Nella città
Gli articoli di Salvo Basso sul giornale di Scordia "Nella città"
Nella città (1989-1992)
ottobre 1989, n.5
”Pensare al vetriolo, presentazione dell’attività “Spiriti del tempo”
[E’ una specie di manifesto dell’associazione Nadir, che presenta così il ciclo di incontri culturali, mostre, dibattiti dal titolo "Spiriti del tempo".]
“La maggior parte delle filosofie contemporanee accetta, come punto di non ritorno, l’incenerita fine dei grandi sistemi sintetici e delle prospettive di pensiero onnisciente. La condizione di cui oggi tanto si discute e che si usa definire come post-moderna parte dal riconoscimento di questa fine per aprirsi alla scoperta della molteplicità, delle innumerevoli possibilità di espansione della soggettività creante dei singoli e dei gruppi. Diradatesi le ombre lunghe delle certezze indiscutibili, appare legittimo giocar/si la vita in un caleidoscopio di libertà ermeneutiche, problematicamente, trasformando l’assenza di approdi rassicuranti in innumerevoli parziali punti di forza destabilizzanti l’ordine delle apparenze. L’esperienza storico-esistenziale della negatività, la perdita di un centro di gravità attorno al quale ruotare la propria scia, dispone l’uomo contemporaneo ad una libertà più vera e profonda, nella quale, frantumate le compatibilità di principio, irresponsabilmente – verso queste ultime – sperimentare la pratica di valori, di rapporti umani, di culture, di forme sociali e politiche rispettose delle differenze e perciò tolleranti. Che ci si riconosca o meno in sintonia culturale e/o emotiva con queste premesse, che si voglia o meno opporre ad esse l’opinione di alcuni secondo cui questo pensiero ’assicura un consenso apatico sull’essenziale, raccomanda la rassegnazione alla forza delle cose ed esalta le piccole felicità...pensiero senile di un’epoca fiaccata dal chiasso della storia’ (Orientamenti, Maggio ’88), non muta l’obiettiva percezione di una babelica ricchezza di linguaggi, nella quale, liquido amniotico, sviluppiamo nuovi bisogni, nuove sensibilità, nuove identità sociali sidtanti dal passato quanto distante è ancora in noi la coscienza di tutto ciò. SPIRITI DEL TEMPO è una porta aperta al fuori senso di questo tempo, una serie di incontri promossi da NADIR(del primo dei quali è stata data notizia nel n. 4 di NELLA CITTA’ [serata di sabato 17 giugno, presentazione del libro di poesie di Rino Rocco Russo Le parole, il tempo e l’offesa, con introduzione di Salvo Basso e e presentazione di Maria Attanasio, di cui viene pubblicato il testo “La poesia di Rino Russo”,p.8], come occasioni, pretesti, sospetti di riflessione senza rete. Il tentativo di fare affiorare anime e materie del tempo che viviamo attraverso la conoscenza di filosofi, poeti, storici, artisti che via via ospiteremo in questo laboratorio di intelligenza eterodossa che vorremmo stimolatore di inquietudini e perplessità, giammai soporifero o accomodante. Non un catechismo della “crisi”, SPIRITI DEL TEMPO vuole rappresentare un diario aggiornato di un pensare al vetriolo, dissacrante e discriminatore, non astratto né rassegnato all’azzeramento delle tensioni ideali. Questo tempo, la porzione di vita assegnataci, velenosa e indigesta, possiamo e vogliamo assaggiare quale antidoto (salvifico?) al silenzio e all’omologazione cicutose.” [Seguono le date i temi e le persone degli incontri previsti: Manlio Sgalambro, Mario Grasso, Maria Attanasio. Riprende poi, con la conclusione]: “Non ci riconosciamo nella sagra continua in cui questo paese vive i suoi giorni. Nelle sirene spiegate che annunciano carovane di ciclisti in arrivo, malcelata è l’intenzione di anestetizzare ogni forma di riflessione e di opposizione ai luoghi comuni imperanti. L’impegno, la ricerca culturale, il pensare sistematico, rischiano il ridicolo se non s’impongono un’uscita orgogliosa dalla marginalità ufficiale. Crediamo ancora che attraverso il linguaggio sia possibile decidere della propria capacità e volontà di comprensione e trasformazione della realtà. SPIRITI DEL TEMPO è un tentativo in questa direzione, non il solo.” [L’Associazione culturale ’Nadir’ – Scordia]
n. 7, Febbraio 1990
Salvatore Agnello-Salvo Basso
Dialogo ai vivi
“La mia rivolta è una fede che sottoscrivo senza credervi. Ma non posso non sottoscriverla”.(Cioran)
“La morte è l’unico appuntamento al quale non si può mancare. Chiama a raccolta i distratti e chi mai ha cessato d’aspettarla. Eppure, così ovvia, stupisce ancora chi ne osserva lazzi e piroette. Leonardo Sciascia e Samuel Beckett non ci sono più. In un frastuono di luoghi comuni, critici, letterati, politici e gazzettieri ne hanno sottoscritto la beatificazione, dando la stura a quell’ipocrisia che unge e imbalsama, ultima offesa a chi mai è stato compreso. Sciascia ’scrittore civile’, Beckett della ’condizione assurda’. Sintesi frettolose, pensiero in pillole: una camicia di forza che immobilizza e classifica. Scisso è con la morte ogni residuo legame – sempre labile nello scrittore, nell’artista, nel vero uomo di pensiero – di appartenenza a se stessi: non si ha più parola, diritto di replica: si è stati ciò che gli altri vorranno, a piacer loro. ’Un libro non è che la somma dei punti di vista del libro, delle interpretazioni. La somma dei libri, comprensiva di quei punti di vista, di quelle interpretazioni, sarà il libro’ (Sciascia, Cronachette, Sellerio). Nonostante il coro maestoso levatosi a celebrare valore e merito di opera e uomini, continuiamo a credere che ogni grandezza sia primariamente soggettiva. (Nel coro, qualcuno ha fatto solo finta di cantare, muovendo appena le labbra). Così lasciamo la compagnia all’aria armoniosa che ha intonato, per ritrovare, nella più personale esperienza di lettori, disordinati e sinceri, il senso, i sensi della scrittura di due autori che molto abbiamo amato, senza pretesa alcuna di interpretazione filologica, di stile, di contenuti, tutt’altro.
In un’intervista a Marcelle Padovani, nel 1979, Sciascia dichiarava: ’Di me individuo che incidentalmente ha scritto dei libri, vorrei che si dicesse: ’Ha contraddetto e si è contraddetto’, come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante ’anime morte’, a tanti che non contraddicevano e non si contraddicevano’ (La Sicilia come metafora, Mondadori). In un tempo che non reca traccia di conflitto, sazio com’è del suo essere e della sua speranza, la contraddizione è l’ultima espressione marcatamente umana e vitale. Espressione in sé, non pedagogica, né rasserenante. Interrogandoci più volte sullo stato delle cose intorno a noi, la tentazioni di riconoscerci anime morte non sopisce il pensiero ma spinge ad esso come estrema sponda per sopravvivere. “Tutto vecchio. Nient’altro mai. Sempre tentato. Sempre fallito. Non importa. Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio” (Beckett, Worstward ho). Una prassi svuotata di responsabilità non tenta né ritenta, non realizza né fallisce, reifica solo sé stessa come origine e scopo. Al riparo da rischi. Popolata da ombre che così si rappresentano, la realtà non ha materialità alcuna che giustifichi una trasformazione – o anche l’idea povera di essa. Si pensi. L’impalpabilità del potere, l’astrazione delle sue forme, il suo essere/non essere fisico, non concede scampo all’ottimista (politico, per eccellenza): stretto nella tenaglia del chi è? E del dove? È smarrito l’oggetto della vocazione, come del prete al quale si squaglia la croce.
Si fa fortissima la tentazione del silenzio. Fortssimo il desiderio di ridurre a nulla – o quasi – la soggettività. Profondo è il desiderio di quiete, di stendere, saggiamente, un velo imperturbabile sulla coscienza. “A che pro ribellarsi per poi ritrovare l’universo intatto? Monologo irrisorio. Si insorge contro la giustizia e l’ingiustizia, contro la pace e la guerra, contro i propri simili e contro gli dèi. Poi si finisce col pensare che l’ultimo dei rimbambiti è forse più saggio di Prometeo...Contaminati dalla superstizione dell’atto, crediamo che le nostre idee debbano giungere a uno scopo...Ma questo è il nostro destino: essere degli incurabili che protestano, dei polemisti in barella” (Cioran, La tentazione di esistere, Adelphi). Prendere parte e schierarsi salva dal dubbio che impone la ricerca della verità. Dalla parte sta il tutto: la ragione o il torto, anche contro ogni evidenza. Scegliersi come parte, bastante, rinunciare al gregge, è una minaccia che incombe su sé stessi prima che sugli altri. Incapaci di intendere, ma non di volere: “La storia, non l’accetteremo mai” (Cioran) Come dire: non c’è potere che non sia passibile di condanna, non c’è sistema che tolleri il mio rifiuto di esso, non c’è essere che accetti di negarsi. Condannati a tradire, a tradirsi, a riproporre, come in un delirio ormai finale, no a qualsiasi patto,no a qualsiasi alleanza, no a qualsiasi compromesso. No al silenzio. “Non so, non lo saprò mai, nel silenzio non si sa, bisogna continuare e io continuo” (Beckett, L’innominabile)
(da Mercurio – Repubblica)
Intanto avanza la barbarie. L’89, i suoi muri crollati, i tiranni abbattuti, le rivolte popolari, la pace fatta. Ed è festa, una festa continua: balli, canti, allegorie, orchestre, majorettes e tangenti. La felicità è dietro l’angolo, basta accettarne le regole, ed è finalmente vita. Ogni altro è spacciato. Si può morire di alcool e di Marlboro, non d’eroina: una siringa dispiace all’occhio più d’ uno spot. “Scordatevi d’essere infelici! Guai a voi!” Quei due si incontrano, si stringono la mano: meglio morti. “Ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”, Sciascia fa dire al professore di Una storia semplice. Allegramente tutti soddisfatti di esistere nel migliore dei mondi: realmente libero e giusto. Pericoloso è sostenere il contrario, “uscire dal circolo vizioso di quest’ambiente. Dal circolo vizioso di questa piccineria, di questa mediocrità” (Kundera, Amori ridicoli, Adelphi). Ingiurie, vituperio, fisico dolore. Siamo tutti obbligati all’applauso: W il ministro, W l’assessore, W tutti!
“Ho sempre avuto la sensazione che ci fosse in me un essere assassinato. Assassinato prima della nascita. Bisogna ritrovarlo questo essere. Tentare di ridargli la vita” (Beckett). L’estremo coraggio dell’atto di ribaltare le sorti – già segnate – di questo essere è l’unica, vera rivoluzione. Centinaia, migliaia di persone muoiono per una presunta libertà che nessuno, nessuno può assicurare. Muoiono per nessuna certezza. Come, del resto, chi di vecchiaia. “Non penso anzitutto alle sofferenze che genera l’ingiustizia sociale, a quelle di interi popoli immolati nelle guerre moderne. Penso alla sofferenza privata. I morti delle catastrofi collettive sono anzitutto singole anime che hanno visto avvicinarsi la morte soltanto per loro” (Nemo, Giobbe e l’eccesso del male, Città Nuova). Potremmo sostenere, senza mentire, che un destino sia preferibile all’altro? Chi ci salverà dalla demagogia dei politicanti, dei TG, di Sandra Milo e Wanna Marchi? “Ti uccidono, i ricordi. Quindi non bisogna pensare a certe cose, a quelle che vi stanno a cuore, o piuttosto bisogna pensarci, perché a non pensarci si rischia, di ritrovarle, a poco a poco, nella memoria. Cioé bisogna pensarci per un momento, un buon momento, tutti i giorni e più volte al giorno, finché il fango le ricopre, con uno strato infrangibile”(Beckett, L’expulsé). L’orgoglio e la coscienza impediscono la resa di fronte a tutto questo. E’ cosa vana discutere con chi non può capire – eppure ti combatte. A discutere con gli idioti, serio è il rischio d’assomigliare. C’è una distanza tra il pensiero e le cose, tra la parola e lo stupido. Se speranza c’è, essa si nasconde in questo spazio.
