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Parlare di cibo a scuola

Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei? Riusciremo a sfamare tutti, e in maniera sostenibile? Cosa se ne sa davvero del cibo? A Urbino è stata realizzata una prima indagine conoscitiva tra gli studenti

di Mario Corsi - domenica 28 luglio 2019 - 2063 letture

Alla luce delle molte riflessioni fatte [1] emerge evidentemente, come ineludibile, la domanda relativa ai rapporti tra costrutti culturali creati e valori fattuali relativi a questioni che inevitabilmente, data la natura della questione, investono la vita di tutti gli individui.

In epoca di conclamate “post-verità” è quindi interessante investigare come in tale contesto avvenga la costruzione del quadro informativo, cercando di comprendere se e come questo sia legato alla costruzione di un immaginario piuttosto che alla corretta interpretazione delle tematiche e delle problematiche sottese a un tema di così vitale importanza.

Fare previsioni e portarle al dibattito pubblico è indubbiamente operazione non esente da rischi ma non farne è sicuramente poco responsabile in quanto nega uno dei diritti fondanti della nostra società: quello basato sulla correttezza e completezza delle informazioni necessarie per compiere delle scelte. In campo comunicativo si parla molto, spesso a sproposito, del cibo, della sua qualità e delle ricadute che ha sulla qualità della vita. Non altrettanto si parla invece della sua produzione e delle tematiche a essa associate. Così, ci si dimentica a volte che il primo vincolo è, ovviamente, quello legato alla popolazione da sfamare. Tale grandezza, a volte considerata quasi fosse una variabile indipendente, risulta, almeno nel breve e medio periodo, in continua crescita a livello mondiale [2] e le tematiche connesse con la scarsità del cibo forse troppo superficialmente sono assimilate a semplici limiti organizzativi e di ridistribuzione delle risorse visto che il massimo contributo a tale aumento giunga notoriamente da paesi bisognosi di miglioramento nell’apporto alimentare.

Un secondo vincolo, strettamente interconnesso con il primo, è rappresentato dalla sostenibilità energetica e ambientale delle filiere produttive in grado di assicurare a tutti quanto necessario per il loro sostentamento. L’entità e la relativa sottovalutazione di questo fatto possono essere esemplificativamente ricondotte ad alcuni numeri che gettano più di un’ombra sul futuro del pianeta, almeno nella sua versione antropizzata. Così, si stima [3], che il 70% della biomassa di uccelli sul pianeta è pollame d’allevamento mentre, fra i mammiferi, al 60% del bestiame allevato per l’alimentazione umana si aggiunge il 36% di noi stessi.

Chiaramente molto, moltissimo, può farsi sul versante dell’ottimizzazione della produzione (es. riduzione degli sprechi) ma è evidente come risulti obbligata la scelta di una via per una produzione quantitativamente e qualitativamente superiore. Qual è l’idea che collettivamente si ha sugli scenari che si prefigurano per far fronte a queste necessità? Se questi scenari dovessero comportare mutamenti profondi negli stili di vita e nell’utilizzo responsabile delle risorse la gente, in un processo che si auspica pienamente democratico, possiede le conoscenze per partecipare consapevolmente a scelte le cui conseguenze ricadono su tutti? Infine, come recepisce questa sfida la scuola, principale “agenzia” formativa per le nuove generazioni?

Immaginando di brutalizzare la sintesi di ciò che preoccupa in campo alimentare, almeno e principalmente in chi si è largamente affrancato dal problema della fame, potremmo evocare gli alimenti OGM e, più in generale, tutte le filiere industrializzate del cibo quali principali nodi culturali, nonostante che pochi conoscano con sufficiente dettaglio il significato dei temi coinvolti. In un’esemplificativa e manichea contrapposizione troviamo tutti i cibi appartenenti alle cosiddette filiere biologiche che, in quanto tali, dovrebbero rispettare ciò che natura ci ha dato (e che continua a darci visto che i processi evolutivi non si arrestano!) fornendo per la nostra alimentazione sostanze estranee a qualsiasi manipolazione apportata artificialmente dall’uomo.

