Per un marchio etico

Chi ci assicura che le scarpe e i pantaloni e le t-shirt che compriamo nel negozio sotto casa siano fabbricate secondo le nostre regole a tutela dei diritti dei lavoratori, dei minori e dell’uomo? Chi ci assicura che non siamo complici nello sfruttamento di migliaia di lavoratori?
In un’epoca in cui quello che acquistiamo nel negozio sotto casa potrebbe essere stato prodotto dall’altra parte del mondo diventa impossibile, per il semplice cittadino, assicurarsi che quel dato prodotto sia stato fabbricato in maniera etica e responsabile, senza lo sfruttamento dei lavoratori e dei minori, secondo le regole internazionali per i diritti umani e dei lavoratori.
Esiste il marchio "Pura Lana Vergine" che ci assicura che quel prodotto è stato fabbricato al 100% con della lana e non esiste un marchio che ci garantisca che quel prodotto sia stato fabbricato senza lo sfruttamento dei lavoratori, senza inquinare il mondo e senza renderci partecipi e complici di un sistema di sfruttamento delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo che ormai è prassi consolidata da molte multinazionali.
Chi ha ancora delle industrie (infatti non sono pochi i marchi che affidano in appalto a terzi il compito di fabbricare realmente i prodotti, tenendosi per se solo il compito di disegnarli e commercializzarli e pubblicizzarli) tende a "delocalizzarle". Operazione ormai consueta a tutte le più grandi multinazionali. Cosa vuol dire? Vuol dire smantellare le industrie nei paesi più ricchi (e controllati) per ricostruirle nei paesi in via di sviluppo, come Cina e Vietnam e altri, dove le norme a tutela dei diritti dei lavoratori sono, quantomeno, assai disinvolte. In diversi casi sono state create delle zone extraterritoriali, zone cioè in cui lo stato decide di non applicare le proprie leggi o di applicarle solo parzialmente... lasciando quindi alle multinazionali la possibilità di riscriverle, le leggi, secondo le proprie necessità. Facile capire che la necessità principale per una multinazionale sia il profitto... da qui le conseguenze che ben potete immaginarvi... anche se forse, a quanto è trapelato da alcune coraggiose inchieste, al di là della vostra più cruda immaginazione.
Il semplice consumatore, prima di acquistare un prodotto, se volesse essere sicuro di un acquisto che lasci la sua coscienza immacolata, dovrebbe fare delle lunghe ricerche, per capire se quel dato prodotto è stato creato in regime di sfruttamento o meno.
Ma finalmente qualcosa sembra muoversi...
L’associazione Valore Sociale , nata nel Gennaio 2006, tende alla creazione di un codice normativo ed un marchio etico sfruttabile dalle aziende e compagnie per garantire al consumatore che le merci da loro prodotte e commercializzate obbediscono ad una serie di criteri sulla tutela dei lavoratori come dell’ambiente. ActionAid International, Amnesty International, Arci, Fondazione Culturale Responsabilita’ Etica, Mani Tese, Movimento consumatori, Movimento difesa del cittadino e Ucodep hanno fondato l’associazione Valore Sociale con l’obiettivo di promuovere uno standard di azienda socialmente responsabile diverso dagli altri, prendendo come proprio fondamentale riferimento le norme delle Nazione Unite sui diritti umani, per le imprese, pubblicate nel 2003 .
Le discussioni sulla creazione (o imposizione, come vorrebbe qualcuno) di un marchio etico sono molteplici e si incontrano in tutte le sedi legislative e normative. Dalla UE all’ONU, dal Parlamento Italiano (dove nel 2001 era stata presentata una proposta di legge a riguardo) a vari Parlamenti regionali, tra cui quello della Regione Toscana che sembra essere apripista, su questo argomento.
Purtroppo, come spesso accade, la lentezza burocratica ha impedito fino al momento una regolamentazione legislativa a tal proposito e anche le organizzazioni per i diritti umani e dei lavoratori si stanno muovendo, a mio avviso, con pauroso ritardo.
Al momento una certificazione funzionante che rappresenti uno strumento minimamente valido per una certificazione etica è rappresentato dallo standard SA8000 pubblicato nel 1997 e rivisto nel 2001 dalla SAI, Social Accountability International . Il marchio di per se sembra ben strutturato, così come i vari passaggi che precedono la concessione del marchio stesso. La norma è stata elaborata con espresso riferimento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, alla Carta dei Diritti del Fanciullo dell’ONU ed agli accordi dell’organizzazione internazionale del lavoro (ILO), massima autorità in materia.