Salvatore Agnello Salvo Basso
[Leonardo Sciascia è morto il 20 ottobre 1989, Samule Beckett il 22 dicembre 1989]
stesso numero del giornale
Del far libri
“In un momento in cui si torna (com’è giusto, com’è periodico) a parlare, sulla stampa specializzata e non, di piccola editoria, può essere utile, per noi, parzialmente coinvolti nel dibattito sui modi e sui fini, dire un poco di noi, editori, ufficialmente, da circa tre anni. Perché, in generale, la scelta di stampare libri? Diremo per “libbridine” - parola coniata da Pietro Gorini – nel senso di piacere del libro: sfogliarlo, leggerlo e, perché no, farlo. I libri abbiamo cominciato a farli sul serio e con passione: all’inizio senza molta attenzione ai problemi essenziali dei costi, del mercato, della distribuzione, della promozione, ma, in ogni caso, avendo ben chiaro un progetto culturale, componente originale dell’identità dell’Associazione: promuovere e dare organicità a un’operazione di rastrellamento dei fermenti, delle energie, delle fantasie che, pur presenti in mezzo a noi sonnecchiano in una apparentemente eterna condanna al silenzio o all’emarginazione, in un contesto socio-culturale refrattario, quando non apertamente avverso, a qualunque iniziativa aggettivabile, anche solo vagamente, come ’culturale’. Un’operazione però non acritica, non di chiamata a raccolta di tutti su tutto. Centrale è stata, sin dall’inizio, l’attenzione alla storia, alle tradizioni, ai costumi locali, alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico in un quadro ambientale salvato dal degrado e dalla speculazione affaristica. Sintetizzano il senso della nostra ispirazione le parole del filosofo Gianni vattimo: ’Il pensiero di opposizione, oggi, si identifica sempre più non con la prpoposta di grandi alternative globali, ma anzi con la difesa del ’locale’ contro il ’globale’. Interessi precisi, analisi, ricerche e progetti concreti, calibrati secondo la specificità locale, eticamente e socialmente motivati, e non opposizione ad uno o più partiti, all’una o all’altra amministrazione politica – misero sospetto, da misere idee – ma opposizione a tutto ciò e a tutti coloro che, agendo nella società, nei partiti, nelle istituzioni, hanno trasformato Scordia in una palude di loschi traffici e oscure – ma non troppo – trame criminali, calpestando il diritto alla speranza di una città e in essa dei più deboli e degli indifesi. Questo tipo di attenzione al “locale” - tutt’altra cosa del becero campanilismo da villaggio – ha portato l’Associazione allo spontaneo e proficuo incontro con Nuccio Gambera e con le sue ricerche su Scordia, la sua storia, le sue tradizioni, la originalità di certa sua cultura. Parte del materiale prodotto in queste ricerche è stato pubblicato in due volumi: L’utopia e il rito – Contributo per una ricostruzione dell’antico carnevale di Scordia – ed. Nadir, 1986 e La vita stentata – Casa, lavoro, gioco, magia e festa a Scordia nella I metà del XX secolo ed. Nadir 1988, ed ha inaugurato una collana editoriale dedicata a studi di carattere storico e antropologico. Non di rado, e spesso con malizia, questo interesse al 2locale” è stato equivocato. L’impegno di ricerca e di divulgazione dell’Associazione Culturale ed Editrice “nadir” non è mai stato marcato da fascinazione verso il passato, né da pianti, rimpianti e nostalgie verso ciò che storicamente è stato e non può più essere. Ad animarci in questo lavoro difficile è sempre stata la coscienza che la esperienza storica di ogni uomo è giocata nel presente, “qui”, “ora”, puntando l’occhio, semmai, al futuro. Questa sensibilità alla contemporaneità, al vivo, ci ha spinti al tentativo di misurazione della distanza che ci separa da un mondo non del tutto scomparso, ma ogni giorno più lontano. Non tocca a noi, tardivamente, recensire o raccomandare ulteriormente i due titoli, quanto invece, ricordare l’importanza e l’esemplarità di un metodo di ricerca: quell’andare porta-a-porta presso gli anziani paesani, nella complessa restituzione di vita a memorie, sensi, vicende, pensieri, atteggiamenti che permeano ancora, spesso fraintesi o sconosciuti, la nostra quotidianità di uomini presuntuosamente moderni o postmoderni. Una terza pubblicazione è in distribuzione dal dicembre scorso. E’ un libro di poesia, «zona» non a caso ai margini del dibattito culturale e dell’attività editoriale in genere, e non a caso oggetto di un più che costante interesse da parte nostra. Non crediamo, con Shelley, che i poeti siano i non riconosciuti legislatori del mondo, ma che la poesia sia semplicemente uno dei pochi spazi magici della vita, «che dà a chi legge una scossa di amozioni, sottraendolo alla grigia indifferenza di un consenso tranquillo, o al conforto un po’ vile di una bellezza in parte vacua» (Maurizio Cucchi). Da questi interessi è nato l’incontro con Nuccio Gambera ( e da questo incontro, probabilmente la presenza di Salvatore Agnello, di Nadir e poi di Salvo Basso nel giornale). Nadir ha inoltre pubblicato un libro di poesia, Il volume Tu sei Alcibiade di Rocco Sapuppo, ed. Nadir, 1988, stampato in sole 50 copie, ha la particolarità, d’altri tempi, d’essere stato per intero impaginato e rilegato a mano, impreziosito da copertine l’una diversa dalle altre, opera di artisti locali. Tu sei Alcibiade è un libro crudo e crudele, e laddove “blasfemo” giustificato dal fatto che “disperation justified all means”. Di Rocco Sapuppo, giovane poeta di Scordia, il critico e poeta Gino Giannini ha scritto: “La sua poesia è già matura, gli accostamenti sono felici...alcune parole sono traumatiche...la sua poesia lo fa vivere in luoghi impossibili che hanno bisogno di parole spesso impossibili”. Entro quest’anno sarà pubblicato L’idioma delle nuvole, poemetto in versi di Gaetano Barresi, a segnare la continuità e coerenza di un progetto editoriale che, abbinando la ricerca storica all’esegesi dell’immaginario propria della poesia, senza velleitarismi e con molta modestia, aspira a diventare punto di riferimentodi una tensione culturale più vasta, attivando canali di comunicazione e scambio con realtà ed esperienze più avanzate. Compatibilmente con le possibilità finanziarie (scarsissime, al confronto con i fiumi che scorrono alimentando molteplici varietà di forme effimere di “cultura” ) continueremo ad essere editori, intendendo sempre i nostri libri come oggetti utili a trasformare la realtà, ad un vivere migliore e più ricco, con disincanto e ostinazione. Il successo materiale è non rimetterci troppo economicamente. Il successo ideale è la pubblicazione stessa di un libro. Più in là nel tempo, chissà, sapremo a quanto è servito tutto questo”. Edizioni Nadir dell’Associazione culturale “Nadir” Scordia
stesso numero del giornale
Salvo Basso
Calendiario
“Cristina lo sa che avrà successo. Nel quadrato amplificante la nevosa iperdentatura funariana (94 denti in fila x 2). Si sono onuniti per combattere la mafia. Forse vinceranno 0-5. Con i morti tutti nella ripresa. L’arbitrio sarà alluparato proprio mentre stava per dare un rigore diritto dai 115 metri a favore delle forze mastrolindiane contrarie ai violenti sassini, sassini! sassini! sassini!per quelli che affremano convinziosamente l’altissimo valore civilissimo dell’uomo, della scurdiota umanità. Si amino! S’affratellino! S’appacino! Rimettano i loro debiti come noi non li rimettiamo ai nostri indebitati. Questo non è il coraggio! Il coraggio è uno che va sott’acqua! Il coraggio è uno che vive. Questo è il dovere, il diritto del dovere. Perestroikano tutti, tutti. Biondi e lontani, infreddoliti, siberiosi, perestroikano. Veramente stupefacente! Veramente drogoso. Sapevi che Craxo li vuole ausciuwizzare? L’antidroghiere. Ma la storia, invece, non è questa. L storia è le storie. La storia è i giorni. Gli uomini dei giorni. I giorni degli uomini. E le notti. E le stelle, le stars della storia. Gli uomoni eccezionali. Gli indeividui, indeividei. Non vedi natale? Addobbato come una strada? Un companatichettone? Cari, carissimi genitori, arrialatici i belli riali. Non vedi che lo uccide? Col coltello? Non vedi carnevale? Non lo vedi dappresso ai santi? Cosa proponi? Un bel film in bianco e nero? Ma è l’imbarbarimento!l’imbarbarimentazione! Avà mastr’austinu! I cosi belli! I cosi belli! Sciatuzzu miu! Hai riletto i promessi rospi? Li hai visti?li hai guardati?chi t’è piaciuto di più? Hai riletto i promessi? I saranno famosi? Fame, fame, l’inventatissima, lombàrdia del trentesimo sacramentorum . Hai riletto Da Verona? Abbondio, parrino sbarbatissimo, si fa corrumpere con una bustarellina che sembra pesante ed è irriverentemente leggera.Poi Renzo dice alla sua Lucietta che per quel giorno non se ne faceva niente di niente. E lei, bravabrava, risponde “senza troppo scomporsi” che voleva dire che sarebbe stato per un’altra volta. Lei s’era fatta dare un passaggino ogni tanto e aveva accettato qualche regaluccio dal suo bel bravo Rodrigo. Renzo, sapendolo, s’incavolò come una bestia e “sputò via furiosamente la sigaretta” e “ Lucia, che non sapeva per qual verso prenderlo, gli mise un braccio intorno al collo, gli appiccicò su le labbra, gli fece passare nell’intertsizio della bocca la puntina umida della sua dolcissima lingua, poi gli mormorò in un sospirone: - Lo sai bene, cocotino mio, che per me al mondo non ci sei che tu!...” Si sono tutti ingorbacioffiti. Anche i comunisti ex ex ex ex s’arrosellano. Il problema è la falce, un martello nella etsta a Lui. Bisogna che dalla metafisica filologia d’angiolesca della napoletanità si passai al pomodorissimi piazzaiolo del merolismo primario.Che, in termini postmitici, si passi dallo sconsiglio comunale alla prigionia artificiale. La sopravvivenza del dominio nel piacere, in termini freddamente freudiani. Vibromassaggiano, accinghiati in un caffé augh. Il telefono è sempre quello, basta saltare il prefisso come un canguro, perché adesso siamo finalmente qua. Le antenne siciliane sono puntate verso un cielo. Guarda che c’è anche un premio per noi. Magari non subito, magari sul prossimo canale, cambia. Il sottofondo negro è quello che volevamo. C’è una decisa volontà sottorazziale. Sai qual è il problema? Non ci rendiamo conto dell’incredibilità di quest’offerta. Ci danno 20 orologini + 15 collanuccie di verissime perle + una notte bruciante con Alfio della Faf. Il tutto anche senz’acconto. Queste proposte sono una festa e ci autoinvitiamo continuamente, ma non telefoniamo. No, il prezzo della telefonata non è compreso nel prezzo, nelle 599999 mila. Hanno già superato il Leone, arrivano velocemente, i guerrieri. Si nutrono esclusivamente d’arance. Bisogna fare silenzio. Arrivano. Glielo faremo vedere il nostro bello desumibile. “Torna al tuo paesello, ch’è tanto bello”, canticchiava Renzo. “ - A quanto l’abbiamo il dollaro, padre Cristofaro? - a 19,21 con tendenza sostenuta, figliuol caro”. Bisogna assoggettarsi, no. Bisogna ribellarsi alle preideologie classificate come oggetto del postdominio d’una bicicletta capitalistica. Non bisogna scenograficamente prendere per miracolati tutti questi apparenti televisivi. Ce ne vogliamo rendere scordiosamente conto? Qui c’è uno sfruttamento ignobile e visivo, totale. Cosa fare? Distrarsi, non concorrere, non comandare”(sic!) “- La tua menzogna è di andar mentendo ch’io menta nel non smentire che tu abbia mentito! - Se io mentissi nell’affermare che tu menti, allorché dici menzogna nel dire ch’io vada mentendo, non io mentirei, ma tu mentiresti, nel non smentire ch’io abbia mentito”. Consideriamo le valutazioni dei partiti spartenti all’indomani all’indomani dell’elezioni per il parlamento comunale. Il primo partito torna primo, il secondo va al terzo, il quarto al secondo. Questa è la nuova hot parade, la schif parade. Le indicazioni strategiche sono tutte qui, nel 73, 73 dei tanti votanti. Ma era meglio il 37,37. Ci sono diverse democrazie. Una movimentista, collettivista, internazionalista, l’altra soddisfatta, evangelica, alla Luca, alla Marco, alla Giulio. Il totale è un bellissimo sbalzetto in avanti del 15%. Il tempo, allora, terminabile discussione, espressione orologiaia che finora si è avuta nella storiella svizzera come un blocnotes di bianco cioccolattante idrotelefono. Lottiamo, lottiamo, embrionalmente nella relazione gerusalemmaica autoimponendoci il superamento d’un egoismo meschinamente proletario. Che i singoli inseguano i teorici. Il verde? Che bruttissimo colore. E’ così govane, così, così. (ottantaquattro, dicembre)
*** La ravioliera è una cosa decisiva. Cominciamo a telefonare. Questa è una proposta magnifica. Un caloroso abbraccio. Possiamo davvero metterci tutto. Il copriletto, una coprinotte. Anche i tovaglioli e le stelle sono ricamate a mano. Intanto telefoniamo, intanto telefoniamo. Il piumone. Una coppia in un punto vuoto. Carta e penna come sempre. Scriviamo. Signori cari, carissime signore io vi regalo la grandezza d’un tvcolor, una pellicciona cacciata, tutti abbiamo sognato d’ammazzare. L’alternativa alla pelliccia è un’altra pelliccia, anche se d’altro tipo. L’alternativa può aspettare, questo nuovo specchio.L’immagine è perfetta ed emblematica della loro serietà. Non li vedi? I baffi, gli occhiali. Sì, lo preferiamo. E’ questo che preferiamo. Ci sta benissimo. Pensa. Ci portano una vetrinetta nel nostro paese. E poi che pensavamo d’essere solo vicini a Catania e alla Libia. Lui si siede sul motorino, ma non parte. E’ partito, vattene, se ne vada, delinquente. Lei mi ha messo in un imbarazzo che io veramente non so come rispondere perché l’ha fatto. Buongiorno, come sta, come si chiama? Ha un bel nome? Hanno tutti una bella voce, ipnotica. Come si chiama? L’italiano canta giustamente in inglese, giustissimamente. Guarda, si mangia il microfono. Lui tenta di farle sputare puuuuuuuuuuuuuuh la verità, la sta aspettando da 453 puntate la verità. Adesso finalmente lo intervistano. Anch’io saprò la mia verità. Le sue difficoltà respiratorie. Il blues le viene benissimo. “Sa lei che quando mi viene lo schiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa come fanno gli altri?” Non ho certo bisogno né voglie d’accendere la tv. O di leggere il giornale. No, nessuna predica, per favore. Se uno l’assistenza non la richiede? Salvano gli altri, lo fanno, sicuramente, dittatorialmente. La libertà occidentale, il proibizionismo alcolizzante e tabaccoso. Il muro è caduto, girogirotondo: sono liberissimi, friissimi. S’incattedrano e lanciano i loro anatemi, mammamia che paura. Paura, bisogna averla davvero. I porci. Non si stancano mai? Si salvino loro, se vogliono. Non m’interessa. Chi li ha assoldati? Nessuno li salverà. ( settantacinque, marzo)”
aprile 1990, n.8
Salvo Basso Tuttavie,
“Naturalmente il club aveva chiuso in tempo, per lasciarci tutti fuori, uomini e donne, affinché nessuno non del giro entrasse con il rischio certo di disturbare gli affari che necessariamente dovevano essere portati a termine. La pioggia aveva smesso in punta di fredde gocciolone giovanissime. Quando il vicetenente me ne parlò capii che si trattava di una donna sui 40 con il collo indipendente e sette amori alle spalle. Nessuno, fino ad allora, aveva vissuto fingendo di morire. Il portiere di giorno l’accompagnò al taxi verde con la sensazione d’averla già vista vestita da qualche parte, ma non ci fece troppo caso perché la pasta alla salsa fumava nel piatto che la figlia della terza moglie gli aveva poggiato sul tavolo, proprio al posto che da sempre era stato suo. La testa gli girava forte, forse a causa d’un profumo eccessivo che la donna, con la sua andatura ad onde, non aveva mancato di sottolineare abbondandemente. La seconda moglie gli era morta nel sonno, tra braccia lente. Era legata al cuscino come ad un gatto appelusciato, per via d’un malessere che l’aveva colpita in gioventù. Nessuno l’aveva vista crescere. Probabilmente la sorella più grande sarebbe diventata una grande e famosa attrice se non si fosse innamorata di quello scavezzacollo del cugino che abitava appena a tre isolati di distanza e che si guadagnava il pane facendo il ragazzo che ogni mattina portava puntualmente latte e giornali. E qualche volta capitava che insonnolito perdesse un giorno ed i giornali che portava erano datalmente in ritardo, offrendo a tutti la possibilità di riflettere finalmente sul tempo: se c’era e cosa faceva. Da giovane anche lui aveva sognato di andarsene da quella città, ma essa lo aveva mortalmente abbracciato, diventando la sua tranquilla seconda madre. Non ritrovò mai più il coraggio di scappare, dopo quella volta che perse il treno per un pelo nell’uovo. Viaggiava nei giornali che consegnava e forse bastava. Suo padre era stato in Europa, ma non ricordava quando e perché. Là aveva conosciuto un’affermatissima giornalista neozelandese che pur non amandolo aveva passato quattro giorni della sua vita con lui, concedendoglieli come limite massimo insuperabile ed abbandonandolo su una spiaggia animata da un solo dinosauro anch’esso in via d’estinzione. Il mare arrivò prima della battaglia che avrebbe segnato il bell’inizio della terza guerra mondiale.