Di là degli schematismi ideologici, di qualsiasi natura e tendenza essi siano, ci si trova quindi di fronte a un tipico “effetto frame” in base al quale gli esseri umani formano spesso la loro opinione quasi indipendentemente dai fatti e sulla semplice scorta delle esperienze vissute o da altri narrate. La sostenibilità nella produzione del cibo, intesa sul doppio binario della compatibilità ambientale e della capacità di far fronte ai bisogni, comporta dunque la rinuncia dell’agricoltura “industriale” a favore di una più “compatibile”? È questo un vano sogno d’Arcadia o una reale necessità per un più armonico modello di sviluppo umano?

Come le tematiche descritte prendano forma nei giovani è il principale obiettivo dell’indagine, condotta cercando di investigare la costruzione dell’idea che si ha dell’alimentazione e degli alimenti, con particolare e comparativo riguardo a quelli appartenenti alle cosiddette filiere “biologiche”, cercando soprattutto di capire quanto l’idea “immaginifica” e quella “fattuale” concorrono alla costruzione di una pubblica opinione sul fenomeno. A tale scopo si è ricorsi a un peculiare caso di studio, rappresentato da un campione degli studenti delle classi V^ degli Istituti secondari di 2° grado della provincia di Pesaro-Urbino. Tali soggetti, pur eterogenei per caratteristiche “ambientali”, dovrebbero essere accomunati, almeno sulla carta, da una spiccata sensibilità alle tematiche legate alla salubrità degli alimenti, soprattutto in virtù della grande importanza che a livello comunicativo viene riservata a questo tema. Scendendo dello specifico, il complesso degli studenti, che per le classi prescelte aveva alla data di rilevazione, primavera 2018, una consistenza di circa 3.000 unità, è stato stratificato in base al tipo di Scuola frequentata scegliendo poi, con procedura casuale, 3 classi per ognuno dei 7 strati individuati [4]. Eventuali indisponibilità a partecipare sono state “sopperite” operando, sempre casualmente, una seconda scelta. Purtroppo, tale procedura, ha portato alla non presenza di studenti appartenenti alle scuole di uno degli strati (per astensione dei relativi Istituti) il che indebolisce chiaramente la rappresentatività del campione prescelto. L’indagine promossa muove i passi dal possesso di uno strumento già testato (Corsi ed al., 2016) e qui utilizzato in versione leggermente più snella, adatta alla natura dei soggetti investigati e meglio asservibile alla metodica di una web survey.

La costruzione dello strumento, in mancanza di sufficienti indicazioni dalla letteratura esistente, è partita senza precondizionamenti, attingendo semplicemente a un vocabolario di termini e concetti ricorrenti nei media. Tale semplice approccio non ha ovviamente la pretesa della compiutezza contenutistica ma, proprio per questa limitazione, concentra l’attenzione solo su questioni che per ricorrenza informativa dovrebbero essere entrati nel “glossario” tematico di ogni giovane. Scelti gli elementi chiave, per essi si è proposta la creazione di aree di apparentamento che seguano il progressivo percorso dalla definizione dei concetti base verso quelli più dichiaratamente “tecnici”. In maniera estremamente sintetica i quesiti posti (58) sono raggruppati in 7 aree così descrivibili:

- Definizioni (12 domande). Nella sezione il rispondente dovrebbe mostrare quale sia il suo livello di conoscenza base relativa al fenomeno dell’alimentazione;

- Produzione (18 domande). Questa sezione, la più ricca e articolata, dovrebbe rappresentare la parte più critica dello strumento in quanto per mezzo di essa si dovrebbero comprendere le motivazioni che portano, in modo quasi generalizzato, ad attribuire ai cibi “biologici” prerogative di qualità (nutrizionale, organolettica e salutistica) superiore;

- Aree di produzione (5 domande). In questa breve sezione si vuol investigare quale sia la conoscenza del rispondente in relazione alla certificazione relativa alle aree di produzione in una prospettiva tipicamente italiana;

- Approccio all’alimentazione (4 domande). Si censisce, se presente, la scelta del rispondente di aderire a un particolare “stile” nutrizionale;

- Cibo e immaginario (1 domanda). Questa, comparativamente, chiede di attribuire prerogative dominanti ad alcuni brand legati al cibo valutando come la costruzione dell’immaginifico comunicativo contribuisca a formare valori non necessariamente propri dei prodotti;

- Rapporto con il cibo (6 domande). Si cerca di comprendere quale sia il rapporto personale che il soggetto ha con il cibo;

- Notizie sociografiche (12 domande). Contiene informazioni generali sul rispondente utili per individuare eventuali condizionamenti “pregiudiziali” nella costruzione del quadro informativo (una di queste è silente nella versione online!).

