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Processo ’Ndrangheta stragista’. Solidarietà al pm Giuseppe Lombardo

Una manifestazione di vicinanza e di solidarietà a Lombardo e agli membri della Dda di Reggio Calabria che sta ramificandosi, tramite i social, nella penisola e alla cui diffusione si invitano i lettori di ‘Girodivite’

di francoplat - mercoledì 1 luglio 2020 - 2727 letture

C’erano una volta le mafie. E ci sono ancora, magari meno detonanti nei mezzi (si pensi alle stagioni stragiste degli anni Novanta), ma, di fatto, immutabili nei fini e non meno corrosive nei risultati, ossia nel necrotizzare i gangli della società, impoverendone le economie e abradendone qualsiasi vitalità democratica e civile, contribuendo a sedimentare l’idea che l’unica forma di relazione sociale sia quella incardinata sul diritto della prepotenza e dell’affratellamento, della benevolenza verso gli amici degli amici e del pugno di ferro contro chi cerca di mantenere ferma una pur minima forma di stato di diritto.

Le onorate società, ormai da anni a questa parte, hanno scelto il silenzio, hanno deciso di operare con un profilo basso, con un volto all’apparenza politicamente corretto. Ci si è distratti un attimo ed ecco affiorare, come dal nulla, la versione calabrese del crimine organizzato, la ‘ndrangheta, una potente holding internazionale che fattura 80 miliardi di euro l’anno per il traffico di droga e che è penetrata, con garbo, nelle dinamiche politico-economiche di alcune regioni del Nord, oltre che europee e internazionali. Gode, a quanto pare, di un certo rispetto nei flussi commerciali planetari della cocaina; senza contare che può, volendo, decidere di acquistare un intero quartiere a Bruxelles e muovere con una certa facilità l’edilizia delle realtà locali in cui si impianta. Sempre con garbo e in silenzio, con la plastica correità e complicità di quella ‘zona grigia’ rappresentata da amministratori, professionisti, imprenditori e via discorrendo. Certo, si è trattato di una distrazione ben lunga, considerato che, come sottolineava nel 2016 il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo in un intervento a una conferenza organizzata da AntimafiaDuemila, la Corte d’Assise di Reggio Calabria, già nel 1953, rimarcava come fosse necessario, per diventare mafia, che le organizzazioni criminali stringessero rapporti con ‘determinati mondi’; solo per evitare fraintendimenti, si parlava dei mondi politici. Quei rapporti parevano, già allora, evidenti, ma, a quanto pare, non avevano appeal.

Si era all’indomani della nascita della Repubblica, quell’organismo la cui storia andrebbe forse riletta e riscritta alla luce delle tante, troppe ombre gettate sul suo percorso democratico, sulla fedeltà ai suoi valori e ai suoi princìpi di settori tutt’altro che marginali dello Stato, sulle trame nere che hanno caratterizzato stragi, attentati, omicidi di personalità note e meno note, su quel dialogo inaccettabile attraverso il quale, come ha evidenziato la sentenza della Corte d’Assiste di Palermo del 20 aprile 2018, lo Stato avrebbe cercato un accordo con la mafia, al fine di depotenziare la potenza di fuoco stragista della stagione mafiosa orchestrata da Totò Riina. A quanto pare, il progetto mafioso mosso dalla ricerca di nuovi referenti politici, tra il 1992 e il 1994, e che si concretizzò con le stragi di Capaci, Via D’Amelio, di Firenze, Milano e Roma, fu condiviso dalla ‘ndrangheta, la quale, a cavaliere tra il ’93 e il ’94, progettò e mise a punto una serie di attentati contro l’arma dei Carabinieri. Il 18 gennaio 1994, a cadere sotto i colpi mafiosi furono due appuntati scelti, Vincenzo Garofalo e Antonino Fava. Ciò è quanto emerge dalle risultanze dell’istruttoria del processo ‘Ndrangheta stragista, iniziato nel 2017, che vede imputati in Assise il boss palermitano di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e il reggino Rocco Santo Filippone, boss di Melicucco e giudicato uomo della potente cosca di Gioia Tauro, Piromalli-Molè. A sostenere l’accusa è il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, il quale, oggi 30 giugno, darà il via alla requisitoria contro i due boss, dopo anni di dibattimenti, nel corso dei quali ha ricostruito un quadro dei legami intercorrenti tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta che amplia la prospettiva già evidenziata nel processo della trattativa Stato-mafia.

Alla pari di altri magistrati schierati senza riserve per il ripristino della legalità in un Paese che vede la magistratura attraversata dal terremoto Palamara, Giuseppe Lombardo non è una figura comoda. Già in precedenza, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria aveva ribadito che il sistema delle mafie deve essere considerato come un sistema integrato, con interconnessioni significative tra le onorate società, e come un sistema circolare, in cui sulle attività mafiose si innestano comportamenti e pratiche illegali esterne, quali, ad esempio, i reati di corruzione contro la pubblica amministrazione o i reati finanziari contro il patrimonio. E in una lettera a ‘la Repubblica’ del 19 luglio 2019, in occasione dell’anniversario della strage di Via D’Amelio, Lombardo aveva espresso un giudizio secco e amaro nei confronti dell’atteggiamento delle istituzioni politiche nei confronti del contrasto al fenomeno mafioso, asserendo che, per ricordare in maniera non retorica il sacrificio di Borsellino, fosse necessario partire “dal coraggio di affermare che la lotta alla mafia non è una priorità dello Stato italiano”. Si può dargli torto? Sarebbe sufficiente, per divertissement e senza stancarsi troppo, guardare alla bibliografia sulla mafia che campeggia sul web nei siti istituzionali della nostra politica per verificare come le opere paiono arrestarsi ai primi anni del nuovo millennio, come se, dopo la fiammata degli anni Novanta, una sorta di sonno colpevole fosse calato, anche in termini di riflessione analitica, sullo sforzo di aggiornamento del nostro ceto dirigente.

Quelle di Lombardo sono frasi dure e, purtroppo, veritiere di un magistrato onesto, frasi che ribadiscono, se ancora ce ne fosse bisogno, l’inquietante situazione italiana, nella quale all’ignobile silenzio di parti consistenti del paese legale corrispondono silenzi non meno disonesti di larghe sacche del paese reale, della società civile. E’ per questo motivo, per evitare che l’isolamento di un magistrato coraggioso possa ripetersi e che l’opinione pubblica (troppo spesso assopita) rimanga estranea all’importanza di questo processo, che ieri il capo-redattore di ‘AntimafiaDuemila’, Aaron Pettinari, intervistato da Radio Voce della Speranza su ‘Ndrangheta stragista, ha sottolineato come tutta la stampa nazionale abbia il dovere di dare risalto a quanto emerso in oltre tre anni di dibattimento e non debba tacere sul valore giuridico ed etico di questa vicenda. E oggi, lo stesso fondatore della rivista, Giorgio Bongiovanni, in un editoriale dal titolo “In Calabria diciamo no alla ‘Ndrangheta”, invita i cittadini a presenziare a un sit-in, davanti al Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, il 10 luglio alle ore 9.30, ultimo giorno della requisitoria del magistrato. Una manifestazione di vicinanza e di solidarietà a Lombardo e agli membri della Dda di Reggio Calabria che sta ramificandosi, tramite i social, nella penisola e alla cui diffusione si invitano i lettori di ‘Girodivite’, testata la cui storia e la cui natura rendono il volano ideale per diffondere un messaggio di resistenza a quelle realtà che, in tutti i modi, impediscono la fioritura civile di questo Paese.

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Giuseppe Lombardo


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