* * *
L’errore principale in quella vita era stato quello di mantenere quella pagina già ammuffita dove sua moglie teneva tutti i piatti. Ciò che senza alcun orgoglio poteva ormai fare era correggersi, asciugandosi rapidamente. Ne venne fuori un bel nome, scomparso come un ambiente troppo medievale, disegnato dall’architetto dieci minuti fuori moda. Il buio era così fitto che la penna non si vedeva. Le suore erano scomparse nei loro letti a castello, dopo il girotondo seguito al vespro. Spezzate le ostie, i figli della bugia arrivarono in anticipo, sulle labbra chiuse a no, nel silenzio del palato. Ognuno, per gioco serissimo, raccontava la storia degli altri, sconoscendo la propria. Era il destino parabolico. Una luna fa, si confessava il lupo mannaro. Aveva paura di diventare ciò che era. Tornò indietro nel bosco, a pardersi tra i poeti diventati castagni. L’avventura era seguita passopasso in un monitor che il cavallo belga aveva rubato in una televisione turca che trasmetteva programmi solo per assirobabilonesi. Anche il finto mago che aveva organizzato, chiuso in un forziere, quella rivoluzione comica e mortale che tutti i radioascoltatori del mondo avevano visto, stava uccidendo, a coltellate andate tutte a segno, la mela marcia sulla testa della ragazza misteriosa conosciuta un secolo prima, quando lei era a capo di una nazione piccolissima, ma in possesso di bombe atroci che, volendo, avrebbero potuto far piazza pulita immediatamente di tutti quei dimostranti muniti di pistole ad acqua e vino. Io le diedi la mia parola che per niente al mondo o per niente a Dio, avrei ordinato un massacro che pure mi sembrava giusto. L’elicottero di sesso femminile ci salvò quando tutto nella città bruciava gioiosamente. Fummo gli unici. Qualche scrupolo ebbe il pilota prima di lanciare nel vuoto il ragazzo muto che si agitava, mettendo in pericolo la nostra stessa vita. Li odiavamo tutti, lassotto, quelli che piangevano commossi o felici. Tutto finito, pensava. Sono stati gli ultimi amori e le ultime violenze. Il nuovo capo era un siciliano fatto da solo, tra le arance ed un cinema chiuso in anticipo. Spiammo ciò che sarebbe accaduto.
* * *
Hanno deciso di premiarlo perché ha vissuto. In regalo una deprimente tazza di caffé. Non bisogna insospettire chi non ha occhi per non vedere, binocolando forse un cielo avventuroso, infedele di nuvole. I cosacchi avevano archiviato in tempo i loro segreti del cuore, senza pensarci una volta. Insollarono neve a neve, come francobolli aumentati su cartoline fuoriluogo. Una storia, voleva. Fritta senza patate. Quella sera aveva pesato lungamente ogni parola detta e sicuramente aveva capito che non poteva suonare l’unico giro che conosceva. Il pianoforte era semidistrutto e gli invitati brilli. Ognuno con la propria forchetta al proprio posto, senza ridere. Accese la radio ma la sentiva solo lui, cuffiato. Musica, questa è musica. Riavvolse le orecchie e finalmente parò, come tutti aspettavano facesse. Il figlio delle margherite, intanto, sfogliava rivistine per ragazzi andati a male. Respirava forte. Telefonò alla bionda appena salutata e le raccontò il finale del libro che lei voleva leggere perché non sapeva come andava a finire. Si amarono, prima di chiudere. C’era un anniversario da qualche parte. Ci andarono con i confetti in mano ed un bacio in fronte. La messa era appena iniziata. La rassegna omelica fu commovente. In quel trimestre suo figlio era andato bene a scuola. Solo la professoressa d’italiano era scontenta. Prima di addormeentarsi capì che le sue parole erano sue, anche se le usavano gli altri. Come una vita a capodanno.
* * *
La cassetta del cielo perdeva, prestando acqua ad amorose siccità. Il tecnico incaricato tardava a venire e si decise di affidarsi a qualche angelo di passaggio. Lo stato puro, così, idrofilico. Dopo lunghe strade arrivammo alla diga perduta. Precisi come un orologio sudafricano. Il prezzo della corsa fu una semplice sbattuta d’ali. La fame, dopo il digiuno. L’originale pandistelle fu indimentabile. Ed il documento della cessione delle praterie. Il circo era stato deludente, cherubini giù di tono e trapezisti suicidi. Graffiai lo sportello, interpretando lo sbadato. Soli, come il tempo. La generosità del mendicante fu il capolavoro della siesta. La pace fu clamorosamente raggiunta, al termine di giuste pene di morte. I migliori se n’erao andati, ma le menti semplicissime cantavano ancora. Gli ecopregatori indicarono la direzione sbagliata. Le leggende erano finite, ma ci credevano ancora. I cavalieri del lavoro con la faccia di mai tagliavano vene, come macellai in vacanza. I fans erano milioni. Tutti danzanti e scandalosi.
* * *
Se ne andavano con i pantaloni a zampetta di mosca e gli occhi lucidi del doposciampo. Lo specchio, lavato appena ott’anni prima, rifletteva i loro dietri. Al condannato a vita fu concesso di esprimere il suo ultimo desiderio. Una canna il cui odore sballasse i carcerieri che tenevano la chiave nascosta in una torta appannata, dal sopra mangiato perché troppo invitante. La macchina con l’onorevole non tardò. L’autista blu volò fino alla porta girevole e s’innamorò della cassiera del bar di fronte. Fuggirono insieme con due pezzi duri nelle mani. Il fumatore di musica nera rappeggiò da solo nella stanza fredda e capì che era venuta l’ora dei cannibali che, molto cortesemente, cominciarono a mangiarlo senza averlo prima insalato, per non farlo morire di paura. Il mondo girava velocemente, pennsò il giornalista austriaco, ancora fermo alla prima guerra mondiale. Nessuno di loro quell’anno, era andato a mangiare. Lo stormo di maiali planò lentamente, in riva al fiume miracoloso. Tutti i pesci rotondi si erano salvati, accennando con lische i loro alleluja. Ciò che appariva era in effetti più vero del vero, nessuno che avesse un dubbio, una malattia. La ragazza abbronzata chissà-dove voleva i testi mancanti. Non poteva finire così, senza un ballo lento. Niente sarebbe rimasto delle lattine vuote e delle parrucche sfilacciate. La bionda era già bruna, il vino diventò acqua. Menomale.
Giugno 1990, n. 9
Salvo Basso
Figghimatri
“Oh, la muti, la fintattrice. Ma sa parlare? O sa solo guardare, occhioni dei miei stivali? Oh, la muti, stia zitta, zitta, ferma. Ho mal-di-film, adesso, forse un’aspirina, qualcosa che mi renda uguale agli altri, senzatesta. Poi c’è la forfora, naturalmente, sul foglio, così, grattandosi la testa. Sarà bravissimo il tipografo a darne un olioso cenno? Un frantoio clinico? Andremo ad annevarci, con lo slittino veloce, giù, verso la solare valletta, verso il cuore degli alberi, dove i ruscelli scricchiolano. Ho o hai comprato l’ultimo libro del berlusca, acceso la sua televisione, cibato il suo frigorifero? Sei scomparso?nessuno che t’abbia visto, nessuno che abbia creduto anche solo di vederti? Nessuno che t’abbia sognato?nessuno che cucini pesce o ghiaccio, direttamente? Che s’incubetti tutto (no frost)? Da buon antisuperstizioso qual è apre l’ombrello mentre si trova a casa e comincia subito a piovere, e si sapeva che sarebbe successo tutto questo. Infine, prima del vero e (ma quando? Quando?) bel diluvio, un argentoscopo per chi vuole (un ghepardo, un maiale, un toruccio, un rocchino): sentiti male, non sentirti bene, le stelle stanno preparando la tua fine, hanno già comprato il sale, non pensare ai giorni successi vi, alle ore a quest’istante, ora che stai leggendo, tranquillo, ne avrai per poco, però – prima – controllati la vista, potresti leggere male,potrebbe non essere per te, e, e, e, mentre ci sei mentre sei là dal dottore factotum-factotem, fatti controllare il fegato oppure sii generoso regalalo al primo zingarellino che t’offre la madonnasanta o lucia o più laicamente una pulitina al vetro appena pulito dal padrone della pompa eccessivamente gentile e perditempo che ti chiede sempre di quello che sta succedendo in russia (ah,ah, e cche sta succedendo, ah, ah) e di de mita poverino che a lui ci ha sempre fatto tantatanta simpatia perché suo nonno campano finché ha campato parlava come quello e dunque c’era sicuramente al fondo un qualche meccanismo d’identificazione questo tu lo sai ma non glielo dici perché hai fretta e se glielo dicessi chissà quanto tempo ancora se ne andrebbe sì sì l’olio va bene, a presto, tanto lo sai che domani torno, sono qui, perché questa macchina la benzina gliela metto una volta al giorno così sono più contento e forse anche lei che se gliela mettessi di più affogherebbe perché non c’è abituata ochei c’è il rosso via anzi no fermo m’è passato il verde senza che me ne accorgessi questi zingari e neri del cavolo che se uno non fosse così buono e perché uno ha frettaperò cristo un po’ di pietà no come quello che si chiude in fretta tutti i vetri maledicendo il rosso con questo caldo poi, e fa gesti su gesti su gesti no no muove le braccia sì lo zingarello ha capito ochei stronzo non te lo lavo il vetro se sei così tirchiazzo o hai paura o sei riccoricco e soldi spicci non ne hai o non ci cammini mai apposta oppure hai solo paura che ti venga il verde e ti suonino dietro e tu fai la figura del fesso lacrimevole del bon-di-core e di spirito no stronzo no non te lo lavo corri vai tranquillo bestemmia vai a trovarti il tuo posteggino sicuro con quell’amico tuo che di lui ti fidi (ggionno dutturi) e gli lasci, certo, anche le chiavi a lui sì ad altri no e magari se posto non c’è con 500 lire in più – perché stronzo io perché io cosa ti chiedevo di più? - il posto ce l’hai assicuratissimo senza manovre e senza rischi stronzo (ntappai?)con la tipo nuova stronzo. L’argentoscopo continua: non lasciatevi innervosire da sciocchi e malandati uomini e donne e bambini che eventualmente incontrerete se uscirete: sono a voi del tutto estranei. In amore all’amore si risponde con l’odio, preparatevi ad una bella sorpresa tra sabato e domenica, forse c’è un ritardo di stelle, lunedì.La vostra anima si sta espandendo clamorosamente. Un piccolo dispiacere giovedì, verso le venti e trenta ventuno e cinquanta, un faccia disgustosissima vi apparirà sempre più incomprensibile, un italiano dal nome americano, buona, buonanotte. Tutto bene, intanto, per il weekend, ma nel resto dei vostri giorni da qui a ciò che vi segna il calendarietto completo ed eterno come può essere solo dio o il tempo o chi ne fa le feci, sarà sempre una battaglia continua, una lotta da vincere, una sfida, un ostacolo dopo l’altro, timori, motivi, turbamenti ma per fortuna c’è la vostra famiglia che non vi può vedere e vi avvelenerà presto e dunque dunque non avrete neanche la soddisfazione di fare bingo.Pazienze, pazienze. Certo che qualcosa di ciò che distrattamente si legge, resta. Per i nati per esempio sotto il segnale autostradale del nonautostoppismo, essi possono mettersi in viaggio, nel cammino del loro cammino, un viaggio fortunatissimo, un passaggio da un maniaco ebreo che non uccide il sabato e forse neanche la domenica. Dietro il cespuglio, la polizia ritroverà, opportunamente preavvertita dai familiari dell’onorevole moro, il vostro corpo neanche tanto male. In ogni caso non bisogna che trascuriate assolutamente l’oggi perché l’oggi è tutto, più di ieri e forse domani meno di domani. Le stelle vi invitano a vivere come si dovrebbe vivere, alla giornata o alla nottata, così, contemplanti il cielo, pensando alle scadenze d’altra parte sia sa chi lo sa che i soldi vengono e vanno e vanno e vanno vanno e vengono e non c’è modo migliore di spenderli che quello di spenderli (ta purtari ccu ttia?). Non dovreste però fumare come state fumando perché vi fa male e lo sapete, dovreste fumare di più, sapete che così poco vi fa male, possibilmente con un completino neronero stile masochistico tv-pay o più maso che sado. Niente più tormenti da qui al prossimo giornale. Mi raccomando: accogliete le istanze vostre, non quello degli altri. Parteciperete a una manifestazione contro l’abolizione della legge per il perpetuamento scientifico d’andrea craxi e di armando martelli. Siate violenti, mi raccomando vi mando a quel paese, non c’è altro. La violenza apparente, l’aggressione nascosta. La mano, in fondo, che sogna: altro che quel manichino-rinascente anzi rimorente di tom cruise.
***
E’ sempre ed ancora una questione di stile, non c’è che fare. Forse il tempo, questo o quello, sarà una cosuccia affascinante per qualcuno, forse insomma quella che si yes la fortuna di vivere, dunque il tempo. O i tempi. Attenti, attenti: prima di scrivere e prima di pensare. Stare vicinissimi quasi vicini al foglio bianco e al tavolo possibilmente dello stesso colore, così, indistintamente, senza una durezza aggiunta. Chi supera la tartaruga? Ripassiamoci l’indice: allora, innanzitutto bisogna fare la copertina con una donnuda, anzi no stavolta li freghiamo tutti un belluomo magari delon non è troppo vecchio e poi così facciamo vedere sin dalla copertina chi siamo e cosa pensiamo veramente ci stai? Eh ci stai? Ora pensiamo all’indice dopo aver deciso per una copertina nerobianca, per non dispiacere all’avvocato che è sempre meglio averlo amico che nemico. Meglio, pensava, fortemente, schiacciando e pizzando questo pensiero, il socialismo reale dell’occidentalismo reale. Meglio, lo pensava dolorosamente, meglio ceausescu che andreotti, e gli faceva male la testa a furia di pesnarlo. Meglio che un treno arrivi giustogiusto, meglio di funari, di amen, di pirrotta. Meglio moritre di fame che avere un figlio sequestrato. Basta, la testa si fermava al punto ingiusto. Nel sogno anche lui aveva preso una pietruzza del muro berlinese (messo, purtroppo, alla berlina) e l’aveva rivenduta al figlio di un ik, come ricordo della storia, ricordo tristissimo di un fantasma. (novantuno, settembre-ottobre)
agosto 1990, n. 10
Salvo Basso
Uocchi, 1990
[Salvo si cimenta col dialetto. Tre grosse colonne di oltre metà pagina -il resto è occupato da un’acquaforte di Santo Marino, “Abbandono della terra” - senza un accenno di punteggiatura, a parte i trattini.]
