Pensare globale, agire locale

Il fenomeno della globalizzazione tra vantaggi e svantaggi politici, sociali ed economici: un approccio.
Poco tempo fa, illustravo a degli studenti, durante un incontro, il saggio di Natale Ammaturo “La dimensione della solidarietà nella società globale”, e nella presentazione dell’argomento fornivo loro una definizione della nostra epoca storica brevemente etichettata dei “post” –postmoderna, postindustriale- e della caduta degli “ismi”; portando ad una comprensione della sintesi assunta da Robertson “pensare globale, agire locale”, al fine di sottolineare l’importanza della comprensione dei processi a livello mondiale per una maggior efficacia dell’azione a livello locale.
Parlare di una società complessa, una società che si presenta contemporaneamente frammentata, ma globale, significa comprendere lo sforzo che stanno compiendo gli studiosi sociali nella comprensione del fenomeno e le cui diverse scuole di pensiero possono essere riassunte in tre grandi categorie: 1) coloro che analizzano il concetto di globalizzazione assumendo come principio sistemi e strutture sociali; 2) coloro che fanno emergere nel loro principio di analisi il soggetto con le sue molteplici relazioni con il mondo sociale ed infine, un terzo gruppo, che propone un’integrazione metodologica di tale dualità (N. Ammaturo).
Attualmente, però, per le caratteristiche presentate dal fenomeno è impossibile giungere ad una teoria comprensiva della globalizzazione, poiché si definisce con essa un aspetto di mercato e/o di conoscenza e tale sfaccettatura rende di difficile comprensione gli effetti della stessa sui gruppi sociali, poiché alcune teorie sostengono che la conoscenza del mondo globale aumenta la compartecipazione tra i gruppi umani; altre, in modo diametralmente opposto, osservano un aumento della chiusura dei gruppi nell’opposizione noi/altro diverso da noi
La globalizzazione è un fenomeno che, anche se autonomo nella sua estensione, s’interseca con altri due con esso interrelati su un piano orizzontale: l’avvento di un’informazione multimediale oltre che di una comunicazione mondiale in tempo reale e il bisogno di ricomprendere e ridefinire lo sforzo di conoscenza nella società occidentale che presenta sempre di più una rete di tipo multiculturale. L’utilizzo del computer e di internet, nella sua diffusione di massa, sfugge ormai al controllo della produzione dei processi, con tutti gli aspetti negativi e positivi che tale azione promuove; in effetti con internet gli individui sono stati posti nella possibilità di recuperare tutte le informazioni possibili, con un utilizzo che sfugge al controllo sociale: da come poter costruire un’arma a come poter costituire un gruppo di solidarietà o di condivisione di interessi. Emerge, quindi, il bisogno di ricomprensione delle interrelazioni che si stanno creando perché, gruppi culturali diversi, a contatto quotidiano per lungo tempo, producono effettivamente delle trasformazioni reciproche; e di tale problematica è, ad esempio, investita l’istruzione scolastica, senza volersi soffermare sull’ampio dibattito che da anni sta investendo la scuola italiana.
Il primo approccio con la globalizzazione, attraverso una visione del villaggio globale introdotto per la prima volta nella storia del pensiero da Mc Luhan, che descriveva il mondo con la sensibilità di chi ormai è attore e spettatore di un’era che "ha ridotto il globo a poco più che un villaggio e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza della responsabilità umana". Il mondo si mostrava, così, al nostro sguardo, incluso in un unico ampio spazio, di cui rappresentava l’espressione nel suo significato più vero: una realtà vivente dispiegata in ogni suo punto sotto il medesimo orizzonte: ricca di scambi, influenze e confronti tra tutte le sue parti improvvisamente vicine e collegate l’una con l’altra. Ed in internet, un messaggio di Dario Fo e Franca Rame esordisce con: “La globalizzazione è bellissima… un’idea meravigliosa sta prendendo piede nel mondo: basta con la guerra, basta con le barriere tra gli stati, un’unica legge valida in tutto il pianeta e interessi talmente intrecciati da rendere impossibile nel futuro lo scoppiare di una guerra.
La globalizzazione è una rivoluzione straordinaria, resa possibile da internet…basta con i dazi e le dogane…” Ma poi parlando del WTO vengono i nodi al pettine, perché “per le grandi multinazionali influenzare le scelte di un unico governo mondiale è più facile e più economico che aver a che fare con 150 autorità nazionali”. In effetti tra gli aspetti positivi che si possono ascrivere a questo fenomeno emergono: l’apertura degli orizzonti di culture diverse dalla nostra, la sprovincializzazione, il policentrismo, lo scambio mondiale delle informazioni, la riduzione del principio di sovranità degli stati-nazione, la riscoperta della cultura locale, una ridefinizione delle organizzazioni sovranazionali per la pace nel mondo, ad esempio l’O.N.U. Ma questo fenomeno, considerato in tutte le sue sfaccettature economiche, politiche, sociali, culturali, psicologiche ed antropologiche comporta un mutamento sociale che racchiude in sé aspetti negativi o quantomeno problematici. Aumenta la concentrazione del potere; si osserva una rischiosa tendenza di processi di massificazione ed omologazione culturale già favorite dal fenomeno del consumismo; sta aumentando il monopolio dei sistemi d’informazione e di comunicazione; si osservano fenomeni di perdita dell’identità, di sradicamento culturale di delocalizzazione; nuove forme di razzismo e di xenofobie in società che come la nostra avevano un retaggio storico di tolleranza rispetto alle diverse etnie presenti sul territorio; una sorta di idolatria del mercato ed un nuovo darwinismo sociale che spingono verso forme di incertezza della relazione tra individui e che sembra favorire nuovi fondamentalismi ed affidamento a capi carismatici per combattere il senso d’insicurezza che deriva da un individualismo esasperato.
La richiesta prioritaria che si pone è quella della possibilità di individuare delle regole che abbiano una portata globale per gestire la globalizzazione, centrando il proprio intervento su forme di sviluppo sostenibile, sulla solidarietà umana, che affonda le sue radici nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Si richiede di poter intervenire in modo anche sanzionatorio nei confronti di quei governi che autorizzano, o quantomeno non assumono reali interventi per necessità finanziarie, la manodopera infantile anche in forma schiavistica, rinnegando, di fatto, il rispetto dei diritti umani. In contraddizione, almeno per noi in Europa, con la Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000. Ci si preoccupa del futuro ambientale e per l’aumento della povertà che rende il Nord del mondo sempre più ricco ed il Sud sempre più povero e, quindi di nuove forme di genocidio dove i più deboli: donne, bambini ed anziani sono i primi a soccombere.
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