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Non basta essere contro. Il nostro nuovo "che fare"

"È necessario essere contro il razzismo, il fascismo e i suoi rigurgiti, la discriminazione, le disuguaglianze, ma non basta, soprattutto se si vogliono aprire nuove prospettive, dice Rutger Bregman". Un intervento di Peppe Civati.

di Redazione - mercoledì 6 settembre 2017 - 6052 letture

«Con questo non intendo una narrazione che stuzzichi qualche fighetto. Intendo dire che oggi la sinistra europea sa dire solo cosa non è. E contro chi è. Contro l’austerity. Contro l’establishment. Contro l’omofobia. Contro il razzismo. Contro ogni cosa! Noi invece abbiamo bisogno di essere a favore di qualcosa. Abbiamo bisogno di immaginare una società diversa e di dare alla gente una speranza. Martin Luther King non diceva: “Ho avuto un incubo”. Diceva: “Io ho fatto un sogno”» (Rutger Bregman in Simonetta Fiori, «Ma ci serve ancora un mondo ideale», Repubblica, Robinson, 3 settembre 2017, p. 7).

È necessario essere contro il razzismo, il fascismo e i suoi rigurgiti, la discriminazione, le disuguaglianze, ma non basta, soprattutto se si vogliono aprire nuove prospettive, dice Rutger Bregman in Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale (Feltrinelli).

Non può esserci politica e non può esserci sinistra senza immaginazione, per rendere realistico ciò che non è ritenuto tale e ‘inevitabile’ ciò che è ritenuto impossibile.

Mentre sta per uscire Retrotopia di Bauman, in un mondo di sedicenti Mr. Wolf che risolvono i problemi, per Bregman si deve tornare a immaginare quei mondi che non esistono.

Per Bregman si tratta di dare il via a un programma vasto e ambizioso per contrastare la povertà (un programma incondizionato, potremmo dire), la riduzione delle ore lavorate (soprattutto per alcuni lavori), una gestione più aperta delle migrazioni (pensate un po’), una meritocrazia ripensata che premi insegnanti, infermieri, netturbini: “follie” razionali, per usare un ossimoro altrettanto forte dell’“utopia per realisti”. Se davvero siamo immersi in una grande transizione – una transizione matrioska in cui le grandi questioni sono una dentro l’altra – allora ci vuole un grande afflato di cambiamento.

Un invito che riguarda la nostra generazione e la prossima, se è vero che negli ultimi anni le migliori intelligenze si sono concentrate nel mondo finanziario: «immaginate come sarebbe diverso se i migliori della nostra generazione dovessero applicarsi alle massime sfide dei nostri tempi. Il cambiamento climatico, per esempio, e la popolazione che invecchia e la disuguaglianza… questa sì che sarebbe vera innovazione». Venture capital sarebbe il governo, ispirato da una politica diversa, che sappia superare di slancio il «socialismo perdente», come lo definisce Bregman, che è «noioso» perché «non ha una storia da raccontare, nemmeno un linguaggio per narrarla».

Da una politica della gestione di ciò che c’è a una politica che prova a immaginare qualcosa di diverso e che si preoccupa di raccontarlo. Sulla base di informazioni precise, di una vera e propria ricerca di soluzioni più avanzate, di un calcolo razionalissimo e basato su dati e evidenze empiriche. Che non ha paura di dire cose che non si dicono già, perché alla fine si tratta di cambiare, le parole e le cose, giusto?


L’articolo di Giuseppe Civati è stato pubblicato sul blog Ciwati.it



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