Per fare il burro ci vuole l’anidrite carbonica

Riportiamo un articolo pubblicato da Dissapore, intitolato originariamente: "Una start up americana è riuscita a produrre un burro dall’anidride carbonica: sciocchezza o rivoluzione?", firmato da Luca Venturino, il 12 luglio 2024.

di Redazione Cartamenù - lunedì 25 novembre 2024 - 318 letture

Burro prodotto con anidride carbonica e un po’ di acqua: l’idea pare molto interessante - così interessante da avere anche attirato l’attenzione di Bill Gates.

Al netto di slogan e miopia più o meno in malafede una delle più pressanti questioni dei nostri tempi è il passaggio a un modello alimentare effettivamente sostenibile. Non a caso su di queste pagine abbiamo dedicato parecchio spazio alla carne coltivata, con la potenziale eccellenza di una filiera italiana uccisa prima che potesse nascere; o ad altre soluzioni alternative. Tra le più recenti c’è quella proposta da una start up americana: del burro prodotto utilizzando solamente anidride carbonica e acqua.

L’idea dei ragazzi di Savour – questo il nome della start up – è certamente interessante, anche e soprattutto perché, come accennato in apertura, si propone come metodo di produzione di cibo smarcandosi dalle impronte ambientali proprie sia dell’industria lattiero-casearia che delle alternative a base vegetale.

Come funziona il metodo di Savour?

Il burro prodotto con anidride carbonica ha anche attirato l’attenzione di un certo Bill Gates, che ha deciso di investire nella visione di Savour. “Hanno iniziato ragionando sul fatto che tutti i grassi sono costituiti da diverse catene di atomi di carbonio e idrogeno” ha spiegato lo stesso Gates. “Dopodiché hanno provato a riprodurre quelle stesse catene di carbonio e idrogeno senza coinvolgere animali o piante”.

Cerchiamo di farvela semplice: i nostri protagonisti estraggono la CO2 dall’aria e l’idrogeno dall’acqua, e attraverso un processo termochimico vanno a scaldarli e poi a ossidarli per formare delle catene di grasso. “Il processo non rilascia alcun gas serra e non utilizza terreni agricoli e meno di un millesimo dell’acqua utilizzata dall’agricoltura tradizionale” ha spiegato ancora Gates. “E, cosa più importante, ha un sapore davvero buono, come il burro vero, perché chimicamente lo è”.

L’impronta ambientale degli allevamenti dovrebbe essere nota a tutti coloro che non praticano il tenere la testa sottoterra come uno sport (anche a livello professionale e cioè retribuito, beninteso): l’accostare alternative coltivate in laboratorio ai prodotti tradizionali, però, continua a essere una sfida anche e soprattutto comunicativa.

E il fronte degli oppositori, badate bene, lo sa bene: non diteci che non avete mai sentito parlare di “sintetica”, specialmente in riferimento a quella che di fatto si chiama carne coltivata. Un termine che lascia intendere un qualcosa di finto, di artificiale, di dannoso: ebbene, vi ricordiamo che la carne coltivata, al netto della propaganda, viene per l’appunto coltivata a partire da cellule animali. Sintetica, semmai, può essere la plastica.


L’articolo di Luca Venturino è stato diffuso da Dissapore.



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