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Otpor, il movimento non violento anti-Milosevic, ha fatto scuola al Cairo

Per gentile concessione di Radio Europa Unita

di Emanuele G. - giovedì 24 febbraio 2011 - 2962 letture

L’organizzazione giovanile che ha guidato la rivolta anti-Mubarak si è ispirata a quella del 2000 in Serbia.

Abilità nell’utilizzo dei social network, tenacia, costanza, movimentismo, indipendenza dai partiti e una coesione da ultrà. Sono questi gli ingredienti che, durante la rivoluzione egiziana, hanno scandito l’azione del movimento 6 aprile, il gruppo, all’interno della fitta costellazione delle sigle giovanili, che più ha recitato la parte del leone. Nonché quello più organizzato. Sulla Midan Tahrir, i suoi militanti, ha riportato domenica il New York Times in un’ampia inchiesta a loro dedicata, hanno infatti messo a frutto le tattiche apprese durante due anni di preparazione, durante i quali si sono “cibati” di libri e teorie sulle rivoluzioni dal basso, apprendendo le relative tecniche di mobilitazione e coniugandole all’uso sapiente degli strumenti tecnologici.

Una delle esperienze a cui gli esponenti del movimento 6 aprile si sono rifatti maggiormente, ha scritto il quotidiano newyorkese, è quella di Otpor (resistenza), la potente “armata” giovanile serba che, facendo sue le idee del politologo americano Gene Sharp, stratega delle rivolte civili nonviolente, contribuì alla cacciata di Slobodan Milosevic nell’ottobre 2000. La riprova è che il gruppo egiziano ha scelto come logo quello stesso pugno chiuso, stilizzato, che a suo tempo figurava sui manifesti e sugli striscioni degli attivisti serbi.

Ma il legame tra le due brigate non sarebbe solo teorico. Alcune testate internazionali hanno riferito che i rivoluzionari egiziani, in questi due anni, hanno contattato i reduci di Otpor – a quanto pare qualcuno si sarebbe anche recato a Belgrado – e da loro avrebbero appreso, direttamente, i segreti della mobilitazione di piazza. Incluso quell’uso arguto di frasi taglienti, finalizzate a cementare l’unione tra studenti, operai e fasce deboli della società, che contraddistinse le adunate oceaniche di Belgrado. «Loro vanno avanti a pollo e piccioni, a noi non restano che i fagioli», s’è sentito dire in piazza Tahrir nei giorni scorsi.

Come i ragazzi di Belgrado, anche quelli del Cairo hanno vinto. Alla stregua di Slobodan Milosevic, pure Hosni Mubarak ha ceduto alla pressione incontenibile della piazza. Ma la battaglia non è ancora finita. I giovani egiziani, è sempre il New York Times a riferirlo, sono pronti a esportare le loro tattiche ovunque, nell’arco mediorientale, ce ne sia bisogno. «La Tunisia è stata la forza che ha smosso l’Egitto, ma l’Egitto sarà la forza che smuoverà il mondo. Se in ogni paese arabo un piccolo gruppo di persone perseverasse come abbiamo fatto noi, allora sarebbe la fine di tutti i regimi», ha dichiarato Wali Rashid, uno dei membri più in vista del movimento 6 aprile, precisando che domenica scorsa lui e altri militanti, nonché i reduci della rivoluzione tunisina (con i quali il movimento 6 aprile aveva da tempo stabilito contatti) hanno incontrato attivisti democratici provenienti da Libia, Algeria, Marocco e Iran.

Anche qui si riscontra un’analogia con l’esperienza di Otpor. I giovani serbi, dopo l’uscita di scena di Milosevic, non hanno infatti deposto le armi. Convinti che la loro fosse una missione universale, hanno messo lo zampino nelle due “rivoluzioni colorate” che, negli anni successivi, hanno scosso l’area post-sovietica: quella delle rose in Georgia e quella arancione in Ucraina. Nella piccola repubblica caucasica, nel 2003, dopo un ciclo di conferenze tenuto a Tbilisi da Slobodan Djinovic (uno dei fondatori di Otpor) e una visita di attivisti georgiani a Belgrado, venne alla luce il movimento Kmara (È troppo), che fu uno dei fattori che portarono alla fine dell’era Shevarnadze e all’ascesa di Mikhail Saakashvili. Il simbolo di Kmara? Il pugno chiuso. L’anno dopo, a Kiev, nacque invece Pora (È l’ora), gruppo anch’esso ispirato dalla storia di Otpor, che risultò uno dei motori determinanti della rivoluzione di Viktor Yushchenko e Yulia Tymoshenko. Anche in questo caso Otpor aiutò a stendere la sceneggiatura, se è vero che alcuni militanti serbi vennero espulsi dall’Ucraina.

Ce la faranno i giovani egiziani – questa la domanda – ad aprire altri fronti? Staremo a vedere. Ma prima c’è una questione più urgente con cui fare i conti. Si tratta di capire, infatti, se il movimento 6 aprile e le altre organizzazioni giovanili riusciranno a incidere, come pretendono, sulla politica egiziana. È prematuro tracciare uno scenario. Tuttavia, guardando alle esperienze di Otpor, Kmara e Pora, esce un quadro poco incoraggiante. Tutti e tre questi gruppi, una volta vinta la rivoluzione, furono assorbiti dai partiti dell’opposizione o entrarono in crisi. Ma non è detto che in Egitto debba accadere lo stesso. A prescindere da analogie e affinità, ogni storia è sempre una storia a sé.

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