Lo strumento permette inoltre, in una sezione dedicata a note e commenti, di fornire indicazioni per successivi miglioramenti dello strumento.

La rilevazione dei dati è formalmente iniziata a fine 2017 e terminata entro la primavera del 2018. La partecipazione all’iniziativa è risulta assai elevata con una quota di rispondenti orientativamente pari al 90%. Dei 345 questionari per cui si è avuto accesso e compilazione, parziale o totale, 321 sono risultati utilizzabili ai fini delle analisi. Si premette alla sintetica presentazione di alcuni risultati come gli stessi vedano una notevole diversificazione, cosa facilmente intuibile, a seconda del tipo di Scuola e, in alcuni casi, anche per genere dei rispondenti.

I rispondenti si dichiarano, nella quasi totalità, più o meno consapevoli su cosa siano alimentazione e alimenti. Tali certezze divengono più labili quando il quesito investiga conoscenze maggiormente specifiche, quali quelle legate alle funzioni biologiche dei nutrienti. La dichiarata conoscenza dei principi nutritivi è elevata e tale anche quella riguardante il fabbisogno energetico giornaliero a riprova di come la pervasiva presenza mediatica e l’interesse individuale sui temi abbiano effetto. L’alimentazione è considerata un aspetto importante in maniera generalizzata e, con analoga propensione, il cibo è considerato anche come espressione culturale.

Il quadro conoscitivo diviene più confuso quando s’investigano le conoscenze relative alla produzione. Così, alcune pratiche colturali sono, di fatto, sconosciute. Sorprende forse che ben oltre la metà dei rispondenti si dica a conoscenza delle pratiche che ricorrono a OGM [5]. La compatibilità delle diverse pratiche di produzione con alcune tutele, individuali e ambientali, risulta variegata mostrando però una progressiva diffidenza verso approcci ritenuti meno “naturali”. Analogo comportamento si ha nei confronti dei processi atti a garantire la conservabilità degli alimenti.

Prudente è il giudizio nei confronti d’integratori e additivi. Per gli uni e per gli altri si caldeggia un uso limitato. Analogo atteggiamento si ha nei confronti degli alimenti alternativi prodotti dall’industria (bevande, bevande energetiche, integratori, ecc.).

Nella scelta del cibo, ovviamente, salubrità e gustosità sono le principali attrattive. Solo un rispondente su cinque si lascia guidare dal fatto che l’alimento sia definito come “naturale”. Il contenuto in grassi è invece il principale disincentivo nella scelta.

Le indicazioni riguardanti la rintracciabilità dei prodotti sono viste quale requisito obbligatorio nell’etichettatura in maniera generalizzata. Di contro, la richiesta individuazione del tipo di tutela a fronte di alcuni noti acronimi che la indicano (es. D.O.C.) è assai più vaga anche se si ritiene ciò efficace per la tutela del consumatore.

Non tutti i rispondenti sono in grado di specificare i tratti caratteristici di alcun “stili alimentari”, dato che caratterizza oltre un terzo dei rispondenti nel caso della dieta ipoglucidica e ovo-vegetariana. Sorprende forse che solo uno su sette dichiari di non conoscere le caratteristiche della dieta “vegana”. Circa un soggetto su tre dichiara di seguire abitualmente uno stile alimentare controllato e lo fa, principalmente, per la pratica sportiva, per il contenimento del peso corporeo o per la qualità alimentare che ne deriva. Comunque sia circa due soggetti su tre dichiarano di avere idea sull’ammontare dell’apporto calorico giornalmente assunto.

In una società basata sulla comunicazione è interessante osservare come ad alcuni brand legati al cibo siano associate prerogative non necessariamente in linea con quelle naturalmente attribuite (valori assoluti). Anche qui sembra emergere un’opinione più dettata dal “si dice” piuttosto che maturata attraverso una consapevole ricerca d’informazioni.

