Non entrare mai lì!
un racconto, sulla Urbino di un quindicennio fa...Studenti, posti, luoghi, droghe, proteste, speranze. Un condenzato di quello che era Urbino e non lo sarà mai più...
di Stefano Mauro i racconti di Territorio Musicale
Mi raccomando, non entrare mai in quel posto, gira la droga lì”. Prima del bacio d’addio, la madre glielo aveva calorosamente ordinato. Nella casa, il letto di quella singola senza finestra di via del Leone, era stato testimone di quell’ordine, insieme con i vestiti da lei sistemati con cura nell’armadio di fianco alla scrivania. Quella voce aveva risuonato, per il lungo corridoio, fino alla cucina.
Nei giorni d’inverno, dopo mensa, trascinato dagli amici, si era concesso un caffè in quel posto pericoloso, sopra la mensa del Duca. Quel posto col suo grande salone, e in fondo il bancone con la coppia di signori anziani a servire te, caffè e birra anche nel pomeriggio. I tavoli colorati di fòrmica, disposti ordinatamente in file da otto. All’ingresso invece, opposti al bancone, i bigliardini e i videogiochi, primo tra tutti il Tetris.
A fianco del magazzino i bagni, con le finestre che prendono luce da via Budassi e quelle siringhe sul tetto di fronte, poco più in basso. Tubicini da insulina, a punta, sottili, con l’ago spezzato dalla caduta o incastrato tra i coppi delle case adiacenti al Cinema Ducale. Esili biro di rosso gettate di fretta, fatte sparire prima del flash e affidate al tempo come un messaggio in bottiglia viene consegnato al mare con la speranza di uscirne fuori vivi, presto, ma non subito.
“Aveva ragione mia madre” aveva pensato mentre con lo sguardo fuori sentiva il rumore risalire dal water, prima di chiudere la cerniera. Ci aveva preso gusto ormai, andava lì ogni pomeriggio ed ogni sera. All’ORUM, il circolo universitario di piazza San Filippo, sotto la casa dello studente, in quel palazzone dell’ERSU dalle sembianze post trentennio, aveva conosciuto i suoi compagni di corso.
Lì c’erano tutti, purché non “inprofumati”: quelli del teatro, con le loro stravaganti maschere di cuoio progettate e lavorate sui tavolini; i ragazzi del movimento, sempre a gesticolare, e le birre sul tavolo a rischio caduta; i giocatori di biliardino, rumorosi e incuranti; i patiti del Tetris che non avrebbero conseguito lauree se non dopo aver superato il centesimo livello.
Con la schiena al bancone, sulla sedia, le braccia caduche, dormiva davanti a tutti il ‘ tipo fatto ’; un pezzo d’arredamento che la Maria, Giovanni e il loro figlio Antonio conoscevano bene: un reduce degli anni ottanta. “In quegli anni ho dovuto bucare tutti i cucchiaini, rimanevo sempre senza, me li rubavano”, ripeteva la Maria a chi le chiedeva di raccontare un po’ di storia del circolo. Era morto anche un ragazzo, nella stanza 17. Un giovanissimo, vittima di roba troppo tagliata, o troppo buona. 15 anni prima, anche ad Urbino,” l’isola felice”, era arrivata l’onda di morte: l’eroina.
Il rinnovamento della società passava dalla lotta al sistema che rispondeva immettendo veleno negli ambienti dove le idee prendevano forma. Droga iniettata nei vasi sanguigni della protesta, a drenare i sogni di libertà e giustizia, a sedare la rinascita idealista di una generazione.
“Ma chi l’aveva portata tutta quella roba. Possibile che non si poteva fermare quella invasione di morte?”, pensava.
