Nove figli su dieci: la storia di Khan Younis, pediatra a Gaza
La storia ci ha insegnato che nessuna vita è separata dalle altre, pertanto il dolore della madre, del padre e del figlio sopravvissuto deve farci volgere lo sguardo verso Gaza.
Madre Gaza
Nel raid su Khan Younis una coppia ha perso nove figli su dieci. La madre è una pediatra, lei che ha curato i figli degli altri ha perso i suoi. La tragedia della coppia e il dolore indicibile della madre sono emblematici della tragedia di un popolo che si sta consumando sotto i nostri occhi. Necessitiamo di capacità empatica per “immaginare e sentire pallidamente” il dolore di un padre e di una madre e il doloroso futuro del sopravvissuto. La forza distruttiva delle armi non risolve e non risolverà il conflitto, ma prepara, e forse lo si vuole, nuove guerre. I sopravvissuti che recano con sé simili tragedie non potranno che bruciare dalla rabbia nel constatare l’indifferenza del mondo verso il loro sacrificio.
Degli innocenti sono caduti durante il raid come in tanti altri. Tutto questo non aiuta e non aiuterà il popolo palestinese e il popolo d’Israele a ritrovare la pace e la comune umanità. Le tragedie alzano barriere, costruiscono trincee interiori che diverranno fili spinati reali tra i quali le vite perderanno la loro umanità prima ancora che la propria esistenza.
In tutto questo l’Europa tace. Noi europei, mentre le immagini e i suoni di sirene e di roboanti deflagrazioni corrono sui nostri schermi continuiamo la vita di sempre. Abbiamo accettato la legge del più forte come l’unica legge che può disegnare il nostro presente e il futuro. Siamo colpevoli di tale fatale e letale accettazione; siamo colpevoli dinanzi ad ogni caduto in ogni guerra che si consuma nel nostro tempo. Il pensiero critico ed empatico è stato sostituito dal calcolo egoistico.
Siamo colpevoli dinanzi al presente, i nostri pensieri non si lasciano toccare dal dolore degli innocenti, ma continuiamo a trascinare le nostre esistenze in fatui piaceri come se nulla fosse. La patologia dello spirito che ammorba l’Occidente produce indirettamente simili tragedie, in quanto abbiamo rinunciato all’impegno politico e non ascoltiamo lo scandalo etico che simili eventi provoca in noi. Si distoglie lo sguardo atterriti e si prosegue senza voltarci indietro.
Ogni vero cambiamento può avvenire solo ascoltando il dolore di ogni caduto in una guerra, nella quale tutti i popoli sono perdenti. Il primo passo per uscire dalla palude dell’indifferenza, in cui il sistema con i suoi inganni ci ha condotti è soffermarci su dolori così immensi, solo in tal modo possiamo diventare consapevoli che nei nostri giorni è in corso una guerra di sterminio in cui sta morendo la nostra umanità. In simili frangenti storici ci viene incontro l’umanesimo sepolto tra le macerie della storia e del presente:
«Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me»
Le parole di Terenzio, oggi sono lacere e dimenticate; per ritornare a fare della politica il centro della vita e dell’incontro esse devono risuonare in noi e oltrepassare il filo spinato dell’indifferenza e del calcolo strumentale. La tragedia di Khan Younis non è unica e non sarà l’ultima, dinanzi a una simile verità ricordiamoci che gli olocausti sono accaduti, sempre, per l’indifferenza complice di molti.
La storia ci ha insegnato che nessuna vita è separata dalle altre, pertanto il dolore della madre, del padre e del figlio sopravvissuto deve farci volgere lo sguardo verso Gaza. La legge darwiniana della forza non è una legge di natura, ma una scelta politica e di questo non dobbiamo tacere.
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