“a priuni – vinti o trent’anni nun ciabbastunu – e ccu sapi si foru iddi – paroli u diciuni, paroli semu – nveci i verdibbili pensunu e ciuri e a nnaturi vivi e morti – murissi ppi sempri sta terra tirragna – grazzi, grazzi rispunniu do café niuru comu a pici e friscu comu nsofficinu – ma dicu, dicu: si po’? Si po’ stari? Sncora d’accussì? - ca fanu chiddu ca volunu – trummiunu e mmazzunu e rridunu e si mangiunu a pizza, ggiuda ccu ggiuda, nnudati comu marinari di belli paroli e salpaggi vicini – si po’? Si po’? Siccannu vuluntà, spiranzi e sintimenti – ridduciunu stu paisi a fogna – a pratu scultivatu – ccussì sulu ghirlandi - e nuddu parra – e tutti, na pasta, tutti – putiri e putruna – cu cchiana cchiana cu scinna scinna – di dui a tri o di tri a tri o a quattru – mpurtanti, certu impurtanti ppà calatina a chiazza sti sti cunsigghiruzzi cumunali, sti sinnacheddi, st’assissuricchi – e ppoi diciunu: bellu parrari e nnenti fari bellu diri cosi ca po’ diri cuegghiere’ (ccà i qualunqui su cuegghiere’) e nuddu ca dicia: ma pì dillu, forsi avissimu a ccanciari – forsi cuegghiere’ cciava raggiuni – forsi – ntantu sti riuzzi e rrigginini s’addivettunu – si passunu u tempu – cuariunu seggi o mangiunu ppi ddui e ppi tri – ntantu ni amicu llittratu mi dicia: tempu e chiacchiri persi - a ttia stanu sintennu e cciarrispunnu: u sacciu ca nun mi sentunu ma u vogghiu diri u stissu, a passapassatempu – ppi ccu pensa ca chissu è u viddicu do sistema solari e nsulari – ppi cu cunta sulu puisi e nni scancia ppi pueti – ppì cu cunta nun mola nenti...mancu a iddi – mancu a iddi.
auropa auropa ma è chidda d’aieri o di l’autraieri o c’ancora avveniri e mmori è chidda da storia na furmulicchia duci npaisi cchiù granni na data ntempu tant’omini o bizantini slamici e marucchini – poi aceddi ca rianu e i canusci e ne canusci e ddiu cacciaturi mmazza macari iddi – o bibbia bibbia di celu nuvulusu – e telefonannu o nannu nuddu rrispunni tutti si nni ieru di notti quannu sanpetru sigritariu pigghia nota e ripassa: cu ccè ccè – i figghi ca ranni si nni vanu nun’ su digni di lu sangu ca li fici – affettu affettu ma qual’affettu e amurinpezzu di salami pirdutu nta murtadella e ccattatu a centumilaliri o grammu – si fussi ddroga o vunu o paggini strazzati d’un libru pirdutu ammenzu o mari e nuddu ca ci po’ fari nenti macari na striscia sfumittata comu rrispiru subbitu fattu oca o papiru – e ttu riordi a pascàl pascalino? Chiddu ca iucava ccu ddiu comu e nuciddi? Pinsirusu e streusu cristianu e strafottenti forsi pukiraturi i notti – e a peddi co suli brucia e anniura e nta sabbia divintassi peddi e nno culuri ca la pioggia marzulina lava e leva – peddi di disertu o d’ngulu di strata d’accendini e liutrini e finti portafortuni a purtassiru a iddi – a malatia nveci è cchidda nostra ianca e marditta ca nuddu u sapi e u vosa veniri gnornu di matina chianciri e chianciri chianciri e crisciri -cussì semu nuatri siciliani chiddu ca vulemu no sapemu e chiddu ca sapemu no vulissimu sapiri ccussì semu ca ucca ca parra picchì nun ciava nenti cchi diri e ca s’accuccia si vulissa diri – semu sdintati nuatri quannu vulemu vecchi prima di nasciri e picciotti macari quannu muremu – chisti semu nta stu triangulu difittatue ccé cu cci cridi cu preia ognunu u so santu ccinné ppi tutti macari ppi chiddi ca nun volunu – ccussì semu ca na scrupuliamu ppi susirini del letti amacuti fra nmuru e n’autru e mangiamu dolci duci canditi di lingui stuiati e – ccè a famigghia chidda cu si penta s’ascorda si ni futti ci ponu mmazzari quegghierè si ni futti si penta o menta e s’arriposa si cuscinzia s’alliberta i cosi ca tradisci sunu a so lima nunn’avi bisognu e nuddu ccè cchiù ca ci porta – a comu i mmazzassi a st’occhi vasci a sti pigghiati di spaddi a sti nazzisti a comu i cuncitrassi e ciià sparassi d’arreri atradimentu – iddi u sanu cchi significa sta parola – a canusciunu troppu bbona e mangiunu e spettunu l’ura e si leggiunu i ggiurnali cche so nomi bella celebbrità era megghiu forsi si faceunu i cantanti nnapulitanati ddi catanisi da marina ca cantunu comu e furisteri nlibru ci fussa di faricci ma passa a vuluntà a asintilli e macari a iddi mmazzassi – machini cco steriu fortiforti ca spaccanu i vitri e passunu e spassunu – na vota unu si nnieva o cinima ora mancu chissu si sta a casa e si vadda chiddu ca ccè e cchiddu ca vola e cchiddu ca cumanna: ma si ssi sapi nun si dici: e poi a ccu ccianteressa? Na vota unu si nnieva a vidirisi un bellu film ccu paulu villaggiu o ccu francofranchieccicciungrassia ppoi chisti s’asparterru piccatu erunu na bella coppia faceunu arridiri assai u cinima s’aspasciava e si pisciava ppoi vinniru i masculi di partitu e s’affittarru a sala e ncumizziarunu spaccannu i microfoni ma nuddu i sinteva – tutti sapeunu ca chiacchiri erunu e chiacchiri ristaunu – cu campa vida e cu vida nun campa – si nun ciavissi statu l’aidiessi avissi statu megghiu – i vidi a chiddi na strata ppi catania ma comu nun ci pensunu e ppoi ma picchì nun ciafinisciunu no capisciunu ca è megghiu ppi iddi si nun fanu nenti – o è megghiu ca ciansistunu accussì si levunu davanti ca cciaccaparru di rumpiri macari iddi – puh cchi fitinzia e contrappuh – aiu vistu a chiddu ca bannera do milan era megghiu chidda di l’italia direttamenti – una sassetta e telecumannia e vulissa diri tanti cosi ma tantitanti sputari na televisioni ma picchi ccià dari stu saziu no fazzu finta di nenti tantu ammia stanu pinsannu – inveci unu i cosi a ddiri e affari.
Ottobre 1990, n. 11
Salvo Basso
Letterucce
1
Nuova Iorc, dicembre 1957. Ti scrivo che non c’è niente da scrivere. E non è vero. E’ successo e succede tutto. Di tutto. La crisi del golfo qui ha scioccato tutti. Soprattutto i petroliferi. Io abito ancora sul mare, in quella casa che anche tu hai visto una volta, e già sento i venti di guerra. Il deficit è il solito. Ho ragione: non succede niente. Intanto hanno impallinato e infuneralato un giudice giovane o giovanissimo.Sono stati mafiosi. O politici. Non li prenderanno mai. Non guardo la televisione. Credo sia inutile, ormai. Preferisco scriverti. Senza rabbia, constato. Senz’ira. Questo governo non mi piace. Del resto non mi piaceva neanche l’altro. Parlano, parlano. Ci fottono. Ci esequiano. Li lasciamo fare. Il mio vicino di casa, migrato anche lui, ma abruzzese, mi dice cualuncuista.Anche lui ha le sue santissime ragioni. Ma questi, cristo, questi chillerazzi, nazisti, staliniani, senza pietà, questi figli di bbottanissima. E’, tu lo sai bene, la tristezza di chi scrive perché non sa e non può far niente. Di chi non crede agli eroi, sapendo che esistono ancora, stupidi, stupidissimi
2
Canicattì, ottobre 1973. Continuo a scrivere per quel giornale, finché me lo lasceranno fare. Dicono che non mi capiscono. Io non posso farci niente. Ci mancherebbe pure che uno si dovrebbe preoccupare, quando pensa o scrive, di quello che pensano o scrivono gli altri. Ognuno è solo, o giù di lì. Il sarto mi ha confezionato un vestito nuovo bellissimo. Appena vieni conto di mostrartelo. Anche se non dovessi indossarlo quel giorno. Magari lo esco dall’armadio apposta per te. E lo avvicino alla finestra per fartelo giudicare meglio. Ma sono sicurissimo che ti piacerà.
3
Torino, gennaio 1962 . Sto facendo i soldi dei quali sicuramente a quest’ora sarai informato. Seguo con particolarissima attenzione Fondinvest 2 e 3, Arcobaleno, Money time, Intermobiliare. Ma anche Giallo, Nordmix, Fondimpiego. Il sole è in salute e questa è la cosa più importante. Nuvole, sempre meno. Chiuderò i conti appena ti vedrò.
4
Jalta, marzo 1958 . Ho appena ricevuto la proposta postale dell’acquisto della Storia d’Italia di Montanelli. Ma ci pensi? Montanelli che ha scritto la storia d’Italia. Non riesco a trovare invece, quella storia della Sicilia in mezzo volume che mi consigliasti tempo fa. Forse non è più in commercio. A me gli articoli di Montanelli, del resto, non mi hanno mai appassionato. So quello che stai pensando. E ti rispondo, adesso, mentalmente. Infatti: scrivo ancora su Nella Città (che vorrà dire poi questo titolo?).
5
Saratov, settembre 1980. Mi hanno regalato un nuovo orologio. Tu sai che dell’orologio uno ormai non può fare a meno. Anche se non è fissato con la puntualità, così come tu sei (ma è fretta di sbrigare gli impegni o cos’altro?). Questo poi è al quarzo. Ha una linea modernissima (anzi, a essere più precisi, oltremodernissima, quasi pre). Ha una linea molto raffinata e personalizzata (perché, dico, il polso è mio, non tuo). Credo che il tempo sia, alla fine, l’attualità. Non tanto la vita nel tuo presente, quanto un mettersi in linea perfetta con il gusto d’oggi. Ma vallo a dire a quell’africano che (ricordi?) conoscemmo insieme l’anno scorso, a Pescara. Per lui il tempo è la strada. Sottolineata dalla sua continua, stanca presenza. Ogni tanto ci penso. Sarà orgoglioso della sua vita?
6
Nutak, aprile 1964.Continuo a scriverti del tempo. Mi domando della sua precisione, della sua affidabilità. Sarà sistematicamente, attimo per attimo, o meno d’un attimo, autoregolato con fratello spazio.La cassa dell’orologio, la cassa del tempo. Il resto è inutile aggiungerlo. Mi fido, a carta, del tuo sillogizzare.
7
Machala, agosto 1976. Così come Paul Bowles cominciò quella lettera a Pamela Leoffler, anch’io ti comincio questa. Cercherò di scriverti una lettera breve in modo che non ti ci voglia troppo tempo a leggerla. Ma non sono sicuro di riuscirvi. Altrimenti, ripenso, t’avrei fatto un telegramma. Tranne involontari spostamenti della corona, sarò da te per la metà del mese prossimo. Forse arriverò contemporaneamente (sai la barzelletta del figlio che chiede al padre il significato di questa parola? ma gli avverbi sono parole?) a questo foglio, questa busta. Salutami tanto chi sai tu.
8
Mzuzu, novembre 1981. Ho letto le poesie del tuo amico e non mi sono piaciute per niente. Non ho peraltro la sfrontatezza, dopo la sua eccessiva gentilezza, di scrivergli una lettera. Né iposcrita, né sincera. Digli che sono stato molto occupato e che, per il momento, non posso leggere niente di niente, capirà, forse. Ma si può, questo lo dico a te, scrivere ancora in questo modo! Siamo agli inizi degli anni ’80, perdìo. Consigliali, diplomaticamente, di leggersi qualche moderno manualetto del bello scrivere o del poeta di successo.
9
Tirana, giugno 1967. Il tuo amico mi ha fatto una testa tanta sugli stili dei mobili. Occristo, sai che non sopporto i sapientoni nel loro campo che non la smettono di riempirti la testa di cose verso le quali tu non manifesti alcun interesse. Perché me l’hai fatto conoscere? E’ una tua palesissima vendetta per qualche torto che ti avrei fatto? Vuoi dirmi, per favore, di cosa si tratta? Per ripicca autolesionistica sfregerò quel tavolinetto che al tuo amico piacque tanto, al punto da scolorire, vedendolo per la prima volta.
10
Oita, maggio 1973. Ci torni. Adesso è stata la volta del grandissimo intenditore di quadri. Ma porchissima miseria, non me ne frega niente dell’esatto valore dei quadri che ho. Se è falso, se è vero. Non so quali siano le tue intenzioni. Perché questa vivisezione della mia casa? Perché questi sguardacci estremamente indagatori? Bisogna veramente apprezzare le pennellate calligrafiche di una cosa che hai appeso al muro per non farti assassinare gli occhi da troppo bianco?
11
Prizzi, luglio 1984. C’è questo tizio che non fa altro che citazionare. Avrà mai detto qualcosa di autenticamente suo? E’ una lettura vivente. Come ha detto questo, come ha detto quest’altro. Poi, alla fine, quando gli chiedo: lei personalmente cosa ne pensa? mi risponde che è troppo modesto per dire la sua. Capisci come lo ammazzerei?
12
Taltal, febbraio 1958. A tutti i costi ha voluto insegnarmi a giocare a scacchi. Guarda, gli ho detto, non ho né il tempo né la volontà. Niente, come se parlassi con il muro. Prende la scacchiera, mi spiega i pezzi, il gambetto ed il resto. Faccio finta d’ascoltarlo. Si comincia la prima partita. Non so come, giuro, non so come, ma vinco. Si alza, rossorosso, pensando chissà quali maledizioni, e se ne va con la scusa d’un appuntamento improvvisamente ricordato. A te cosa ha raccontato, se lo ha raccontato?
Dicembre 1990
Salvo Basso
Sottotitoli
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TU NON PUOI SFRUTTARE QUESTO SPAZIO PER I TUOI BISOGNI PERSONALISSIMI. TU DEVI PENSARE PRATICAMENTE ALLA COMUNITA’ NELLA QUALE VIVI ED OPERI. LA TUA CREATIVITA’ RISERVALA PER ALTRE COSE E PER ALTRI MOMENTI.QUESTO NON E’ CERTAMENTE IL LUOGO PIU’ ADATTO PER UN’AZIONE DEMOCRATICAMENTE INFORMATRICE.... (poi gli manca il respiro, la parola, l’aspirazione o l’ispirazione profonda, sbarra gli occhi, mi dice che ha solo scherzato, che non voleva, chiede il perdono di Dio e quello mio...io glielo do’...non mi costa niente...Dio...penso lo stesso...chi lo sa che pensa Quello?????)
*
c’era una volta un uomo ricco che incontrò un uomo povero e gli diede le sue ricchezze; l’uomo ricco, ex povero, incontrò l’uomo povero, ex ricco, e gli diede le sue ricchezze appena ricevute; l’uomo ricco, ex povero ed ex ricco...
*
contro la mela, disse il barese, lo steto dovrebbe essere più forte
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ridge ama caroline che ama ava che ama thorne che ama caroline che ama ava che ama clark che ama nick che ama donna che m’ama?
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facciamo finta che questa sia una lettera, che io ti stia scrivendo, che tu la riceva, che tu mi risponda, facciamo dunque finta che questa sia una risposta alla tua lettera (in realtà, e mi dispiace, mai ricevuta)
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l’etica, innanzitutto, disse il boia
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ri-pensare, aggiunse il tizio, è battagliare con lo stesso pensiero già fatto per la disunità di sé stessi
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e ccu cci capiscia cosi – dice giustamente la giusta lettrice di passaggio a Scordia
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si fece i soldi, un tempo, organizzando pellegrinaggi alla casa di un certo Baudo Giuseppe o Pippo, presentatorissimo in quegli anni bui, quelli della dittatura caffiana, per tutta la patria e la nazione italiana (fratelli d’Italia nella versione di massimo troisi etc. etc.)
