Prima della morte, la preoccupazione per le sorti della rivoluzione / di Lelio La Porta
21 gennaio 1924: tra gravi sofferenze fisiche il leader bolscevico elaborò alcune delle riflessioni politiche più importanti della sua opera.
21 gennaio 1924: tra gravi sofferenze fisiche il leader bolscevico elaborò alcune delle riflessioni politiche più importanti della sua opera. Prima della morte, la preoccupazione per le sorti della rivoluzione
Lenin aveva appena 52 anni quando, verso la fine del 1921, la sua salute cominciò a manifestare chiari segni di cedimento. Nell’aprile dell’anno successivo subì un intervento chirurgico per l’estrazione di una delle pallottole da cui era rimasto colpito nel corso dell’attentato del 30 agosto del 1918. A maggio del 1922 sopraggiunse il primo attacco cerebrale che lo semiparalizzò impedendogli di partecipare attivamente alla vita politica. A dicembre la situazione peggiorò al punto che fu costretto all’isolamento lontano da Mosca. Il 9 marzo del 1923 un colpo apoplettico lo ridusse a comunicare attraverso pochi monosillabi, la cui comprensione, per chi lo assisteva, diveniva problematica. Quando il 15 maggio fu condotto nella villa di campagna di Gor’kij, la situazione già volgeva al peggio. Riceveva visite di delegazioni di operai e contadini, ma si limitava a rispondere loro con cenni amichevoli, e niente più. Il 21 ottobre volle essere condotto in automobile a Mosca dove si recò nel suo studio del Cremlino; ricondotto nella villa di campagna non si mosse più. L’ultima apparizione in pubblico è del 2 novembre quando ricevette la visita di una delegazione di operai. La situazione di salute andò progressivamente peggiorando finché, il 21 gennaio del 1924, come conseguenza di un nuovo attacco apoplettico, spirò alle 18,50.
In quel momento erano in corso i lavori del II Congresso dei Soviet di tutta l’Unione e l’XI Congresso Panrusso dei Soviet; il giorno stesso della morte di Lenin, Zinov’ev aveva concluso il Presidium del Comitato Esecutivo dell’Internazionale comunista. All’edizione della «Pravda», già in stampa, furono aggiunti dei fogli speciali che annunciavano la morte del leader. Fu lo stesso Zinov’ev, in un articolo pubblicato il 30 gennaio, a raccontare il viaggio compiuto dai dirigenti bolscevichi alla volta di Gor’kij e quale situazione essi trovarono. Partì da Mosca, in slitta, un gruppo composto da Zinov’ev, Bucharin, Tomskij, Kalinin, Stalin e Kamenev; Rykov era malato e Trockij si trovava nel Caucaso dove, saputo che il funerale si sarebbe svolto il 26 gennaio (anche se in realtà si svolse il 27), decise di non tornare in quanto non avrebbe fatto in tempo a raggiungere Mosca. Ricorda Zinov’ev che la notte era gelida ma limpida: c’era la luna. Il corpo di Lenin era su un tavolo circondato di fiori e di rami d’abete, nella stessa stanza dove, nell’estate del 1920, i dirigenti si erano riuniti per decidere l’avanzata su Varsavia. Resero omaggio alla salma e rientrarono a Mosca per prendere parte ad una riunione commemorativa del Comitato Centrale convocata alle due del mattino. Il gruppo arrivò alle tre. Il 22 gennaio fu pubblicato un messaggio di omaggio funebre del Comitato Centrale rivolto al partito, a tutti i lavoratori nel quale venivano messi in rilievo i contributi più importanti di Lenin alla teoria marxista. Il 23 gennaio i giornali non uscirono e il giorno dopo la «Pravda» pubblicò esclusivamente omaggi ed articoli commemorativi. La salma di Lenin fu esposta nella Sala delle colonne del Palazzo dei sindacati e per omaggiarla quasi 900.000 persone si sottoposero al freddo impietoso di quelle giornate moscovite. C’è un proverbio che dice che Mosca non crede alle lacrime; eppure, stando alle cronache e ai documenti, il dolore del popolo in quei giorni apparve vero, profondo e genuino. Il 26 gennaio si tenne una solenne seduta del II Congresso dei Soviet di tutta l’Unione nel corso della quale presero la parola i massimi dirigenti bolscevichi e fra essi anche Stalin. Il suo discorso era impostato sul doppio piano dell’apologia del capo, per quel che riguardava il contenuto, e dell’antifona di tipo ecclesiastico, per quel che riguardava la forma. I toni dovettero scuotere non di poco le corde emotive degli ascoltatori contribuendo in maniera decisiva a conferire calore ad un ambiente impostato nei termini della più rigorosa serietà ed austerità. Nel corso della stessa seduta Kalinin, a nome del Comitato Esecutivo Centrale Panrusso (Pansovietico), propose di cambiare il nome di Pietroburgo in Leningrado; la proposta fu approvata senza discussione. Furono approvate in blocco altre proposte: il giorno della morte di Lenin diventava giornata di lutto nazionale; a lui dovevano essere eretti monumenti nelle maggiori città sovietiche; bisognava pubblicare un’edizione delle sue opere scelte; inoltre fu approvata la costruzione, sotto le mura del Cremlino tra le tombe comuni dei combattenti della rivoluzione, di un Mausoleo nel quale conservare, imbalsamato, il corpo di Lenin per consentire l’omaggio dei visitatori.
