per tempo: un’opportunità di rinnovamento per chi adesso rappresenta lo Stato. Mettendo da parte appartenenze politiche nonché idee personali di famiglia, nazione, religione: la protezione del più debole va oltre a tutto ciò.
Questo articolo è pubblicato anche da Fana.one.
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