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Nick Mason al Teatro Antico di Taormina

Il cuore battente dei Pink Floyd si è esibito ieri sera a Taormina. Dal nostro inviato.

di Piero Buscemi - sabato 13 luglio 2019 - 2895 letture

C’era un’atmosfera strana ieri sera. La si avvertiva già prima dell’inizio del concerto. Ci siamo guardati intorno a scrutare sugli spalti qualche cenno emotivo che ci facesse sentire figli dello stesso richiamo nostalgico. Ma non era solo nostalgia, nonostante le magliette mostrate da molti astanti che ripercorrevano una cronologia casuale di eventi dal vivo che si sono susseguiti negli anni, anche dopo quel Final Cut che nessuno avrebbe voluto fosse mai diventato il taglio finale di una storia incredibile.

Le note iniziali di Intestellar Overdrive ci ha sicuramente ricondotti su quei primi passi, percorsi sulle note di Syd Barrett oltre cinquanta anni fa e che, a detta di molti, ha segnato la svolta decisiva all’interno del panorama musicale di genere di quegli anni e di quelli a venire. Non era soltanto questo di cui si sentiva il bisogno ieri sera. La scaletta, confermata e riproposta in precedenti occasioni e su altri palchi da parte di questa formazione, contiene quanto di meglio si possa aver ammirato negli anni di inizio carriera dei Pink Floyd. Tutte quelle sonorità che ci hanno fatto pensare di trovarci al cospetto di una sperimentazione musicale che ci aveva conquistato e che ci avrebbe condotto, appunto, a seguire l’intera produzione discografica del gruppo, spesso anche a scatola chiusa.

Quella strana sensazione vissuta ieri sera, era un sentimento di assenza. Il compianto Syd e le sue stravaganze, fuori da ogni canone dogmatico musicale, la tastiera di Richard Wright, che ha sempre lasciato l’impronta di un certo classicismo da interporre e completare gli assoli di David Gilmour, il sincopato basso di Roger Waters e la sua voce, a volte unica espressione inconfondibile del gruppo. E poi Nick, il batterista di mestiere, a ritagliarsi con le percussioni quel ruolo di psichedelico contatto con quella realtà mistificata già allora, di una società che andava incontro al dio denaro, sognando alieni eruditi che le dessero le risposte alle domande che non sapeva più porsi.

Assenza. Forse l’unico sentore che aleggiava tra gli spalti. Assenza di quella presenza ingombrante, ricercata, alienante e trascinante dei Pink Floyd come gruppo, come storia a sé di un percorso artistico che, dentro le anime di ogni singolo spettatore presente ieri sera, non ha mai riconosciuto del tutto in frammentate creazioni artistiche che hanno sempre lasciato il dubbio, rimanessero incomplete.

Abbiamo avuto la fortuna di seguire il concerto con il regista messinese Vincenzo Tripodo, altro estimatore incallito dei Pink Floyd. A fine spettacolo ci ha confessato la stessa sensazione avvertita da noi. Innegabile un’esecuzione coinvolgente dei strumentisti che hanno accompagnato Nick Mason. Guy Pratt, Gary Kemp, Dom Benken e Lee Harris hanno sufficiente esperienza per dubitare sulla loro maestria nell’eseguire i pezzi previsti dalla scaletta. Le esecuzioni sono state in effetti apprezzabili e quel tocco di attualizzazione degli arrangiamenti, ha dato allo spettacolo un’impronta nuova e coinvolgente. Però, non erano i Pink Floyd. È più un rammarico ed il solito auspicio, manifestato anche da Nick Mason in diverse interviste, che si possa rivedere i tre superstiti del gruppo sullo stesso palco nell’immediato futuro.

Come confermato da Tripodo, le note di quel repertorio underground di fine anni ’60 ci ha fatto sognare di ritrovarci dentro le sale fumose e strette dei locali psichedelici inglesi di quegli anni. Stili di vita e di musica che, riascoltandoli dal vivo ieri sera, hanno ribadito l’idea che i Pink Floyd hanno saputo creare musica avveniristica e all’avanguardia, così speciale ed unica che ancora oggi segna la differenza da un certo tipo di ascolto meno impegnativo.

Noi rimaniamo in attesa che si possa ripetere, almeno in parte, quella sorta di miracolo che portò i Pink Floyd al Live8 del 2005, riuniti ed abbracciati con la voglia di esserci ancora, sulle note di un’inarrivabile assolo di chitarra finale di Comfortably numb...

Foto di Piero Buscemi (c) 2019

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