Paura, disilluzione, feriti. L’Afghanistan al voto

Un paese martoriato dalla guerra. Da sempre. Un falso segnale di democrazia, con l’indizione delle elezioni. La realtà, purtroppo, è ben diversa
Oggi (28 settembre), in Afghanistan, si sono svolte le elezioni presidenziali. Le operazioni di voto sono appena terminate e, anche questa volta, la violenza non ha risparmiato il Paese e la paura ha accompagnato gli elettori che sono andati a votare nelle quasi cinquemila sedi elettorali aperte in scuole, moschee, ospedali.
Scontri armati, intimidazioni, attentati hanno colpito varie zone dell’Afghanistan. Finora al Centro Chirurgico di EMERGENCY a Kabul abbiamo ricevuto 18 pazienti, provenienti da zone diverse, trasferiti qui in ospedale dai nostri Posti di primo soccorso (FAP), una rete di centri sanitari sparsi sul territorio per garantire assistenza anche nelle aree più remote del Paese. Anche un nostro infermiere è rimasto ferito in uno scontro armato.
“Un’ambulanza di EMERGENCY, di ritorno dal Posto di primo soccorso di Baraki Barak, provincia di Logar, nella zona est del Paese, è stata colpita accidentalmente. Un nostro infermiere e i familiari che accompagnavano il paziente in ambulanza sono rimasti feriti e si trovano adesso nel Centro chirurgico per vittime di guerra di EMERGENCY a Kabul in attesa di essere operati” spiega Dejan Panic, Coordinatore di EMERGENCY in Afghanistan.
I risultati ufficiali del voto di oggi non saranno noti per diverse settimane. Ci auguriamo che non aprano un’altra crisi politica che peggiori ulteriormente la vita della popolazione.
Ecco la quotidianità a Kabul
Tutto scorre. Tra il giro visite del mattino, le medicazioni, le cartelle di dimissioni e qualche nuovo ingresso. Siamo immersi nella quotidianità di questo ospedale quando, verso l’ora di pranzo, il Pronto soccorso comincia a riempirsi di pazienti. Ci sono state molte esplosioni, qui a Kabul e anche in distretti lontani. Li medichiamo, alcuni hanno bisogno di essere operati. Intanto, tutto scorre. Fino a sera l’ospedale continuerà a riempirsi di feriti, di storie sconosciute, di frammenti di vita.
Quando la situazione sembra tornare tranquilla, ecco entrare un padre con il suo piccolo in braccio. Il bambino ha solo 6 mesi ed è ferito alla gamba. Poco dietro c’è anche sua moglie. Ha il torace e l’addome fasciati.
Stavano rientrando in casa da una festa di matrimonio quando sono stati colpiti da una raffica di spari. I proiettili hanno raggiunto la mamma e il suo bambino proprio mentre si stavano abbracciando.
Iniziamo a curare le loro ferite. Il piccolo ha un femore fratturato, la madre molteplici ferite alla pancia e al seno. La portiamo subito in sala, per operarla d’urgenza, mentre il bambino rimane in reparto, in attesa dell’intervento.
Il padre è sempre lì, a coccolare il suo bambino per cercare di placarne il pianto. Trascorrerà tutta la notte vicino a lui: il giorno dopo, al mattino, lo troveremo ancora lì, che prova ad accennare un sorriso.
“Fuori c’è la guerra, ma non per questo posso chiudermi in casa: ho la responsabilità di vivere, per me e per i miei figli”, sentiamo dire spesso dai nostri pazienti.
Ecco la quotidianità di Kabul.
- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -