Penelope e l’antilope
"Penelope, seduta sul muretto, osservava la gente andare e venire in fretta. Non si fermava a guardare il cielo, mai..."
Penelope, seduta sul muretto, osservava la gente andare e venire in fretta. Non si fermava a guardare il cielo, mai. Le persone andavano a destra, a sinistra, un’occhiata veloce su lei.
Una notte Penelope alzò lo sguardo verso il cielo. Le stelle la guardavano illuminandosi. Penelope vide che le stelle avevano preso una strana forma d’animale. Era un’antilope che guardava la luna, immobile. Quell’immagine la sorprese, scopri dentro di lei una strana sensazione di libertà e di nuove possibilità. Faticò molto ad addormentarsi, pensando che non l’avrebbe mai più rivista. La mattina seguente la vide sbucare da dietro una nuvola, saltava da una parte all’altra senza mai fermarsi; sembrava sparire, mentre andava incontro al sole, poi appariva tutta dorata, correva verso lei, senza mai raggiungerla.
Da quel giorno Penelope non staccò più lo sguardo dal cielo, non guardò più dove metteva i piedi, pensando soltanto a come fare per farla scendere giù.
Voleva correre insieme con lei sui prati verdi e le colline. Guadare i grandi fiumi e saltare i rivoli. Salire sugli alberi giocando a nascondino. Ogni giorno studiava una strategia per convincere l’animale a scendere, poi capì. Non poteva scendere semplicemente perché lì non c’erano colline, né valli e prati o fiumi, soltanto strada, palazzi e macchine. Cosi decise di andare via dalla città, verso la periferia, lì avrebbe trovato quello che cercava e l’antilope finalmente sarebbe scesa a giocare con lei.
Camminando a testa in su aveva calpestato escrementi, preso pali in faccia e porte scorrevoli. Aveva camminato sopra le macchine, era passata con il rosso e, soprattutto, aveva evitato con cura lo sguardo delle persone che incrociava. Tutto questo per guardare su e capire se l’antilope la seguiva o la precedeva nel suo cammino. Al calar della sera, con il sole che pian piano cedeva il posto alla luna, anche l’antilope sembrava abbandonarsi a quella magia, si fermava a guardare la luna e non si muoveva più. Penelope poteva finalmente abbassare lo sguardo verso la città. Sapeva che si trovava in un posto nuovo. Si trovò davanti ad una ad una collina…di rifiuti. Circondò con i suoi passi quella compagine maleodorante e per una volta ringraziò per avere abbassato lo sguardo prima di salire su quel pattume. Poi guardò i suoi piedi e scopri che, dopotutto, quello poteva essere il male minore. Gli stivali, indossati per l‘occasione, avevano cambiato colore, assorbendo il fango, la terra ed i piccoli germogli che costeggiano ogni tanto i marciapiedi vicino alle aiuole. Sembrava quasi che le stesse scarpe avessero iniziato a germogliare. - Poco male – pensò Penelope, considerando la decisione presa e la sua ricerca – meglio fiori che buste di plastica –.
Continuò a camminare guardandosi intorno per trovare un posto dove passare la notte. Un posto che le permettesse di osservare le sue stelle e di ripararsi dalla leggera pioggerellina che scendeva giù. Davanti a lei c’era un vecchio palazzo abbandonato, senza più porte e finestre, lo scheletro di cemento armato imperava. Entrò e salì le scale fino al primo piano. Malgrado il palazzo fosse ridotto ad uno scheletro, era pieno delle cose umane: materassi, credenze ed armadietti vuoti, tavolini, vecchie sedie. Qualche residuo di giochi e scarpe sfondate. Tutto era lasciato in sospeso dall’abbandono. A terra c’erano anche siringhe e posate, cocci di piatti e bicchieri, vittime della fuga.
Dopo aver perlustrato il posto, Penelope decise di fermarsi su uno spiazzo parzialmente sporgente che probabilmente era stato un terrazzino. Si accucciò in un angolo e tirò fuori il sacco a pelo e la coperta rossa di pile. Guardò il cielo, rassicurata dalla visione di sempre. Velata dalla pioggia, immobile, la piccola antilope guardava la luna. Un crepitio la distolse, proveniva dall’altra parte, buia, del corridoio tra le scale, che portava ad un altro appartamento. Passetti veloci la fecero rabbrividire. La pelle era terrorizzata fino alla punta delle orecchie scosse a loro volta dal ringhio rabbioso di un cane.
La luna, nel suo pieno splendore, abbagliava le facce bucate dell’immobile abbandonato. Da lì pian piano il ringhio mostrò i suoi denti alla ragazza, dritta sulle gambe tremanti. Un solo insolito pensiero la rassicurava…sapeva che l’antilope l’avrebbe protetta. Alzò lo sguardo e sgomenta, vide soltanto la luna piena e le stelle sparse in cielo dove l’antilope non si era mai formata. Tornò a guardare davanti a sé mentre il sibilo di un legno volante colpiva la sua preda rabbiosa. Il cane sparì nel buio e lasciò nell’ombra la figura di un ragazzino con un bimbo in braccio. Penelope aprì il sacco a pelo e accolse i due nuovi amici. Quando si fece giorno, i tre s’incamminarono sulla strada principale che cominciava a riempire la sua giornata. Macchine e autobus, bambini e mamme, cani randagi e cemento ai lati della strada. Davanti a lei la terra semplice, verde e selvaggia si gonfiava verso il cielo e tra gli alberi. Il viaggio di Penelope sembrava concluso. Guardò indietro, intorno a lei una folla l’aveva seguita, con in testa il ragazzino con il bimbo in braccio. Ognuno stese la sua coperta sul prato per il pic-nic. Non era domenica. Penelope fu felice di partecipare al pranzo. Il sole era alto nel cielo e splendente.
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