E poi c’era lei, al circolo. Un circolo pieno di donne, ostinate, impegnate, con le sciarpe di lana color pisello e rosa. Lei, la più bella, quella che prendeva il caffè alle 2 di pomeriggio, conversando con la Maria, arrabbiandosi quando questa le storpiava in nome riducendolo a poche sillabe. Dall’accento doveva essere di Urbino, la bella. Lui aveva teso bene l’orecchio per cogliere segreti e informazioni, spinto da quella curiosità che solo l’attrazione amorosa fa nascere.
L’aveva poi conosciuta, una sera, a casa di amici, studenti di sociologia. Quella casa aperta in cui si entrava spingendo il portone con un calcio. E giù partite a Risiko e qualche canna. Poco prima, al circolo, aveva ricevuto un invito e aveva seguito il gruppo. Dopo il calcio era entrato per ultimo. C’era lei, seduta con le braccia sul tavolo e delle carte da gioco in mano. I sociologi facevano discorsi seri. Si parlava di unirsi agli studenti che volevano occupare magistero. Si doveva seguire l’esempio degli attivisti di altre università più grandi, degli studenti che si stavano organizzando, con azioni importanti, per protestare contro la riforma. I primi novanta, la “Pantera” a Urbino era ancora piccola, era un micetto nero.
Poi partì la protesta urbinate: assemblea generale al Tridente e l’occupazione di Magistero. E quel micino divenne un gattone arrabbiato, quel murale al piano B prese forma. Al Magistero c’erano le aule autogestite, l’assemblea permanente, le botte con i soliti fanatici fascisti e quel tipo che suona la chitarra connesso all’impianto dell’Aula Magna. Lo sgombero.
La sera, dalla piazza, piena non solo di giovedì, anche lui era partito di corsa verso piazza San Filippo e si era “infilato”dentro il circolo, sfiorando il murale all’ingresso: quel graffito, di anni prima, con le siringhe al posto dei Torricini e la scritta “Urbino da pere”. Si sentiva distante dai cocainomani dei discopub della piazza e dai bar “fighetti”, era lontano dalle pere degli ‘80 sui coppi di via Budassi. Il mito del “Che” l’esempio che doveva seguire, il Movimento non poteva essere fermato. Gli anni passavano, come era passata la riforma del ’91. La Pantera era vecchia e perdeva il pelo. Stava arrivando una nuova generazione di studenti, la “mandata” cresciuta dalla Fininvest di “Non è la rai”.
Maria e Giovanni, testimoni dal ’52 del cambiamento dei costumi e dell’invariabilità della lotta, nel ’94 andarono in pensione. Il governo della Città chiuse il circolo. Occupato e riaperto dal Movimento, di li a poco sgomberato, nell’alba di una mattina di febbraio, le vacanze di Carnevale. “Ogni vacanza, a Urbino, è il termine naturale di ogni proposta, protesta e lotta”, pensava. Questa Isola felice diventa, durante i periodi in cui gli studenti tornano a casa, una penisola da invadere via terra. Una rocca di ideali senza uomini e donne a difesa.
Urbino non avrà più un posto così, uno spazio da non frequentare per non far preoccupare i genitori. Niente più piazza al coperto dove ridere e studiare di giorno piangere sognare e innamorarsi di notte, estensione naturale di quella stanza senza finestra ricavata da uno sgabuzzino di una casa in via del Leone.
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Ricordo con nostalgia il mitico pur apperentemente mostruoso circolo. Quei pavimenti segnati dalle migliaia di cicche spente che sembravano decorazioni naturali delle mattonelle. Era il nostro punto di ritrovo per poi organizzare la serata e se cercavi qualcuno era scontato dover passare al circoletto. Lì Trovavi i pass gratuti per andare nelle discoteche di Urbino (Amnesia, Club83) di Rimini e Riccione e i PR ti indirizzavano nei luoghi di tendenza della serata e se magari era una bella ragazza ti spettava anche il sussidio delle consumazioni gratuite da divedere con gli amici. Se si organizzava una festa ai Collegi si partiva spesso da lì in gruppi facendosi magari prima un birra da Maria...Che tempi quelli da non dimenticare...!!!