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minnicumpiacciuassaiassaibbravubbravu
maleipicchimudici
ccussicchissacciu
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la professorina cambiò registro. Da quell’anno in poi tutti promossi o tutti bocciati. A testa, a croce.
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C’è una coscienza che si diffonde – disse molto seriamente. Ma di cosa, di che – gli fu sgarbatamente risposto. Non lo so – concluse – ma questa coscienza si sta diffondendo.
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il criminale uccise quello che gli aveva ucciso il nonno che aveva ucciso il bisnonno dell’appena ucciso...il commissario non chiuse occhio quattro notti e quattro giorni...poi decise d’arrestare, in mancanza di altre e più certe prove, una tomba di un bis-bis-bis- bisnonno di uno dei due (non ricordo di chi, esattamente) che parve avesse cominciato per primo.
*
il papa? Non lo sopportava. Gli sembrava un bianco imbianchino delle vie della terra. E quelle del cielo? Per quelle non ci vuole forse – amava ripetere – un nerissimo servo di Dio?
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non era razzista, sicuro, lo giuro, lo aveva sempre dimostrato, in qualsiasi occasione, anche quando fece fuori, con un colpettino di pistola caricata chissàquando perchè non si sa mai, al giorno d’oggi, quel negretto che passava e veniva da destra col motorino smarmittato. Disse al giudice, che gli aveva evitato tantissime sofferenze, che era un benefattore dell’umanità bianca e nera, che era un tifoso juventino ancora prima di nascere che non lo aveva fatto apposta, che non sapeva cosa gli era successo, che quello sicuramente non era assicurato, anche se – e questa sì che era la sua unica e veramente grande colpa che lui stesso a sé stesso riconosceva – non aveva fatto in tempo a chiederglielo
*
a chiazza a xhiazza vattinni a passiari – ca cce’ l’aria cchiu’ frisca – a chiazza ca è a orienti di l’occidenti – cca culonna ca diriggia u ventu
*
cciaiu a spiranza ca cca’ i cosi prima o ppoi s’aggiustunu – macari tra cent’anni ma s’aggiustanu – u sacciu ca è a spiranza de babbi – ma si mancassi chista – certu ca iu, cent’anni fra deci jorna, nun mi rriordu nperiudu ccussì bruttu, ccussì ccosafitusa ccussi’...cussi’...ppiffozza malappalori maffari diri? Ppiffozza?
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M’AZZANNI U SIENSU CCHE COSI CA SCRIVI MA PIFFOZZA A SCRIVIRI? E CCHI SACCIU – CCIA RISPUNII
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stràppami il muro
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tre anzianotti, 260 anni in tre, avevano deciso, dopo molte decisioni notturne, di fare il golpe paesano. Rovesciare quest’amministrazione per governare finalmente e definitivamente per il bene della collettività. Presero un tridente, uno per ogni partito della coalizione, e conquistarono, con qualche giusto spargimento di sangue, il potere. Morirono dopo due mesi. I figli del tridente indissero nuove e democratiche elezioni che diedero 10 consiglierucci a testa ai tre maggiori partiti. Due consiglieri furono dati per dispersi. E lo sono ancora.
*
taspagnitaspagniapparrari?
Eppicchimavissaaspagnari?
Nosacciumataspagniustissu – siparritifanua
peddiemafanumacariammiasisacaaiuparratuccuttia
allurafazzuinnomiinnomideresponsabbili –
allurafazzuinnomiiscrivuntafogliettucidugnaiddistissiachidducaaiuscrit tu
* nuncenenticchissapiri
cuassapiriicosiisapidirettamenti
pobbleminuncinnesemuccussicuntenti
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questo giornale, disse l’innominabile, è chiaro che deve andare sempre di più verso le vere e reali esigenze dei cittadini dei quali naturalmente non ci preoccupiamo mai – però il giornale lo devono leggere e capire – devono sapere quanto li vogliamo bene (azzannò una cosciotta di pollastrella e tracannò mezzo bicchiere di vino preso dalla bottiglia che io stesso, servilmente, gli avevo portato). Mi disse, ruttando, che non ce l’aveva assoltamente con me, che io potevo continuare a scrivere sul giornale, con il mio solito o insolito stile , almeno fino alla prossima bottiglia di vino; ruttò ancora una volta, chiamò due finti nemici di due finti partiti e cominciammo, in 4, a giocare al poker; lunga vita – disse, vincendo il suo primo piatto – a NELLA CITTÁ)
*
ci sono circostanze e circostanze. Ma la libertà protestai debolmente. Questo è un intrigo inghipposo: fantasia, realtà, libertà...non contano niente: lo vuoi capire? Quindi sbrigati a cambiare pezzo per questa volta...o vuoi che non ti faccia più scrivere? No, non scrivere no – dissi sempre più debolmente. Cosa vuole che facci? Faccia? Niente, Niente, l’importante è cestinare quest’articolo – nemmeno che si possa chiamarlo così. Scrivi quello che vuoi. E mi raccomando, non pensare troppo, al solito tuo.
“torna, ri-torna Battisti? Ma chi glielo fa fare? Torna, ri-torna? Per farsi intervistare da Mollica, da Costanzo? Torna, ri-torna?”
febbraio 1991, n. 13
Salvo Basso
chiantamu fuocu,
[Chiantamu fuocu, letteralmente facciamo divampare un fuoco, accendiamo la miccia, dei giovani che fanno casino o che vogliono fare la rivoluzione]
“picchi’ scrivu nsiclianu? Ma iu sugnu sicilianu. Eppoi nunnascrivu nsicilianu. Scrivu ma no sacciu comu e chiddu ca scrivu. Succeda ca mentri ca scrivu mi scordu di chiddu ca scrivu. E di chiddu ca pinsavu. Ma scrivu. Scrivu? E scrivu u stissu. Pinsannu e scrivennu. (trasferennu l’internu all’esternu) (Comu si fussa na cosa di gola) (Gola o penna disinfettata) (Ognunu è una gola sola)
Saru Sariddu mi scancia a penna niura ccu una bblù. Ppi iddu – figghiolu – è u stissu. Nun sapi (e non lo saprà mai, mai) ca stù culuri nunné ndifferenti. E ccù stù bblù di cielu nun micciattrovu. A mmia ma ddari u sangu di niuru nterra. (U niuru de sicci)
Poi pigghi a fobbici e stù blocchettin u ntricusu ... Nveci quaccosa a lassu. Na tagghiu e ritagghiu. Ppoi ripigghiu a fobbici. (Nausea....ma paggina ca nunné ncinta)
Vulissa diri (Ccu ttri giri e giruzzi di testa) (E ggiri e ggiri – e ascura) (E ggiri – e agghiorna) (Rimanna a vvaffanculu) Vulissa diri (Sempri ccà è nun sinnivà) (Dicia chiddu caddiri – chiantamulu stù fuocu binidittu) Vulissa diri Avissa a pinsari chiddu – tuttu chiddu – ca aiu fattu...tempu nun m’abbastassi mancu pi centanni. E ora ca ti pensu e ti ripensu ora ca nun cunchiudu cchi vvoi dittu di novu? Cchi vvoi dittu di bellu? A differenza fra chiddu ca sì e chiddu ca voleutu essiri. Du linii paralleli o n’occhiu ca nun vista. ... N’occhiu ca nunn’avevu. Nunn’appi. (Cu nn’appi nn’appi de...)
Al Trasparente: “’Io non so se Lei in Italia sia un impiegato dello Stato...ma uno non può studiare Wittgenstein, uno non può studiare gli sciamani e poi diventare un impiegato dello Stato perché è la cosa più ripugnante che vi sia diventare impiegati di quello Stato che in realtà è uno Stato che bisognerebbe semplicemente distruggere...’” (Gargani, Sguardo e destino).
Nun la furzamu e strafurzamu cchiu’ sta testa tistudda. Chiddu ca vinna vinna. E stà carina bbuccata e i manu e atesta e i pedi friddi (Scrivu e baccaliu – comu a tutti)
(Mangiò pane affettatissimo e bevve cocacola – in posizione verticale – arricchendo la giornata di un sapore fresco della stessa giornata. La pietanza era naturalmente pietosa. La fragranza ricca e riccuccia. Come se fosse attartinata (Sandiwichami – gli disse – oh sìsì toastami). Lui stesso si preparò il conto, con cura calligrafica. Si salutò, uscì...)
Bbartulu ficia a mostra/ e nuddu cci iu a vidilla./ Si cunfidau ccù Cicciu./ E Cicciu pinsavu a unu...pigghiau u libbru...apriu...paggina sittantanovi...liggiu:«...l’acquistar poi gloria presso gente come quella che ci sta attorno, è cosa vana. E allora?...sopportare la loro compagnia e farsi in disparte il più possibile.»...Era Marc’Aurelio...bbravu carusu...
Timidissima crisi d’identità...La tessera...Sono o non sono Salvo La Rosa?...Ricordami di Kierkegaard, il tuo Soeren...”Si buttano giù alla buona di Dio le proprie riflessioni e si mandano in tipografia: ecco che un po’ alla volta, correggendo le bozze, cominciano a spuntare un mucchio di pensieri. Perciò fatevi coraggio, voi che ancora non osavate mandare qualcosa alle stampe: anche gli errori di stampa non sono da disprezzare e il diventare spiritosi, a causa degli errori di stampa, dev’essere ancora considerato un modo decente per diventarlo.”...Narduzzu nveci pinsava ca...
Il signor Buja ci piacciono i documentari di Pierangela. Ultimamente si ricorda di un o uno zoologo, cioé quello che negli o nei zoo, fa praticamente la guida e ogni tanto morsicato da una scimmia più umana delle altre, dunque questo zoologo o zoofilo, adesso il signor Buja non ricorda benissimo perché anche lui bisogna considerare l’età, comunque questo zoologo era andato in una regione di un continenet selvaggio o era una regione selvaggia di un continenete e lui si ricordava solo questo; però vedeva anche la messa santa come un buon cattolico pigro, telepraticante, pregava da solo ed era contento lo stesso; non giocava la schedina, ma seguiva tutte le notizie sportive una volta ogni ora; novantessimi e tremilacentesimi minuti; gol all’ultimo respiro; la sua domenica era davvero una domenica poltronescamente sportiva. Il signor Buja ci piacciono anche le cose che non ci dovrebbero interessare. Per esempio i giochetti per i bambini lo divertono moltissimo. Si vede anche tre-quattro telegiornali al giorno, per non perdere niente. Bisogna essere informati. Se non si sa tutto si è perduti, anche se non si esce mai da casa. Comunque è bello, anche se non si vede nessuno, sapere che c’è qualche popolo libero in più, anche se il signor Buja si dispiace quando sente che c’è stato un terremoto o un aereo è stato dirottato oppure è precipitato E si chiede perché ci sono ancora tutte queste brutte cose, perché succedono. Il signor Buja prega ogni sera che i figli della signora Milo stiano sempre tutti bene, perché lei è così carina e lui forse comincia un poco ad innamorarsi di lei.
La poesia non serve, non serve, gli ripeteva. Era un amico, un accanito masticatore di tabacco e certo doveva apparire strana quella frase, detta da lui, che comprimeva inutilmente i denti anche quando parlava. La poesia non serve e quasi l’aveva convinto quando scoprì che la poesia era vitamina, cioé vita mia. Indagò allora su quale posizione nell’alfabeto esistenziale gli toccasse. E fu indeciso, nella scelta, fra la C e la D. Qui si fermò, tra le due lettere, qui si fermò, non avendo il coraggio di inventare lui stesso una lettera.
Ma non sono tante, troppe quelle stelle per un solo bambino? Chiese al padre. Ed il padre gli rispose che le stelle non erano poi così tante e che i bambini erano, in ogni caso, di più. Non fu soddisfatto della risposta ma non fu immediatamente scontento come, poco dopo, a letto. Adesso guardava il cielo con occhi diversi, senza sapere bene il perché. Prima di addormentarsi, pensò di diventare una stella e di cadere per esaudire il desiderio di un altro bambino, forse il suo stesso desiderio, la sua stessa risposta.
Aprile 1991, n. 14
Salvo Basso
Agghiacciamenti di primattina
Cominciamo di primissima mattina con il disco di tre anni fa di Gianni Bella - a tutto volume. Poi (o prima, ancora prima d’ogni prima) col caffè. Ieri sera ho parlato con quel teologo pazzo che non sopporto. Cercava - tra una chiusura d’occhi e l’altra - di dimostrarmi (dimostrarmi?) che in realtà non ci poteva essere altra spiegazione logica del BIG BANG, che considerarlo, quale in effetti era, solo (solo) il suicidio di Dio con un colpettino-colpettone di pistola, appositamente creata (da Chi se non da Lui?). Al limite al limite, mi disse sul finire della nottata, un omicidio, sempre di pistola, con pistola parlando, ma non si sa ancora di chi. La polizia indagherà e prima o poi qualcosa salterà fuori… Cos’altro potevo dirgli?
Intanto la ragazza astronomica che non aveva smesso di sguardarmi un attimino…la sentivo dire, parlare e straparlare (uiscata al massimo) di una che non pomiciava da chissà quanti anni luce e allora un giorno arrivò su un pianeta, conobbe uno e se lo portò a quarkiare da qualche parte dell’universo, che è sempre, tuttosommato, un mistero bellissimo. Ed è meglio che resti un mistero, perché queste cose si sa come vanno a finire… Uno comincia che non gli sembra niente d’importante, invece poi poi, senza neanche accorgersene o volerlo veramente… D’altra parte chi dipende da chi?
Potrei farti la mia automitologia. Raccontarti ogni istante -minuto - battuto battuto (a macchina, col cuore). E questi appellamenti d’oca. Ma servirebbe? Le pagine esposte al sole maturano. Ma bisogna lasciarle rigorosamente bianche. Soffrirne senza darlo a vedere. A vedere solo cosa succede, dietro la finestra tendinata. C’è il sole - e le telefonate da fare. Ma per tutto, per niente c’è il tempo di finire ogni cosa - come la chitarra scordata (sotto tutti i puntini di vista). Soprattutto non aspettare il postino. Alla fine - devo ripeterlo - si arriverà a capire la cosa di ogni cosa, il posto ereditariamente trasmesso da un gesto all’altro. Il pericolo di un’influenza d’ogni ambientazione. La questione, d’altronde, ha tutto il fascino perduto che sappiamo. Alla prossima svolta. Di una cellularità atipica, se vuoi. Come quando leggi con la testa che letteralmente non c’è (da tutt’altra parte). Eppure vai avanti, senza fermarti. Finché sbatti e allora forse castigandoti uqlahce qualche cosa la capisci. Oh!
Giochiamo a testa-croce. Se perdi ti condanno come fu condannato senza nessunissima colpa Gesù Cristo. Se vinci ti costringo a pensare per una tua buona volta (ca di quant’ava ca ti canusciu mai mi ricordu ca t’aiu vistu pinsari).
*
c’è un’infanzia mortamente affamata nel vertice malato di questo settembre. La volontà, agghiacciata in frigo, è la mia sola condanna
*
è una domenica di sacerdotale amministrazione. Le messanti però mi sembrano più belle, forse per via di un pudore inconcluso (vedi, per esempio, quella finta gonna?)