L’applicazione della normativa è una scelta volontaria dell’impresa ed ha lo scopo di rendere pubblica che l’azienda è “moralmente corretta” nei confronti di prescrizioni in materia di lavoro quali:
Il lavoro infantile,
il lavoro forzato,
la salute e la sicurezza dell’ambiente di lavoro,
la libertà di associazione e rappresentanza sindacale,
le discriminazioni (sessuali o razziali),
le procedure disciplinari (punizioni psicologiche e corporali, ingiurie),
l’orario di lavoro ( straordinari non pagati, non coercitivi ),
i criteri retributivi (salario minimo),
il sistema di gestione della responsabilità sociale (Politica, Riesame della direzione, Rappresentante dell’azienda, Pianificazione e attuazione, Controllo dei fornitori, Trattamento dei rilievi e adozione di azioni correttive, Comunicazioni con l’esterno, Accesso alle verifiche e Registrazioni).
C’è da dire che qualche perplessità sul sistema di certificazione deriva dal fatto che sono le stesse compagnie, che richiedono la certificazione, a pagare le associazioni terze incaricate di rilasciare il marchio... con l’inevitabile sospetto che si possano creare dinamiche poco chiare.
Siamo al punto di partenza, quindi?
In realtà esistono alcuni marchi che ci consentono di muoverci per indirizzare i nostri acquisti, anche se ancora su un numero limitato di merci.
Per esempio esiste il Marchio comunitario di qualità ecologica che può essere attribuito a tutta una serie di prodotti assai diversi. Per ricevere il marchio la legge comunitaria prevede l’esame di ogni processo di produzione e di consumo, dalla scelta delle materie prime, alla loro lavorazione allo smaltimento delle scorie e dei prodotti stessi. In Italia questo marchio può essere dato ad una decina di prodotti; carta igienica, carta per la casa, carta per fotocopie, lavatrici, frigoriferi, detersivi per lavatrici, t-shirt e lenzuola, lampadine, verinici e pitture per l’ambiente.
Un’altro marchio molto importante che garantisce un ciclo di produzione etico, e che per di più aiuta con progetti concreti le popolazioni in via di sviluppo e il TranFair che commercializza, attraverso distribuzioni come Coop e CTM, prodotti quali zucchero, tè, banane, miele, cacao, caffè e succo d’arance. I sisitemi di controllo sono assai rigorosi e garantiscono ad esempio:
Un prezzo equo, cioè un minimo garantito, che copra non solo i costi di produzione ma assicuri un margine per investimenti sociali. Il prezzo effettivo può essere anche più alto del minimo garantito.
L’impegno a stabilire relazioni commerciali stabili e ad acquistare almeno due raccolti in modo che i produttori possano pianificare con maggiore certezza il loro futuro.
A richiesta, offrire ai gruppi produttori prefinanziamenti e/o garanzie creditizie fino al 60% del valore del contratto per garantire capitale di lavoro ai produttori e per evitare che si inneschi il fenomeno del credito usuraio.
Possono sembrare piccole cose ma a volte rappresentano la differenza tra la semplice sussistenza e una chance di sviluppo reale.
Altro marchio importante è il Rugmark che combatte contro una pratica assai diffusa, in alcuni paesi, che è quella del lavoro in schiavitù dei bambini, soprattutto nella produzione di tappeti. Questo marchio garantisce, attraverso i controlli e gli aiuti di alcune ONG, che i tappeti che riportano questo marchio non siano prodotti sfruttando il lavoro dei bambini e garantisce, ai lavoratori delle aziende che accettano le norme del marchio, diritti e salari dignitosi.
I primi passi sono stati fatti, anche se ancora, come abbiamo visto, riguardano solo alcune merci e alcune realtà, lasciando ancora nella più completa incertezza i consumatori riguardo la maggior parte dei prodotti che, giornalmente, acquistano.
Il solo fatto che si parli della possibile creazione di un marchio etico che possa assicurare il rispetto dei diritti del lavoro e dell’uomo e, di conseguenza, i consumatori circa l’etica dei loro acquisti mi sembra un passo importante. D’altro canto che ancora NON esista un marchio ed una normativa riconosciuta dalle più importanti organizzazioni per la tutela dei diritti dell’uomo e dei lavoratori mi sembra un aspetto piuttosto preoccupante ed una mancanza che ci vede tutti coinvolti, almeno in quanto consumatori.
Personalmente mi auguro che al più presto si crei uno strumento che mi consenta di fare i miei acquisti con la possibilità di scegliere in maniera responsabile e che mi assicuri di non rendermi partecipe di un meccanismo bieco di sfruttamento di esseri umani, che siano italiani, cinesi, vietnamiti o messicani. Uno strumento di tutela sovranazionale per un mercato globale. Perché la globalizzazione che mi piace è quella che porta con se i diritti.
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