È possibile leggere una qualche forma “pregiudizio ideologico” nei dati ottenuti dall’indagine? Alcune voci chiedono di valutare la compatibilità delle forme di produzione alimentare con aspetti legati, rispettivamente, alla tutela della salute, alla preservazione delle caratteristiche organolettiche, alla necessità di fornire cibo a sufficienza e alla preservazione ambientale. Chiaramente ovvio prerequisito all’espressione di giudizi a riguardo dovrebbe essere la conoscenza, anche indicativa, delle forme di produzione elencate, così come dedotta dalle risposte ad altre domande. Così, l’essersi dichiarato non a conoscenza del significato della produzione ingegnerizzata dovrebbe indurre, prudenzialmente, a non esprimere giudizi sulla sua compatibilità con qualsiasi aspetto. Paradossalmente, ammesso che le risposte non presentino eccessivo “rumore” da compilazione casuale, viene espressa invece valutazione anche a fronte di una dichiarata non conoscenza. Esemplificativamente, per valutare quanto questo fatto risulti importante, si sono dicotomizzate [6] le risposte relative ai giudizi nelle due categorie “esprimo giudizio”, “non so/non conosco” valutando l’associazione statistica con la dichiarata conoscenza “so, anche indicativamente”, “non so”. I valori di associazione [7] ottenuti per le voci investigate indicano come si sia ben lontani dalla situazione auspicata (associazione massima) evidenziando la presenza di un cospicuo numero di soggetti che, pur essendosi dichiarato all’oscuro della particolare pratica agronomica, si sente “informato” al punto da esprimervi giudizi di merito trasferendo forse in questo altrui opinioni o mostrando un classico pregiudizio (termine questo qui usato senza attribuirgli la connotazione negativa!). Di là dei giudizi, di qualsiasi natura essi siano, sembrano quindi al momento sussistere fondate indicazioni sul fatto che anche in questo fondamentale ambito si presenti un effetto frame tendente a ridurre drasticamente e semplicisticamente la complessità del fenomeno e delle sue conseguenze!

In conclusione, dai risultati sembra emergere la necessità che il sistema educativo promuova e migliori criticamente il quadro conoscitivo delle future generazioni affinché, più delle precedenti, concorrano a creare un più coerente, armonico e sostenibile modello di sviluppo. “C’è grano e grano” e non sarà una comunicazione superficiale, parziale o anche ‘‘fantasiosa’’ a renderlo migliore!


Mario Corsi è ricercatore in Statistica sociale presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo dal 1996. Docente presso lo stesso Ateneo, da sempre si è occupato di questioni inerenti la programmazione e valutazione dei servizi dedicati alla persona. In anni recenti si è dedicato anche alla definizione dei profili di alcune particolari professioni e delle questioni legate alla comunicazione, con particolare riferimento ai temi legati alle tematiche ambientali. Vanta numerose pubblicazioni tutte relative ad altrettante indagini empiriche condotte sul campo.


Questo contributo rappresenta sintesi e riflessione critica operata sui contenuti del volume: Matteucci I., Corsi M., Russo M., Conoscenza e comunicazione come primi strumenti di prevenzione. Un’indagine sulla Food Literacy di giovani studenti, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2018.

Articolo correlato: Massimo S. Russo, A partire dal cibo, in: Girodivite, 28 luglio 2019.


[1] Cfr. anche: Massimo S. Russo, A partire dal cibo, in: Girodivite, 28 luglio 2019.

[2] Fonte: previsioni ONU 2012

[3] Yinon ed al., 2018, “Proceedings of National Academy of Sciences”

[4] Le tipologie appartenenti agli strati individuati risultano essere i Licei (Classico, Scientifico, Altro Liceo), gli Istituti tecnici (Settore economico, Settore tecnologico) e gli Istituti professionali (Settore servizi, Settore industria e artigianato).

[5] Ricordiamo come la definizione, anche normativa, di OGM segua più aspetti legati alle tecniche per la manipolazione del patrimonio genetico che non la sua sostanziale alterazione (Bressanini D., Mautino B., Contro natura, Rizzoli, Milano, 2015)

[6] La consapevole rinuncia al contenuto informativo deriva dalla necessità di schematizzare l’analisi tenuto anche conto di come molta della variabilità dei giudizi sia imputabile più a prudenza che non a reale capacità di graduazione delle proprie opinioni.

[7] Si tratta di misure statistiche, quali il coefficiente di correlazione tetracorico (Chiorri C., Fondamenti di psicometria, McGraw-Hill, Milano, 2010), atte a valutare la significativa presenza di condizionamenti presenti tra le modalità dei due caratteri.


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