*
a differenza delle precedenti poesie, queste hanno un finale. Prima, invece, modificucce eterne, enormi
*
la tartaruga ha lentamente impiccato il prato. Agli eredi un biglietto scaduto dell’atac
*
se passa un giornino di quelli che pioggiano il cielo - vedrai, amore, mio amore, che amore ti faccio provare
*
bisognerebbe titolare la vita come un film o un libro (in cambio di un’extra strong ti do dei litrini di sangue)
*
"mi sorprende (come se non fossi morto) turbare la quieta vigilia del campo (che benedirò neanche fossi un prete pagano), bocciare questo sole estenuante
*
nel pienissimo vigore del mezzo mattino mi decreto creditore di una virgola,
*
vi vuole pazienza, amora, e non ne ho, per costruire i giusti, stordenti effetti poetici che qualcuno (ancora?) si aspetta da me. Non è cosa d’un giorno risvegliare il rigo, nutrirlo. E questa lettera è bianca com’era prima che cominciassi a scriverti
* è che, alibilmente, ci vorrebbe più tempo. Più settimane, più indici e inchiostranti. E’ per la pressione delle dita, infatti che il chiaro di sol dà il cambio alla pagina
* ora ripenso alle giornate ultime: nessuna notte, nessun rischio. La burrasca è stata leggera, alle spalle. L’esatta cognizione del tempo («smettiamo») è il tuo successo di sempre.
* "mi stanco. Neanche scrivessi poemi o endecasillabi. Sarebbe più opportuno programmare meno di una parola al giorno. Ci pensi? Felice e spoetato.
* mi chiedi dei miei diversi linguaggi. (E’ che correggo pochissimo perché vorrei correggere tutto)
* dovessi compilarti tabelle, fedelmente riportando a destra o a sinistra, le quotazioni della mia poesia, i flussi stagonali, registrarti funebre i versi, due, di quattro mesi; le cadute di quaderno, il ribasso del 50/60%, il valore azionario della mente
* è natale. Lo senti? arriva. L’ufficio internazionale delle comunicazioni groelandesi. E’ il natale del ’98 - mi pare. Gli amici sono decisi come sempre. come un’acqua. E i regali, impresepiati, in ogni fatto. Mi leggo - sempre più disattentamente. Le ultime pagine sono sempre le migliori. Bisogna scoprire la fine subitanea d’un bit. Senti? è un’occasione da una volta l’anno. Non puoi perderla, premiando invece le pasque. Io continuo a lavorare in questo paese africano. Watusso più d’una canzone. Affettuosamente, paci di mani strette, stritolanti. Auguri, yes, augh!uri, ok. Sai che sono rinchiuso in una riserva rossissima? Questo è il successo - disse - la vita. Desidero ringraziare il numero perché è giustamente matematico. Questo è un momento di algebrica festa e quasi tutti sono contenti. Almeno quelli che sconosciamo. Ma: gli errori tipografici sono previsti e contemplati provvidenzialmente dalle mie musine? Un punto è sempre un punto, che inizi o finisca, lo start sparato, è una certezza, un punto perché è fermo e immobilmente buono. Capisco?
* (A MORTE)
1.lei partorendo - senza che suo padre/madre sapesse niente - l’inwatera e il padre/madre la salva alla vita
2.trafittissimo da uno stuzzicadenti di plastichissima ingoiato frettolosamente inavvertitamente in una tartina nuziale del suo amico migliore trafittissimo dal rimorso
3.chiusi nella gioielleria minaccano l’ostaggio poggiato a muro - saltano i nervi prima del cervello
4.vietato morire
5.lui la salva dal ponte - s’innamora di lei che non ricambia - lui ritorna al ponte (un mese esattissimo dopo)
* debolissimamente varo la nave del giorno in quest’acqua di luce che affonda le pareti.
------------------------------------------------ Giugno 1991
Salvo Basso
’nte ruvetti
[Il titolo, tradotto, significa "in mezzo ai rovi". Unico e prezioso il tentativo di riuscire a fare poesia in dialetto con un contenuto che ha a che fare con l’attualità, le notizie televisive, le cose di cui si parla, di esprimere col dialetto le idee e le emozioni come gli scordioti più o meno le esprimevano o le avrebbero espresse in siciliano.(vedi l’ultimo testo, su Diego Armando Maradona, e il cenno al Blangadesh)]
* così ovviamente – infantilmente - illeopardito a tal punto che che forse quasi che mi trasferisco nelle Marche che quasi che s’è possibile m’affitto la casa faccio il custode ed il visitatore reincarno poesie (Silvie che sono Cinzie, passeri solitarissimi, infiniti infiniti e come te non c’è nessuno)
* certo... gallina vecchissima che faccia buon brodo...E allora, magari, campare ottantanni (88 per la precisione che ai morti si deve) come Manzoni. Così mi prometto un futuro di bianchi capelli e versacci.
* (ma ntantu stamuni muti accuminciari di mia ppi primu comu a chiddi ca ucca nunnanu o a tenunu aperta ppè muschi muti ummira da nostra ummira mussi nciruttati specchi d’omirtà picchì ppiddaveru nenti amu vistu o sintutu nuatri erumu a cogghiri aranci
* d’una pazienza ormai manco d’una pazienza vivace che arrivi dopo un insuccesso che mi renda (finalmente) famoso a me stesso annodato (finalmente) come un fazzoletto sicuro
* (sono le tre di notte e non è vero. Sono le due...sì quasi le tre... E’ quasi vero...E’... è vero... Verissimo...Falso...)
* Na Ferrari. Ducentucinquanta, ducentutrentacinqu chilometri all’ura. Sa bbola. Abbularu. Ppì sempri. Amen cchiù amen cchiù amen. Picchì a classi nunné acqua e nunné acitu (e si u sonnu nu mena o cucchiti o scuru spagnatu di l’ummira tò ddummisciti priannu chiancennu ma ddummisciti ccà testa allinzulata frisca ddummisciti). Tutti stì santuni chisti ca diciunu ca uerra è comu s’auna sparari e mmazzari e muriri iddi chisti sti minchiuni ca diciunu de vizzi e stravizzi di st’omu ca fu ngranni campiuni di bbadda e bbasta. (Stù disgraziatu stù malesempiu stù tarantinu). Stù figghiu di... ca s’accattava dda purcaria ianca ddu issu di lussu cché nostri sordi italiani siciliani napulitani tutti pureddi dè pureddi. Ricorditillu: u santu tintatu s’abbia ’nte ruvetti.
* (perché – diciamolo – ci vuole coraggio a scrivere le cose che scrivo. Perché – diciamolo – ci vuole coraggio a pubblicarmele. Perché – diciamolo – stanotte è sventata ed ho – diciamolo - un’agitazione – comedire presocratica)
* (scrivo tutto ora. Anche il peggio del peggio. Ma ora. Come se non ci fosse una prossima volta. Chiedendo una finta ed insolita scusa. Perdendo, dunque, alla fine, la faccia del foglio)
* ma noi, mio bellamore, che ci siamo raccontati tutto tutto l’uno dell’altra l’altra all’uno noi (mio bellamore) che ci siamo seguiti lumacanti con la grazia delle improvvise deviazioni, ma ripresi e riprendendoci... come questi versuzzi che vecchio ti dedicherò
* così pirandelliamo astutamente distinguendo l’uomo dal calciatore. Iu u sappi ddà menzannotti. Ccò televideu. Ma è vveru? E’ vveru ca sa ddroga? Ccussì scrivu a menzannotti. Cca televisioni muta e ddumata. Scrivu di Ddiegu ccù l’occhi di pietra. Malatu? Ciauriau. Ciauriau. Pisciau. (Ora iu vulissa vulissa ccu ncoppu di culu creativu ttruvari tuttu cosi stanotti... e ccu sugnu babbu priatu di natali?). Fu, allura, ora u sapemu fu na bbuttanazza na polizziotta ca u futtiu. Mannaggia!!! (Ci pensi? Iu scrivu a mmaggiu ...e chi scrivu? Mentri ccà ccà intra na musca sonnambula runzia... e vegnu stampatu cu-sapi-quannu...). Bangladesh...nun taia ddiri nenti... e cchi ssù milli o limmi-e-rutti morti o deci o centumila? E deci miliuni (o deci ppiù deci ppiù deci) di senzatettu? Fu vventu. Cchiù ventu cchiù ventu.
Agosto 1991
Salvo Basso
Tincu
*(Unu)
perché poi la guerra non è vero che è finita la guerra non finisce mai mai ed è inutile che condanniamo la violenza solo a parole mentre poi nei fatti la violenza è la continua violazione la continua intimidazione e bisogna capire che non basta pensare che il fuoco sia cessato se è cessato perché la non finisce mai il mondo d’altra parte è militare per essenza e non bastano gli scongiuri verbali qui davvero si spara si attacca ci si difende si muore insomma nuclearmente o no
*(dui)
io ero uno di quelli che ci credeva ma ci credeva davvero e ogni volta che sentivo parlare d’unione sovietica mi brillavano gli occhi e dicevo che là si sta bene veramente non qua che c’è la diccì e tutto va male e ora anche i socialisti sono diventati finti mentre la verità è quella russa del popolo che ha rivoluzionato del popolo che ha scelto il popolo e non altri al posto del popolo il popolo in primissima persona perché quando le cose vanno male ma veramente male come quando c’erano gli zars e allora bisogna ricorrere alle maniere forti ma non era non è la stessa cosa del terrorismo italiano perché loro i brigatisti ammazzavano gli innocenti che non c’entravano niente gente della scorta gente del popolo invece gli zars erano tutti cattivi e certe volte è giusto che i figli paghino le colpe dei padri quando queste colpe sono particolarmente gravi una cosa è certa così non si può andare avanti comunque ora quando sento il nome gorbaciov ad essere sincero mi viene un groppo in gola perché è come se avessi perduto un sogno che magari era un sogno però uno un ideale per vivere ce l’aveva ora invece
*(tri)
quando li sento dire alla televisione tutti contenti che è stato effettuato un nuovo record sequestro di droga li ucciderei con le mie stesse mani entrerei dentro la televisione e ci spaccherei la faccia bastardi loro che ne sanno bastardi io ogni volta che penso a tutti quei bei chili di cocaina che chissà che fine fanno e a tutti i miliardi che potevo farci magari una sola volta un solo carico un solo commercio però forse mi sistemavo per tutta la vita tanto di consumarla la consumano lo stesso va bene che poi una volta che entri nel giro è impossibile o quasi uscirne però con un poco di fortuna
* (quattru)
ma io non capisco perché questi sloveni non ci fanno fare quello che vogliono perché non devono essere liberi non lo capisco i rumeni sì i cinesi sì anche quelli del kuwait e questi no io questa cosa non la capisco per me se tutti gli italiani settentrionali se ne vogliono andare sono liberi di farlo si fa una bella votazione e se decidono così amen che forse soli soli di nome oltre che di fatto come siamo ora forse ce la caviamo anche meglio così non ci illudiamo più io penso che questa cosa della guerra civile non sia vera ma che è la storia che torna e ritorna e siccome noi facciamo finta di apprendere e poi dimentichiamo per ricordare solo quello che ci fa comodo
* (tincu)
io quella notte ero alzato e la scossa me la sono sentita tutta e non ce lo auguro a nessuno di provare quello che ho provato io neanche ai cani o al mio peggior nemico ho pensato ci siamo è finita e ho abbracciato mia moglie e i miei figli e poi ero quasi stupito di essere vivo forse siamo tutti in paradiso e ancora non lo so e allora siamo scesi giù con la vestaglia e ho detto a casanon ci torniamo per stanotte e abbiamo dormito fuori casa per una settimana e poi neanche c’ero quando c’è stata la seconda scossa allora ho pensato quando sono ritornato e la situazione in paese è diventata normale a quel vescovo che aveva detto che la popolazione si era sentita abbandonata da dio e ho pensato alla fine che quando dev’essere non c’è tempo di pensarci e allora meglio confessarsi ogni tanto così uno si trova un poco preparato.
Agosto 1991
Salvo Basso
Perduti ritrovamenti
“Scrivo queste righe nella sede dell’Associazione Culturale Nadir, con il ventilatore accesissimo , ed una collega che disegna. Nel caldo già luglioso che ci opprime, ripenso all’incontro con i libri ritrovati a Palazzo Modica. Un incontro certo fulminante, di quelli che disordinano una vita . Il tocco di un libro “antico”, di quella carta. L’odore di quella carta. La visione, vista che si sbiadisce nelle cose stesse. L’annuncio di una scoperta. Trovamenti, dunque e ritrovamenti. Fili che muoiono, altri che risuscitano. Lo sforzo: l’individuazione di quel libro, proprio quello, di quell’autore, la ricerca di fogli e foglietti sparsi. La ricomposizione di tessuti cartacei. Costruiti, piramidi di emozioni, rilegate e non. Uno sfarfallio di mani, di pagine che dovevano quadrare, di numerazioni che corrispondono. Di tipi, di caratteri. Il lavoro, il nostro lavoro è stato ed è anche questo. Ma anche, il desiderio di una tregua che non fosse assenza, ma lavoro diverso apparentemente rilassante, a volte affaticante. Lo stopo spontaneo, irrichiesto. Quasi una necessità biologica: un richiamo. La lettura di quelle righe. Di qualche pagina. Di notizie. La cronaca, ex cronaca, la storia che è stata fatta e che non sarà più. Il sospetto è che non sia mai stata. La rincorsa di un fatto, di una cosa, di una possibilità. Il giornale del giorno. Del giorno prima-prima-prima. La finzione: leggere un quotidiano del 1901 come se fosse di ieri o di oggi. L’istante. Il passato, passato. Prossimo, remoto. Il senso, dunque, della storia di quella famiglia. Di quelle letture: di libri intonsi. Il comprato, il non letto. Chissemusperti. L’autore, il titolo, la copertina che non si trova il controllo pagina per pagina. Le righe. I cataloghi. Libri che furono e che sono [...]
Ottobre 1991, n. 17
Salvo Basso
Senza titolo
[...]
“Stavolta, come tutte le altre volte, cerco la svolta buona” “l’idea che voglio dare è proprio quella di una scrittura quasi in diretta, in parziale differita” “Invece continuo. Come se fosse più forte di me. E non lo è. Sono io che sono più forte di...di cosa?” [...]
