Philomena
Regia di Stephen Frears. (GB, 2014, drammatico, 94 min.). Con Judi Dench, Steve Coogan, Neve Gachev, Charlie Murphy
Philomena Lee, adolescente irlandese rimasta incinta al di fuori del matrimonio, viene, secondo l’allora consuetudine dettata dalla religione cattolica, oltre che ripudiata dalla famiglia anche rinchiusa in collegio in quanto tirar su da sola un bambino era considerata cosa diabolica. Di loro se ne occuperanno le suore Maddalene di Roscrea nel Munster. Solo che le religiose, quando i pargoli compiono l’età di tre anni, sono soliti vendere ad agiate famiglie americane (..anche l’attrice Jane Russell fu una delle americane che prelevò bambini a Roscrea) il frutto del “peccato” delle loro madri “disonorate”, le quali sono costrette anche a firmare un documento in cui s’impegnano a non reclamare più alcun diritto su di loro.
Tutto questo capita anche a Philomena, la quale, ormai anziana, nel giorno in cui Anthony, questo il nome del figlio, avrebbe compiuto 50 anni decide di impiegare il resto della sua vita nella ricerca di colui che le fu strappato in convento e venduto a un’agiata coppia di St. Louis nel Missouri. In questa ricerca viene aiutata da Martin Sixsmith, un giornalista da poco silurato dalla BBC e che è alla ricerca di una storia strappalacrime da fornire a un tabloid britannico. Le vicende sono realmente accadute e la sceneggiatura del film si basa su quanto raccontato nel libro-inchiesta “The Lost Child of Philomena Lee”.
Nei panni di Philomena una straordinaria Judi Dench non a caso candidata per un possibile Oscar quale miglior attrice protagonista e in quelli del giornalista, Steve Coogan, molto noto in Inghilterra per le sue apparizioni in un serial televisivo. Il tutto per la regia di Stephen Frears, abile amministratore di sentimenti e imbattibile narratore di intensi personaggi femminili, che dopo “The Queen” del 2006 (Coppa Volpi a Helen Mirren), dirige sapientemente un’altra storia ambientata nella verde terra britannica.
La drammaticità della storia ben si equilibra con una giusta dose di humour proveniente dalle citazioni di Martin o dalle simpatiche osservazioni di Philomena; umorismo ed elementi di commedia necessari per non eccedere nella tragicità ed alleggerire e dare sollievo al dispiegarsi degli eventi. Il perdono, dogma fondamentale della chiesa, è l’aspetto più drammatico di tutta la storia: Sixsmith non è credente, Philomena sì, e nonostante le reiterate atrocità subite dalle suore del convento, ha la forza di perdonare (forse certa di dover espiare per sempre il suo fuggevole peccato carnale).
Nel film, infatti è palese l’attacco alla Chiesa come istituzione, ma al contempo è riconosciuta la dignità di quelle persone umili e dimenticate (come lo è Philomena) che sono nonostante tutto ancora capaci di perdonare. Premio per la migliore sceneggiatura a Venezia 2013.
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