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Poco movimento nella "sinistra che verrà"

All’assemblea delle sinistre organizzata dal Manifesto il 15 gennaio alla Fiera di Roma tanti importanti esponenti del progressismo radicale italiano, ma pochi giovani e pochissimi protagonisti del movimento dei movimenti...

di Lorenzo Misuraca - mercoledì 19 gennaio 2005 - 3653 letture

Iniziative come l’assemblea delle sinistre organizzata dal Manifesto il 15 gennaio alla Fiera di Roma portano con sé sempre qualche elemento di interesse e riflessione. Di fronte a circa tremila persone venute da tutta Italia si sono alternati in brevi interventi da cinque minuti le maggiori e le storiche personalità della sinistra italiana: Bertinotti,Giovanni Berlinguer, Mussi, Folena, Cremaschi, Rossana Rossanda, Diliberto, Occhetto, Pecoraro Scanio, Lidia Menapace, Valentino Parlato, ecc.. Il tema era, naturalmente (visto che è l’argomento del momento da una cinquantina d’anni), "la sinistra che c’è e la sinistra che verrà". In altre parole, continuare a farsi male sentendo tortellone Rutelli impelagarsi su Gad e Fed e D’Alema tornare sul luogo del delitto col coltello (il capitalismo temperato) ancora fresco di sangue, oppure darsi una mossa e trovare un’intesa tra tutte quelle forze progressiste che si definiscono ancora e senza vergogna "radicali".

Per Occhetto "Berlusconi si batte proponendo un’alternativa non da destra ma da sinistra", Berlinguer denuncia "la specularità del percorso del centrosinistra negli ultimi tempi rispetto al centrodestra" e parla di "verticismo, giochi oscuri, mosse sottobanco, opacità nei confronti della base". Lidia Menapace pone il vincolo dell’alleanza con i riformisti della Gad nel rifiuto a tutte le guerre e preme per una diffusione capillare della cultura nonviolenta. Ferrando, della minoranza di Rifondazione, ritiene impossibile e dannosa qualsiasi alleanza con il moderato Prodi, Mussi minaccia la maggioranza dei Ds che se si continua sulla strada del centro "il correntone non li seguirà su quella strada".

L’andamento degli interventi oscilla tra i tentativi di fornire spunti solidi per una nuova cultura programmatica della sinistra radicale e l’esigenza apparentemente più pragmatica di porre i paletti minimi per un’alleanza con il resto del centro-sinistra alle prossime elezioni politiche per battere Berlusconi. E’ già stato detto che l’assemblea del 15 gennaio porta interessanti elementi di riflessione. Ma non possiamo sottilearne la mancanza principale: nell’auditorium della Fiera di Roma c’erano pochi giovani. L’assenza era così evidente che lo ha dovuto ammettere il giorno dopo anche il Manifesto.

La scoramento non veniva tanto dal guardare la platea (in cui a gruppi radi e sparsi i giovani comunque erano presenti), ma dal notare che un’assemblea sulla sinistra che c’è e su quella che verrà abbia dedicato uno spazio ridicolo agli interventi dei giovani. Come se la vera novità degli ultimi cinque anni a livello politico nella sinistra non fosse stato solo ed unicamente il movimento dei movimenti che a Genova ha pagato col sangue e col terrore il diritto a iscrivere la parola "globalizzazione" nella lista degli argomenti dell’agenda politica. A parte l’intervento di una ragazza di Action (agenzia per la casa e per l’immigrazione che occupa gli stabili disabitati per trovare una dimora a poveri e migranti) e quello di Francesco Caruso (che invita ad impegnarsi perchè la sinistra non si lasci dividere in "quella che va al governo e quella che va in galera") tocca a due non-giovani parlare del movimento. Vittorio Agnoletto fa uno degli interventi più interessanti e applauditi parlando dello scarto tra la dimensione nazionale delle democrazie e la dimensione globale dei diritti e dello sfruttamento (peccato che l’aspetto da boyscout-paperino di Agnoletto porti la stampa erroneamente a sottovalutarlo). Giuliano Giuliani, padre di Carlo, che conclude il suo intervento con una priorità per la sinistra: "ritornare allo spirito di Genova".

E a Genova bisogna che ci vadano i padri storici della sinistra repubblicana italiana. Loro hanno fatto la storia del comunismo e non solo, ma le loro analisi sembrano oggi non cogliere a pieno il punto focale del conflitto tra capitalismo globale e lavoratori precari, che in maniera grezza e ancora imprecisa hanno invece afferrato i giovani che a Genova deicisero di resistere alla paura, invadendo la zona rossa della nuova prepotenza multinazionale.

Per i lettori siciliani: divertente e un pò imbarazzante l’intervento di un sindacalista di Priolo, che -pressato dagli organizzatori visto il ritardo- assicura che sarà breve e poi attacca: "sin dall’antichità la zona di Priolo era conosciuta (...) nel 1600 il poeta XXX descriveva la bellezza dei luogi così: (...)", poi fa un elenco degli stabilimenti industriali in zona e, a questo punto scaduto il tempo, s’infastidisce e lascia il discorso a metà. Riusciremmo mai ad avere il dono della sintesi e a tirare fuori l’orgoglio per la siciliabedda nei momenti e nei luoghi appropriati?


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