Esate 1992, nn. 3/4
Salvo Basso
Ammemoria
[Alcuni di questi versi sono poi cobfluiti nella prima raccolta di poesie di Salvo, "Quattru sbrizzi"]
“Ricominciando a scrivere, s’è persino scordato di quel poco che (negli anni scorsi) ha pubblicato. Attacca...: ’Continuo a scrivere su questi foglietti volanti che faticosamente raccolgo, raccolgo poi. Invoco un ardine che non arriverà mai. Perché continuo, bellobello, a pensare che la cornice giusta per tutti questi spargimenti d’inchiostro, sia il libro. Il libro che, ordinando, raccolga. Così lilascio, strappati, scuciti, chissàdove, li lascio, figli fogli e foglietti, prima dell’allacciamento finale che non può non coincidere con il libro. E e e e e che posso pensare di lasciare la casa piena di comunicazioni calligrafie ansie incasciulamenti? No. Bruciare quel che va bruciato, persìpernò – perché come mi diceva un cretino intelligente, uno scrittore non famoso, frustato dal poco lustro che in vita s’è finora visto, diceva che potrebbe succedere un giorno, noi che ne sappiamo, una catastrofe naturale, qualcosa del genere, un cataclisma, qualcosa che porti alla distruzione di tutte le opere letterarie del mondo, i libri voglio dire, tutti i libri del mondo, tranne i tuoi, i tuoi ridicoli e minuscoli libriccini di poesiuole, prosuole, etc...ti rendi conto, la responsabilità che hai? Il ragionamento faceva più di una grinza e m’è sembrato sempre implausibile, però il vecchiaccio ci aveva azzeccato. Sapeva, il mariuolo, come tentare un giovincello alle prime armi, digiuno ed affamato di pubblicazioni, critiche, riconoscimenti. Per questo bisogna bruciare, salvo poi pentirsi. In fondo, forse, andava bene, però con qualche aggiustamento, si poteva ancora rivedere. Mannaggia alla mia frettolosità. Ai miei palpitamenti... E allora non bruciare, asspettare. Non avere in gran cura il proprio nome. Anche se dovessero”. Dio, Diosanto, quanti anni aveva? Quanti anni aveva avuto? La mano in fronte, gli occhi chiusi: Dio, Diosanto, quanti anni aveva? Quanti anni aveva avuto?
* “Apro la finestra: ad entrare è solo un po’ di vento, un raggio di tristezza.
Ricordi quando inseguivamo i maggiolini e giocavamo a rubarci le ciliege?
E’ lontano il Maggio”.
Dio, Diosanto, era il febbraio dell’85, una poesia di Francesca, la collega ubriaca e canticchiante. Scrivi benissimo – le aveva detto. Aveva bevuto anche lui? Quel vinello fattincasa che l’altro collega aveva portato? Ma tu credi nell’amicizia? E nell’amore?...Non gli aveva dato neanche il tempo di rispondere. Mangiò polpettine tristi. Devo andare – aggiunse. E’ stato un piacere, davvero. A presto? - gli chiese. A presto – rispose, sapendo che non l’avrebbe più rivista.
*
Ritrova la lettera, intitolata “LE STESSE COSE”. Doveva spedirla.Ma a chi? “Da un po’ di tempo a questa parte ti ripeto sempre di più le stesse cose. Parlo e straparlo e poi, nel mezzo: forse te l’ho detto...forse... e tu: ah,sì,sì... e cali la testa, sì, ti ricordi...E allora aumenta la voglia di starmene zittomuto. Senza fiato. E’ che non c’è niente di nuovo. E ad esserci, non saprei o non vorrei dirtelo. E le mie cose, le parole, le cose sono ormai, ho quest’impressione, tutte edite, stampate nell’aria, o nelle tue orecchie. Non mi nasce dentro niente di niente. Mi rinascono le vecchie solite cose. Ora che la stagione finisce e dovrei, guardando il cielo, snuvolarmi, e sentirmelo dentro il cozzo crudele delle novità...Ora che...”.
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Ritrova una preghiera. Chi, chi l’aveva scritta? ’Grazie a Dio per il pane che mi dai e grazie anche a nome di quelli che muoiono di fame. Grazie Dio, grazie per la vita, grazie anche a nome di quelli che ’grazie’ non fanno in tempo a dirtelo. Grazie Dio, grazie anche a nome loro. E a nome di tutti quelli, tutti tutti, dico tutti quelli che non ti conoscono fanno finta di non conoscerti, perché anche loro, anche, ti hanno incontrato, e non ti hanno riconosciuto. Nella tua infinita misericordia, amen”.
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“A vita nunné ccosa ppiì mmia” - disse.
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“Picchì iu parru e nuddu mi senta. Mancu iu (ca sta ucca m’abbasta e m’assupecchia)”. - disse.
* Ogni mmumentu ca mi cunceda a ràzzia i Ddiu (ca para Chiddu ca nun ci curpa...)...
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Disse, scrisse, disse: “Io credo che la mia scelta para-dialettale indichi, alla fine, un’anticamera non ben dissimulata di un ’silenziamento’ generale del mio essere. Di una volontà d’arricciamento, di chiusura appunto (più che in me stesso, a me stesso e agli altri). Non m’interessa più essere capito o piacere. Scrivo solo per scrivere, un malpiacere, quando c’è. Un ricozzare sul foglio. Un dialetto al limite intraducibile e comunque da non tradurre, un dialetto poco leggibile. A scoraggiare anche gli eventualmente bendisposti. Una/la ricerca di una maternità linguistica? Non lo so. Non credo. A meno di non soprassedere sulla grammaticalità della ricerca...cosa che, appunto e puntualmente, faccio. Ma, ancora, la ricerca – semmai – di un nulla linguistico, di ciò che non è/non c’è (e non ci sarà mai). Che io solo, insomma, faccio e-sistere (apparire). Non un gioco, anche quando più scopertamente potrebbe essere di gioco). E per ora è – finalmente – tutto”. Ma che cosa aveva voluto dire?
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Agnuniiti. Fatti i latu – cchiù ddà do quadratu – ca è a mità da so area – ma setti ppi ssetti...49.
* Nun cianteressa nentidinenti. Ma cci dici: ascriva avà ascriva ccù mmia ascriva ascrivemu videmu cchi cci nescia videmu si sta riga criscia bbiicci l’acqua (o a birra9 ntò fogghiu...e aspetta cu vena si vvena.
* Ha ffattu na bbella sfurriata d’acqua. Tuttu u paisi acculundatu. I tetti sgucciuliunu. A signurina ccanfacci arreri u vitru mi talìa - stu tempu stu tempu ni fungìa u mussu. Idda astatu na vita vaddannu. Sti quattru sbrizzi ammenzu all’autri.
* Ho nomi strani in testa. Erbagtta, uvaspina. E pensierini sfioriti. E’ l’inverno della fronte.
* I cosi accussì nunni putemu lassari. Npocu ama spustari. Macari sulu – ppappoi - rimittilli com’erunu prima.
* Il tempo passato è sempre il migliore. Perché non lo rivivremo. Non lo passeremo più, almeno quel tempo. N’amu luvatu dincoddu. Cioé: iddu sa llivatu annuatri.
* Disse, scrisse, disse: “Le varianti, le correzioni, le riprese, le cancellature – convinte o a boccastorta - ...mi fanno pensare a quel detto...ci dissa l’acqua a petra, dammi tempu ...dammi tempu...ca ti perciu”.
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Scrisse: “Iu no capisciu cchi cc’è scrittu (mi smurfia, pigghiannu ntè manu u fogliettu ccà poesia scritta a manu, ca cciaiu ddedicatu du secunni fa)...Megghiu – ccià rispunnu”.
* Cchiù bbestia i mia nun c’è nnuddu – dissa u sciccareddu.
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Scrisse: “Sarà anche però – tu non puoi crederci – ma ame pare cosa evidente ed indubitabilissima, ma il foglio è decisivo. La scelta, la misura. Righe, quadretti, bianco a perdere...Io, io se non c’ho il foglio giusto, quasi ispirato, io non ce la faccio a scrivere come vorrei. Quello sul quale sto scrivendo adesso è un foglio con medi quadrettamenti azzurri. Grate di una prigione. E’ chiaro. E io, io faccio il secondino, il carceriere, il condannato a vita, io, su questa sedia elettrica”. Questo foglio, forse, lo sta ancora cercando.
* E sotto, aveva aggiunto: “Si, poeta del cavolo. Devo andare a prendere i surgelati, ed il prosciutto ed il salame, e la fontina e il gorgonzola e c’è sempre una fila, per pagare: ma le regalano le cose? Si, poeta del cavolo, mentre aspetto il mio turno, sbuffante, il carrello beninvista, attento a che non mi freghino il posto, no signora, la fila è in verticale, non in diagonale, per favore vada indietro, no, lei ha poche cose, ma ne ho già fatti passare tre con la scusa delle poche cose, e poi alla cassiera manca il resto e si perde ancora più tempo, si, poeta del cavolo, mannaggia la frutta, dimenticavo la frutta, ritornare indietro, perdere il posto, proprio adesso che è quasi il mio turno, uno solo, veloce, prima di me, lascio il carrello, faccio una corsa, poeta del cavol, andiamo a prendere la frutta, le mele o le pere?”.
*
E sotto ( o sopra?) aveva aggiunto: “quanto ci vuole di questo passo, che ore sono? Ma non può essere, un’ora che giro qua dentro? E ancora ...e ancora....cu sapi quannu ma spicciu...almeno mi venisse in mente qualcosa, qualche bel verso...ma su cosa, sui carrelli?...non mi faccio ridere...forza, forza, che stiamo quasi arrivando e, con la grazia di Dio, che quella ci vuole sempre, uscirò da questo posto, uffa, ed uscito, uffa, la fila delle macchine per arrivare a casa, a quest’ora poi, preciso, proprio l’ora ingorgosa, non c’è male, di questo passo, di questo lento passo, di questi passatempi, davvero posso fare il poeta sì, il poeta del cavolo...”
*
Ora è tutto cambiato, anche quel poco di niente che sembrava non dovesse mai cambiare (o fare finta, almeno, di cambiare). Ora riprova. Spazzola il cielo, apre la finestra, ed è un novembre che più marzo non si può. Confezionava poesie, a quei tempi, e si credeva spertu o spieeeeeeeeeeeeertu, come dicono da quelle parti. Aveva smesso. Gli mancava (pensava) la qualità della trasparente sincerità. Ma se gli mancava era solo per proteggersi. Né musica né altro. Solo pensieri e cuoricino, in sottosoprafondo. Poi imbustava tutto, e se lo portava dietro. Così faranno i versi poeti – pensava. E pensava male. Malissimo. Poi smise di pensarsi un artista con la a ...Era solo stupidissima dance- Buona per far finta di muoversi. Decise d’intitolarsi la vita, più che quel romanzetto giovanile nel cassetto. Ritornò all’infanzia, rimando. Pascoli lo aveva studiato alle elementari – pessima abitudine.
*
(Proposte peri il titolo; egr.sig.tip. Scelga lei, mi fido, grazie, anticipatamente...io avevo pensato cose di questo tipo: - SI PREGA D’ADDUMARI IL VENTILATORE; oppure: INDIPENDENTEMENTE DALLA CORREZIONE AUTOMATICA; o : ERA PROPRIO UNA PUBBLICITA’ SCHIFOSA; o, ancora: SE ASPETTI UN PO’ TI TROVO IL TITOLO; o: STAVAMO TUTTI ASPETTANDO L’ACQUA MINERALE; o: AMMEMORIA...Faccia lei, ok? Mi fido di lei come neanche di me stesso potrei fidarmi...A volte penso che il vero scrittore sia lei, ed io? Un prestanome, un fantasma, forse...).
Inverno 1992, 5/6
Salvo Basso
Riperdimenti
[ultimo numero, in cui si annuncia la chiusura del giornale. La citazione iniziale è tratta da Dmitrij Ivanovic Pisarev (1840-1868) critico russo, prestigioso esponente dell’intellighenzia radicale e nichilista. Contro "l’arte per l’arte" chiamava a un ideale di arte utile e soprattutto a una più ampia diffusione di una cultura su basi scientifiche, l’unica in grado di eliminare i dislivelli sociali]
"Il vero poeta, il poeta utile, deve conoscere e comprendere tutto ciò che, in un dato momento, interessa i rappresentanti migliori, i più intelligenti e i più istruiti del suo secolo e del suo popolo." "…essere poeta senza essere nello stesso tempo un realista profondo e cosciente, è assolutamente impossibile. Chi non è realista, non è poeta, ma semplicemente uno sprovveduto o un abile ciarlatano o ancora un minuto moscerino intriso di amor proprio."
(ultima letteruccia)
Frolovo, 1974. Si dice: patti chiari ed amicizia lunghissima. Ma tu non ci sei stato ai patti e quindi dovrei abbreviare la nostra amicizia. E’ che amo discutere in privato delle nostre cose. Gli altri non devono, non possono sapere. Riguardo poi l’infondatezza totale di quella cosa che ha sparato (nessun testimone oculare, manca la prova, ed anche se c’era il testimone…beh, vagli a credere - come disse quel tizio che voleva dire: vai a credergli; e si confuse e mandò un vaglia postale, mi pare, per abbonarsi a quella rivista di fede "Credere", che non stampavano più da chissà quanti anni…), taccio, signorilmente. Mi accuserai della mia solita sconclusionatezza, occhei. Io perdo il filo, ma tu hai perso il senso della misura. Mi hanno proposto di candidarmi a sindaco. Ho sorriso, ma tu cosa ne pensi? (dico: in generale…). In mente non mi sviene più niente. Mi occucco e spero in un sogno d’oro. Il resto - come ha scritto qualcuno più a corto d’idee di me - è storia. Come dire: spiccioli, caramelline, francobollucci. Ma naturalmente lui voleva dire tutta un’altra cosa…
(segno dei tempi)
Mi sono occupato, per ragioni passional-lavorative, di riviste e giornali italiani della prima metà del ’900. Il pezzo che sto per trascrivere l’ho trovato in un ritaglietto di non so quale giornale di non so quale anno (ma, suppongo, i primi 20 anni del XX secolo). Il fatto ed il commento sono strettamente uniti, e si prestano a moltissime considerazioni. La più importante delle quali mi sembra comunque essere quella relativa all’ironia che deve necessariamente ricoprire i (nostri) discorsi nei quali - spesso - si fanno (mal) osservazioni del tipo: "che tempi (stiamo attraversando)", etc…etc…In realtà nessun tempo - è evidente - ha alcun segno preciso. I segni, tutti imprecisissimi, sono gli stessi, per tutti i tempi - e lo saranno, per sempre (dico per l’eternità - se l’espressione ha un senso per qualcuno dei miei lettori). e i segni (tutti i segni, ugualissimi, di tutti i tempi) non hanno bisogno, pur essendo ontologicamente imprecisi, di nessuna chiave ermeneutica speciale, che non sia il loro stesso manifestarsi. Non sono - è evidente - per un rifiuto del tempo, semmai per una glorificazione (non adorante, semmai fatalisticamente e scetticheggiantemente rassegnata) di esso. La trasformazione delle forme delle manifestazioni non ne altera la più intima essenza (l’essere loro stessi, e non altro). Per capirlo meglio, o per cominciare a capirlo, questa notizia che non è una semplice notizia, un fatterello che non è un semplice fatterello. dedicato naturalmente e idealmente da me a Jean Granelet, vittima sì della stupidità di tutti i tempi, la [sic!] non solo, com’è naturale, di chi materialmente l’ha ucciso, ma anche di chi, scrivendo questo ’pezzaccio’ lo ha ri-ucciso, e di chi, ancora lo ri-uccide (davvero un quasi eterno e infernale castigo divino), ogni volta che dice l’immonda ed impronunciabile espressione "segno dei tempi". Amen.
