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Pasquale Hamel “Breve Storia della Società Siciliana (1790 – 1990)” (Sellerio)

Un prezioso vademecum per capire l’evoluzione della storia siciliana negli ultimi due secoli

di Emanuele G. - martedì 30 agosto 2011 - 4090 letture

Il saggio di Pasquale Hamel fu pubblicato per la prima volta nel 1995. Da allora ha riscontrato un successo più che confortante. Credo che la ragione del successo sia da rinvenire nella forte chiarezza espositiva che permette al lettore di ricostruire in maniera efficace la storia della nostra terra. Ora la sua ripubblicazione da parte di Sellerio.

Il punto di inizio è il periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese. La Sicilia è ancora sotto il gioco del Regno Borbonico. Periodo di notevoli contrasti e permeato da un’ansia di rinnovamento piuttosto accentuato. Purtroppo le sciagurate politiche adottate da Napoli in Sicilia non solo frenarono velleità riformiste, ma consolidarono ancora di più quei ceti che giocheranno un ruolo preponderante – in negativo – negli anni a venire. La situazione non si discosta molto allorquando entra in campo lo Stato Sabaudo. Autore di una politica davvero scellerata in Sicilia. Una politica che isolò di fatto l’isola nei confronti del resto del Regno. Una politica che finì con il rinforzare i ceti latifondisti veri responsabili della generale arretratezza siciliana. Politica – è bene rimarcarlo – che determinò l’emergere della mafia come strumento essenziale di intermediazione e potere.

Il problema centrale è che nessuno degli altri ceti era in possesso di una sua forza in grado di determinare scelte di vera riforma in Sicilia. Spesso – per ovvi motivi – divennero strumento in mano ai ceti dominanti. All’alba del novecento assistiamo all’appalesarsi di tre progetti di profonda riforma qui da noi. Mi riferisco ai Fasci Siciliani, al progetto Florio e al cooperativismo cattolico. Essi apportarono alcuni significativi cambiamenti che tuttavia avrebbero necessitato di ben altra classe dirigente per ottenere risultati più duraturi e certi. Sullo sfondo l’eterno problema rappresentato dall’emigrazione. Utilizzato dallo Stato come elemento di stabilizzazione sociale. Eppure le rimesse degli emigranti determinarono alcuni discreti feedback sulla società siciliana dell’epoca.

Il Fascismo, per nulla interessato a un modello di sviluppo impostato sull’industria, puntò sull’agricoltura dispiegano un’intensa azione di infrastrutturazione delle campagne di allora. Il risultato avrebbe potuto raccogliere significativi successi se l’agricoltura avesse adottato schemi industriali e non di mera sussistenza. Nel secondo dopoguerra si assisté a moti per ottenere la terra per i contadini. Movimento destinato a fallire poiché scopo della politica era non più la campagna, ma la città. Ciò contribuì a creare quei presupposti al dilagare di un ceto politico essenzialmente parassitario e al preoccupante ed intenso infiltrarsi della mafia in seno alle istituzioni e alla società siciliane. Unico tentativo di dare una risposta ai mille problemi siciliani fu l’esperienza del millazismo fallito per le ambiguità tipiche della società siciliana e i riflessi sulla politica nazionale. Per il resto un’alternanza fra sporadiche manifestazioni innovative, vedi la Presidenza Mattarella, e la staticità. Situazione che fu definita da Sciascia come “irrimediabile”. Nel senso che non c’è alcuna possibilità di riscatto per la nostra Sicilia. Forse dovremmo lagnarci di meno ed essere maggiormente protagonisti del nostro presente.


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