Il 27 gennaio alle 9 del mattino, Stalin, Zinov’ev e sei operai trasportarono il corpo di Lenin fuori dal Palazzo dei sindacati dove fu preso da Kalinin, Kamenev, Kurskij, quattro operai e un contadino per essere portato in processione attraverso la Piazza Rossa. Alle quattro del pomeriggio, Stalin, Zi-nov’ev, Kamenev, Molotov, Bucharin, Rudzutak, Tomskij e Dzerzinskij presero il feretro deponendolo in una tomba costruita davanti alle mura del Cremlino e che presto sarebbe stata sostituita dal Mausoleo. Fra il dicembre del 1922 e il marzo del 1923 Lenin aveva prodotto alcune delle riflessioni politiche più interessanti di tutta quanta la sua opera. Alcuni presupposti della rivoluzione non erano più validi. Non c’era stata una grande rivoluzione europea. L’economia socialista ancora non aveva basi. Allora, tutto sbagliato? Esattamente il contrario, rispondeva il leader bolscevico, in quanto il 1917 aveva rappresentato l’abbandono rivoluzionario di una guerra da cui era nato un nuovo Stato: questa era stata la vera svolta mondiale. Altri problemi: i compiti immensi di fronte al nuovo Stato e la miseria, anche culturale, del popolo. Inoltre, dopo i primi mesi di iperattività, Lenin notava una certa burocratizzazione dell’apparato statale, quasi un ritorno al passato: insomma il vecchio Stato era stato "appena unto di olio sovietico". Il rimedio continuava ad essere, secondo Lenin, la Nep.
Ma vero motivo di preoccupazione per il leader bolscevico era il contrasto al vertice del partito, con la possibilità di una scissione. Per questo, fra il dicembre del 1922 e il gennaio del 1923, dettò alcuni appunti che avrebbero costituito la Lettera al Congresso (qui proposta con il titolo di Testamento di Lenin) nella quale, oltre a sottoporre a lucidi giudizi tutti i maggiori dirigenti del Partito bolscevico (a tutti veniva rimproverato un eccesso di autoritarismo, a Trockij "la sicurezza di sé", a Bucharin, peraltro "prediletto di tutto il partito", l’incomprensione della dialettica), individuava nei contrasti sempre più profondi fra Stalin e Trockij il vero problema.
Non è fuori luogo rammentare che proprio il nostro Gramsci, il 14 ottobre del 1926, pochi giorni prima di essere arrestato dai fascisti, scrisse, a nome dell’Ufficio politico del Pcd’I, una lettera ai dirigenti sovietici (Al Comitato centrale del Partito comunista sovietico, inviata a Togliatti, allora a Mosca) nella quale metteva in evidenza come il conflitto fra la maggioranza staliniana e la minoranza trockijsta correva il rischio di mettere in discussione le conquiste dell’Ottobre sovietico. Lenin concludeva la sua lettera con il duro giudizio nei confronti di Stalin definito "troppo grossolano" e poco tollerante nei confronti dei compagni. Insomma, è possibile pensare che se a Lenin fosse stato concesso di partecipare al XII Congresso i presenti avrebbero assistito ad uno scontro frontale fra lui e Stalin; ma ciò non fu e sappiamo quale corso prese la storia dell’Urss.
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