Nuovi femminismi
Femminismi: pagine in fermento.riflessioni e confronti tra le varie anime del femminismo si misurano più dichiaratamente che in passato.
Femminismi: pagine in fermento
di Monica Luongo da http://www.donnealtri.it/articoli/locale_globale/locale_globale.html
Leggendo i saggi di donne pubblicati negli ultimi mesi e scegliendone qualcuno da segnalare in un percorso ideale "marzolino", ci si accorge che il dibattito sullo stato dei femminismi possibili è in ebollizione come non si vedeva da tempo. In barba a chi ne ha più volte decretato la morte e l’agonia, la questione vola via internet e per fortuna ancora sulla carta da un oceano all’altro. Gli approcci e i contesti sono ovviamente differenti, l’insofferenza è invece tangibile; riflessioni e confronti tra le varie anime del femminismo si misurano più dichiaratamente che in passato.
Lo fa Anna Rossi-Doria in A che punto è la storia delle donne in Italia, esempio raro di come gli atti di un convegno (qui si trattava di una giornata di studi storici promossa dall’Unione Femminile Nazionale per ricordare la scomparsa di Annarita Buttafuoco) possono essere sottratti alla noia abituale per dare vigore al dibattito. La curatrice tratteggia la condizione attuale degli studi storici delle donne e mette interrogativamente sul piatto il rapporto tra storia e politica delle donne, quello tra storia sociale e storia politica e infine quello tra storia delle donne e la "cosiddetta storia generale". Nelle sue riflessioni non risparmia né la critica alle femministe che hanno posto nel ventennio precedente l’accento sul genere che contrappone con l’elaborazione della filosofia della differenza il concetto di genealogia, "che è di per sé antitetico al concetto di storia", né alle stesse storiche che "in questi anni di lavoro ricco e proficuo, non hanno esplicitato non solo e non tanto le loro metodologie, quanto e soprattutto i dissensi anche profondi che intorno a esse nascevano".
Sulla stessa scia, a conclusione del volume l’intervento di Emma Baeri che individua nell’abbandono della pratica dell’autocoscienza "come orizzonte di riferimento teorico e politico" un percorso all’indietro verso un "personale che non è più politico e il privato è sempre più pubblico"; e la pressione del potere pubblico sul corpo delle donne è sotto gli occhi di tutti, quel corpo che è diventato pubblicamente clandestino.
Con approccio e metodo differente, Judith Butler in una raccolta di interventi tenuti quattro anni fa e oggi tradotti in italiano con il titolo La rivendicazione di Antigone, cerca attraverso il mito di trovare i legami possibili tra Stato e istanze femministe, si interroga su come oggi sia possibile ridefinire il concetto di famiglia e dei legami affettivi, in una epoca in cui la famiglia viene idealizzata e al contempo non vengono riconosciute ancora pienamente le relazioni omosessuali e come Antigone, non è possibile piangere i propri cari quando sono morti di aids. Quali dunque, i nuovi principi di intelligibilità, le nuove regole che potranno legittimare le rinnovate affettività familiari? Butler risponde servendosi con metodo più libero da schemi alla stessa maniera di Kant e di Irigary, di Lacan e Sofocle.
In fondo le tematiche attuali che investono le diverse anime del femminismo stanno facendo i conti con la presenza delle donne come soggetto politico, capace oppure no di imporre il proprio sguardo alla sfera pubblica.
Non a caso il libro che l’anno scorso ha fatto discutere di più è stato "Fausse route" di Elisabeth Badinter - in uscita a breve in Italia per i tipi di Feltrinelli. La strada sbagliata sarebbe, di nuovo, quella del femminismo della differenza che ha portato lontano dalle battaglie sociali, quelle per l’equità di salario, per le quote in parlamento, insomma per le pari opportunità. A suo sostegno Badinter chiama i numeri, le cifre della disparità di salario oppure l’assenza di una legge specifica in Francia in materia di molestie sessuali, realtà presente negli Stati Uniti dal 1992; e poi mette l’accento sulle contraddizioni che vengono dall’eccessiva rigidità di dettami che da un lato spingono le donne al godimento della propria libertà mentre dall’altra chiedono rigore e coerenza: il femminismo moralista sarebbe dunque la causa principale del fallimento delle donne che di nuovo Baeri definisce osceno, nella sua accezione latina, ossia fuori dalla scena.
Ne ha scritto mesi fa Letizia Paolozzi in questo sito, cercando un raffronto con la realtà italiana e ponendo l’accento sulla mancata relazione tra sessi, sulla chiusura al dialogo; tema ripreso di nuovo in Francia dai sociologi Alain Bihr e Roland Pfefferkorn che in "Hommes femmes. Quelle égalité?" presentano uno studio su larga scala volto a dimostrare come nel loro paese le donne continuano a essere vittime della società contemporanea nonostante alcuni risultati indubbiamente raggiunti, prima tra tutti la disparità di salario e l’ineguale accesso alle mansioni di comando nel lavoro e nella politica.
Poggiando su studi statistici e inchieste corpose che mettono insieme dati sociali e cifre dell’economie, i due autori attribuiscono - di nuovo - al femminismo degli ultimi vent’anni la responsabilità di un ripiegamento, perché "solo la passività dei dominati può fare la fortuna dei dominanti" e le donne sarebbero ree di una passività volontaria che, però, anche loro ammettono essere fenomeno più difficile da spiegarsi con la teoria che combattere politicamente. Anche in questo caso, la sostituzione della declinazione di sesso con quella di genere avrebbe snaturato le identità sessuali conferendo a esse solo una carattere culturale e solo l’apertura al confronto col maschile potrebbe arrivare a soccorrere le incombenti donne. Credo che al di là delle elaborazioni teoriche non debba mancare di considerare importante nel dibattito il lavoro continuo che le donne fanno sul terreno quotidiano, quando con il loro lavoro, quando con l’impegno sociale o le pratiche di studio e di confronto. E’ indubbio che negli ultimi due anni i movimenti pacifisti abbiano avuto un ruolo rilevante nel dibattito sulle guerre in corso, sui movimenti no global e sulla non violenza. "Donne disarmanti" curato da Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo, raccoglie storie e testimonianze su "nonviolenza e femminismi" - così riportato nel sottotitolo -, di donne che hanno costituito reti nazionali e internazionali, convinte che solo la pratica della non violenza porti ai risultati di pace. Nel volume, come è uso diffuso negli Stati Uniti, anche un Manuale per l’azione diretta nonviolenta, che le curatrici amano scrivere senza interruzioni, a sottolineare il carattere moralmente forte della loro azione.
da leggere Anna Rossi-Doria (a cura di) "A che punto è la storia delle donne in Italia" Viella, 186 pagine, 15 euro
Judith Butler "La rivendicazione di Antigone" Bollati Boringhieri, 112 pagine, 13 euro
Monica Lanfranco Maria G. Di Rienzo (a cura di) "Donne disarmanti" Intramoenia, 276 pagine, 13 euro
Elisabeth Badinter "La strada degli errori" Feltrinelli, 136 pagine, 11,5 euro
Alain Bihr, Roland Pfefferkorn "Hommes femmes. Quelle égalité?" Les editions de l’atelier, 350 pagine, 22 euro
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Ciao Monica, volevo farti i miei complimenti per l’articolo e volevo dirti che anch’io mi chiamo Monica Luongo, sono di Pontelatone in provincia di Caserta.ciao
anche da parte mia complimenti. ti segnalo una discussione che puo’ essere interessante per comprendere lo stato dell’antifemminismo e del sessismo in Italia
shttp://italy.indymedia.org/forum/viewtopic.php?p=215931