*** "Un delitto selvaggio e atroce registra la cronaca parigina. Un giovane operaio tipografo che a tempo perso faceva anche l’aviatore è stato assassinato da una banda di ragazzacci sfaccendati, l’altra notte, così, per burla! Per burla! sembra una fantasia macabra e sinistra ed è invece la tragica realtà. Il giovane, tale Jean Granelet, ritornava a casa poco dopo la mezzanotte quando ebbe la sventura di imbattersi in una comitiva di giovinastri - il maggiore di essi conta appena 17 anni! - che si divertivano a lanciare proiettili di ogni sorta contro le insegne dei negozi, contro i cani randagi, contro i fanali del gas, contro le persiane chiuse delle finestre. I più piccoli lanciavano sassi: i grandi - quattordici, sedici, diciassette anni! - anche qualche colpo autentico di rivoltella. Perché erano armati di rivoltella, costoro, sicuro! A un tratto, il Granelet venne a passare e qualcuno cominciò a dire per burla: Che bel bersaglio, guarda! Si rise, intorno, ma qualcuno prese la cosa sul serio e un colpo partì colpendo in pieno petto il povero giovane che cadeva a terra morto! Una vita umana, una bella e buona e forte giovinezza umana era stata spenta così…per sparare un colpo in un bersaglio!… Ma che atroce segno dei tempi!"
(tappetini)
Si siede, accende la per scrivere, riflette, sorseggia l’amaretto quasi ghiacciato. L’estate è alle spalle, ma porta ancora la camicia dalle maniche corte. Giocano a tennis, sulla sua pancia, sulle braccia, la palla pingponcheggia. Il futuro è prontissimo. A portata di secondi. sperimenterà una nuova dieta. Lei arriva, lo interrompe dopo qualche riguccia. Non è l’inizio del nuovo romanzo. Non è un racconto. Lei arriva, suona, sale le scale. Ecco, ricomincerà proprio da qui. Da quello che le dirà, fra qualche secondo, fra qualche secondo. ricomincia a scrivere, dopo qualche ora, hanno parlato, hanno mangiato, pollo e pesce. Lui ha sognato ancora una volta la pubblicazione del suo primo libro. lei gli ha detto che prima o poi succederà. Lui vorrebbe avere una qualche sclusiva letteraria, ma in testa e nel cuore non c’è posto per le novità. Continua a scrivere, si ferma. La nerissima forza delle parole, amen. così scrive, così prega. Vive. Non si parla altro che di tangenti. Ancora l’ossessione matematica, il giochetto verboso. C’è ancora un problema da risolvere, prima di partire, un altro, o sempre quello. Lo stesso, identicissimo. C’era una circonferenza, di centro 0, la corda AB era il lato del quadrato iscritto; si conduceva da B la semiretta, tangente alla circonferenza, che giaceva rispetto alla retta AB nel semipiano che…Non imposta il problema, ha la mente comatosa. Guarda il foglio, riguarda. tutto è pronto, ancora, per continuare così, senza fare niente. Ewiwa. Pensa di rintanarsi qualche giorno in campagna, a contatto con quella che dovrebbe essere ancora la natura, che lui volutamente non ama né rispetta. Gli secca tutto ciò che è esterno a sé stesso. Chiude gli occhi. Così, forse, va meglio. Ma per quanto, ancora? Per quanto continuare, scontinuare così, senza idee né ragioni? E’ stufo di questa nerezza. Guarda il foglio, la finestra, il foglio. E’ settembre, ancora. L’indomani, domenica, ritorna a scrivere, lascia aperta la porta, alza la persiana. Non è più solo, forse. C’è l’aria. Pensa al suo amico che scrive da dio. C’è il sole. La festa è completa, manca l’invitato. Si potrebbe fare ancora un po’ di mare, invece…Lo prende, riprende il desiderio bruciante di scrivere, per difendersi da questa luce fuori stagione. E ha paura. Il dramma, come sempre, scherza, è nell’inchiostro. Non sa più cosa scrivere, la somma di tutti i suoi sbagli, dalla nascita, primo involontarissimo errore, in poi. Ma, qui, non ci sono somme matematiche, addendazioni…Forse solo un continuo sottrarsi. Un mancamento che, dice qualcuno, è già vincita, già dono. Buono per tenere e commosse preghierine notturne e mattutine di ringraziamento. E poi? La conquista dell’eternità, come un titolo d’un film già visto e, ancora, ancora, da rivedere. Cosa devo fare? Basta la preghiera? La parola? O non perdere tutte le elemosinanti occasioni per un’azione che sia finalmente buona? Io se vedo una zingara mi ci fermo a parlare ma lei non mi capisce e allora io lascio perdere, appunto. oppure…mi faccio e rifaccio lavare il vetro anche quattro volte di seguito e pago e dico grazie, lo dicono anche loro, nessuno dice prego, è già rosso, via, via, non senti che suonano, dietro? non senti la fretta? gli acceleratori? le sigarette? i sorpassi? subito, subito, me ne vado, avrei dovuto andarmene, da tempo, invece… Ma a casa si sente forte, se non ci sono terremoti. Ma, a volte, terremotini sono il citofono, il telefono. Squilli, intermittenze, turbamenti del silenzio delle pareti, o di questo ticchettio, che è tic, appunto, e solo e semplicemente e principalmente questo. Poi, come scrisse una volta, tic sposa tac, ed è il figlio perfettissimo del tempo, che non ne sbaglia una, che cresce, alto, bello, nero, luminoso, praticamente inimitabile. Ecco: l’unico vero stile è quello, freddo, caldo, del tempo. Gli scrittori, in fondo, ci provano, qualcuno ci riesce, s’accoppia, penetra, ma, ma, il tempo è mantidoso. Qui, nella casa, forte, forte lui, forte la casa, forse antisismica, pieno di graffi, di sangue, sogna il capolavoro, ci tenta, si alza, cammina per la stanza, sereno di non concludere nulla, di non finire. Cammina, tocca le pareti, guarda i quadri, cammina, pensa, torna indietro. la per scrivere accesa. Così passa e spassa il tempo, nella domenica che s’inscurisce, con i sacri progetti di una volta definitivamente incasciulati. Riscrivere ancora ciò che ha scritto e riscritto, potrebbe essere un’ideuzza, buona per una domenica, per un fare niente che è sempre meno dolce, anzi aspramente amarognolo. Ha fame, si massaggia la pancia, pensa a qualcosa di particolarmente disgustoso. vecchio trucchetto per ricominciare a dimagrire. La sua mente, la sua bocca, affondano in uno schifo melmoso, ma si sente più leggero, già qualche grammino in meno. Va a letto, dovrebbe fare un po’ di ginnastica. Finge, si dice che gli manca il tempo, o veramente confonde il tempo con la volontà. Si alza, improvvisa un passo di danza, non ricorda il titolo del motivo che gli è venuto in mente. Si versa del profumo, sui polsi, sulla faccia. respira profondissimamente. Chiude gli occhi. Si immagina bello. Apre gli occhi, va allo specchio. Pensa che è là, qui, la verissima verità. E’ qui che l’apparenza della verità diventa esattissima e sostanziale. Lo specchio dovrebbe essere lo strumento di ogni vero filosofo, non il pensiero. Il filosofo dovrebbe dire all’allievo: guardati. E questo dovrebbe, potrebbe essere tutto. Lo specchio per il filosofo dovrebbe essere un poco come il bisturi per il chirurgo. E con lo specchio, analizzare, sezionare, operare, forse salvare impossibilmente qualche vituzza umana. Allo specchio misurare i propri confini, le proprie impossibilità. Diffondere, raddoppiare la propria immagine per negarla. Guardarsi per dimenticarsi. Chiudere gli occhi, riaprirli e pensare che non c’è nessunissima differenza. E’ solo questione di attimi. Specchio e pazienza, strumenti e virù dei forti, dei filosofi seri. Si, l’aspetto è tutto, come l’aspettare. E’ nello specchio che lo spazio diventa tempo e il tempo, per una volta identico a sé, si prende una frettolosissima vacanza. Poi dimagrire, scarnificarsi, avvicinarsi alla terra. Curare il proprio corpo, e dunque la propria anima, che se c’è in esso si trova e non altrove, è deperirlo. Pazientemente, accuratamente. Avvicinarsi alla propria mancanza di corporeità, pensare che gli accessori siano solo accessori. Come, chessò, il cambio automatico, un telefonino, un accendino.
(nella città)
In occasione della chiusura di questo giornale mi è stato amichevolmente, ancora una volta, chiesto, di scrivere qualcosa…Ed ho accettato, per l’ultima volta…Avevo intenzione, ma poi m’è venuta meno la volontà, di tentare di fare una sorta di minicronistoria delle attività ’giornalistiche’ negli ultimi 10 anni a Scordia; ma ritrovare, nel disordine del mio archivietto, le collezioni scollezionate…sarebbe stata un’impresa… Ho desistito…Avevo poi cominciato a fare una specie di "Spoon River" di Scordia, con tanto di lapidi, nomi e cognomi. Ho desistito…Avevo poi tentato una cosa alla Michele serra (vedi "44 Falsi", Feltrinelli), con un falso Gambera, un falso Avveduto, un falso Amore, un falso Agnello…Ma ho desistito… In realtà non ho niente di nuovo o di particolare da dire in merito alla questione-giornale, e andrò, forse ripetitivamente, a braccio (o a gamba, o a collo). Questo giornale - storia, contenuti, obiettivi, etc…- è stato e continua ad essere, pur, qui, in fin di vita, esattamente quello che è stato ed è. Nel sogno di qualche animuccia bella e pia il prodotto di una società, cioè un suo specchio, per dire, può essere notevolmente diverso (cioè migliore) della stessa società che lo produce. Questo giornale invece ha rappresentato giustamente ed esattamente lo stato delle cose di questo paeser, per qualche anno. Lo ha fatto con deficiente fedeltà. Paradossalmente le accuse di tutti i suoi critici erano i migliori complimenti possibili, perché erano vere, ma dovevano essere interpretate al contrario. Schopenhauer diceva della filosofia di hegel che "il suo contenuto" si riduceva "alla chiacchera più vuota e più priva di senso di cui mai si siano pasciuti gli imbecilkli" e che la sua filosofia era "il più disgustoso e più assurdo dei guazzabugli, tale da ricordare anzi il delirio dei pazzi". Cose, pressappoco, anche meno affettuosamente sentite a proposito di "Nella Città" ( e di altri giornali editi a Scordia negli anni scorsi). E cose, si badi bene, verissime, più vere del fatto che questo è vivaddìo l’ultimo numero del giornale (di questa gloriosa esperienza giornalistico-intellettuale-socio-economico-politico-storica, direbbe, biscardianamente, qualcuno…). Il problema è quello dello specchio: non ci piaciamo, sappiamo di non piacerci, ma guai se qualcuno ce lo ricorda, guai se qualcuno, con aria innocente, o con la sensazione (falsa) di farci un favore, ci porge uno specchio: "taliati"…Ecco…"Nella Città" è stato questo specchio.
(il nuovo sindaco)
Il nuovo sindaco, accettando l’incarico, ringraziò i consiglieri che lo avevano votato e quelli che non lo avevano votato, dicendo a quest’ultimi che avrebbe dimostrato loro con i fatti che avevano sbagliato non votandolo; ringraziò i due cittadini presenti nella sala consiliare e cominciò il discorso vero e proprio: Scordia è un paese dalle grandi potenzialità. La mia amministrazione vorrà caratterizzarsi per il ribaltamento di quelle pratiche che illogicamente hanno bloccato il progresso del nostro paese. Bisogna innanzitutto agire nell’interesse primario, secondario, terziario, quartiario della popolazione, facendo in modo che, nel più breve tempo possibile ed impossibile, ci sia la più assoluta trasparenzialità di ogni atto politico-amministrativo. Basta con le vecchie logiche illogiche! Bisogna privilegiare i bisogni emergenti e anche quelli immergenti della cittadinanza; superare gli ostacoli, le resistenze attive e passive che incontreremo, se sono certo, ed è giusto e naturale che sia così, nel nostro lavoro. bisogna migliorare l’attuale livello delle prestazioni burocratiche, evitar code e favoreggiamenti cangureschi. Il quadro nel quale ci muoveremo prevede un collegamento organico interassessoriale ed una prassi lavorativa d’equipe, al di sopra, ripeto, al di sopra degli interessi e delle pressioni di parte. L’ipotesi, l’idea, la voglia che ci muove e muoverà ancora di più in futuro è quella di far fare a Scordia, al suo territorio, ai suoi abitanti, un salto di qualità che oggi più che mai appare improcrastinabile. Il valore del nostro lavoro che sarà essenzialmente socio-politico verrà certo misurato in base alla puntuale o ritardataria corrispondenza tra i nostri obiettivi e le risorse di cui oggettivamente disponiamo, secondo moduli interpretativi ci auguriamo non pregiudiziali, mai cioè assumendo posizione implicite e aprioristiche senza rispetto delle situazioni contingenti e senza, soprattutto, una giusta flessibilità strutturale-mentale. Il paese è ormai maturo, è pieno di soggetti sociali nuovi che vogliono una politica nuova, soggetti che vogliono a ragione, una maggiore e più continua verifica critica degli obiettivi istituzionali, soggetti che vogliono una chiara individuazione dei fini qualificanti la vita, soggetti che vogliono una visione unitario-organica delle cose e, infine, una concretizzazione fattualizzata delle esigenze, nell’utopia realizzabile di un sistema ben integrato nelle sue varie e necessarie componenti, nel totale annullamento cioè di qualsiazi tentativo di neoghettizzazione. Non nasciamo dal nulla e quindi il nostro approccio programmatico ai problemi del paese terrà conto delle positive linee di tendenza in atto; tenteremo anche di riorientare le linee negative con criteri solari, puntualizzando e stimolando di volta in volta l’indispensabile e, per noi, condizionante coinvolgimento partecipativo dei cittadini. L’assetto politico-istituzionale che speriamo di dare a Scordia, pur consci delle molte difficoltà iniziali e magari tra qualche contraddizione, significherà soprattutto: a)potenziamento, potenziamento, potenziamento a tutti i costi delle strutture produttive; b) incremento lavorativo, sociale, culturale, turistico. Naturalmente questo è il nostro augurio, il nostro impegno nella misura in cui lo sperato è fattibile. Cercheremo, inguaribili sognatori del moderno e dell’antico nell’epoca del cosiddetto post-moderno, di appianare le discrepanze e le discrasie esistenti. Concludendo, una parola riassuntiva sui nostri criteri metodologici. Punto primo: ricognizione censitoria dei bisogni reali e delle domande finora insoddisfatte, ricognizione che va fatta in maniera articolata e totalizzante, senza dar nulla per scontato, e con le dovute e imprenscindibili sottolineature dei bisogni più scottanti. Il modello di sviluppo che abbiamo in mente prevede una riarticolazione periferica dei servizi pubblici, per aumentare il tasso di partecipazione politico-sociale dei cittadini, e adottando delle linee comportamentali che tengano conto delle differenziazioni zonali, là dove esse esistono. Auspico, e finisco e ringrazio della cortese calorosa attenta attenzione, un più corretto e sincero, leale rapporto tra uomini politici, io in prima persona, e cittadini; un rapporto più significativo tra strutture e sovrastrutture senza dare la preferenza all’une o all’altre. Auspico ancora una più equa ripartizione son solo dei benefici, ma anche dei sacrifici che dovremo tutti quanti affrontare, se vogliamo veramente fare di Scordia una cittadina ridente e fiorita, una capitale del Sud. Grazie, grazie.
(N.B. Ho scritto questo pezzo non meno di 8 anni fa, senza pensare a nessuno in particolare. Che io ricordi, è rimasto finora ineditissimo… Questa, suppongo, era davvero l’ultima occasione per pubblicarlo…)
Salvo Basso
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