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Quando ancora Girodivite non c’era

raccontare:permanente azione di retroguardia contro la permanente vittoria della volgarità e della stupidità.

di Pina La Villa - lunedì 24 maggio 2004 - 3624 letture

24 maggio 2004

"Come i cammelli attraversano il deserto, i racconti attraversano la solitudine della vita, offrendo ospitalità all’ascoltatore o cercandola. Il contrario di un racconto non è il silenzio o la meditazione, bensì l’oblio. Sempre, sempre, fin dall’inizio, la vita ha giocato con l’assurdità. E poiché l’assurdo è il padrone del mazzo di carte e del casinò, la vita non può far altro che perdere. Eppure, l’uomo compie delle azioni, spesso coraggiose. Tra quelle meno coraggiose, ma nonostante questo efficaci, c’è l’atto del raccontare. Questi atti sfidano l’assurdità e l’assurdo. In che cosa consiste l’atto del raccontare? Mi sembra che sia una permanente azione di retroguardia contro la permanente vittoria della volgarità e della stupidità. I racconti sono una dichiarazione permanente del vissuto in un mondo sordo. E questo non cambia. E’ sempre stato così. Ma un’altra cosa che non cambia è il fatto che di tanto in tanto si verificano dei miracoli. E noi conosciamo i miracoli grazie ai racconti."

(Jonh Berger, da: Il cinico non è adatto a questo mestiere : Conversazioni sul buon giornalismo / Ryszard Kapuscinski ; a cura di Maria Nadotti. - Milano : Edizioni e/o, 2002)

Gli anni Novanta Sabato, 23 maggio 1992

La strage di Capaci nel ricordo di chi l’ha compiuta, dal libro "Ho ucciso Giovanni Falcone : la confessione di Giovanni Brusca" / Saverio Lodato. - Milano : Arnoldo Mondadori, 1999. - p. 144

"Incontrammo i primi posti di blocco solo quando arrivammo a Palermo. Eravamo soddisfatti per il risultato ottenuto, anche se ancora non sapevamo cosa fosse successo esattamente. Camminavamo tranquilli, ma nello stesso tempo scossi, perché avevamo combinato un casino" […] "Mi sono fatto accompagnare da La Barbera ad Altofonte e, strada facendo, lui mi riferì i commenti delle persone che aveva ascoltato tenendo i finestrini della macchina abbassati: "questi crasti, questi cornuti", parlando di noi. "Questi sdisonorati hanno ammazzato quel signore di Falcone." Mi raccontò anche che lui si era sentito "nicu, nicu", cioè piccolo, piccolo, che faceva l’indifferente. E addirittura, come uno scemo, chiedeva cosa fosse successo".

Il mafioso vive dell’ammirazione e del rispetto degli altri, è l’espressione di una subcultura che può proliferare solo finchè c’è un humus che glielo permette. Non dico che cambiare la cultura e la mentalità eviterebbe gli atti criminosi. Ma una cosa sono gli atti criminali, un’altra la sensazione di impunità che ai mafiosi siciliani è sempre venuta dal fatto di sapersi inseriti in una rete di solidarietà.

Ecco, quella solidarietà nel corso degli anni ottanta, era venuta meno, e se ne accorgono, sbalorditi,diventati "piccoli", "nichi, nichi", gli stessi mafiosi che il 23 maggio del 1992 compiono la strage di Capaci.

La strage di Capaci e quella di Via D’Amelio,la morte di Falcone e Borsellino, i due giudici siciliani che erano riusciti a infliggere seri colpi alla mafia, approfondiscono la distanza fra i mafiosi e i siciliani, stanchi, a disagio nella sensazione di essere stati in qualche modo complici con il loro silenzio e la loro rassegnazione.

Falcone e Borsellino erano diventati in qualche modo delle star, di loro si parlava non solo sui quotidiani, che venivano letti poco, ma sui settimanali diffusi a livello nazionale, sulle riviste femminili, e soprattutto in Tv. Erano in qualche modo diventati già degli eroi a cui noi siciliani avevamo delegato il compito di estirpare la mafia, e di rappresentarci nella luce migliore.

Così Goffredo Fofi commentava la situazione che si era venuta a creare a Palermo e in Sicilia in quel periodo, in un articolo dal significativo titolo "L’isola del tesoro" apparso sulla rivista "King" nel febbraio del 1994:

"Famiglie si sono spaccate, amicizie si sono rotte o al contrario cementate sulla spinta di una scelta resa obbligata dalla coscienza delle vittime: si trattava di lasciare un sistema di complicità incancrenito nel tempo, di schierarsi pro o contro un sistema di potere.[...]In Sicilia, poiché più tragica, meno raggirabile, più immediatamente amara e dolorosa era la situazione, più decisa è stata la risposta. Non so cosa verrà dall’attuale trasformazione, ma certo è grandissima, è esemplare. Da essa bisognerebbe imparare di più, per la tensione morale così esplicita che mette in gioco e, appunto, per il richiamo a una scelta profonda del singolo che chiede ed esige". (L’isola del tesoro / Goffredo Fofi, in: "King", febbraio 1994.)

Dopo sono venute tante cose, sono venuti anche questi difficili anni del nuovo millennio.

Ma quella stagione c’è stata, in cui sono maturate speranze, sogni, idee. Attraverso i corpi e le storie di uomini e donne che vogliamo raccontare.


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