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69° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: Izmena

Regia di Kirill Serebrennikov (Russia, 2012, drammatico, 115 min.) Con Franziska Petri, Dejan Lilic, Albina Dzhanabaheva, Andrei Shchetinin. (dal nostro inviato Orazio Leotta)

di Orazio Leotta - venerdì 31 agosto 2012 - 4634 letture

Una dottoressa confida a un suo paziente che il marito la tradisce con la moglie di lui. Lo sbandamento iniziale lascia gradatamente il posto in parte alla vendetta, in parte al reciproco sentimento che si instaura tra i due “traditi” che, a loro volta, iniziano una relazione affettiva. Il caso, poi, pone l’uomo nella condizione di vendicarsi e di provocare con uno stratagemma la morte dei due amanti. Dzhanabaeva

Entrambi, da questo momento in poi, prenderà strade diverse, si faranno una nuova vita e una nuova famiglia ma un casuale incontro a una pompa di benzina riaccenderà la scintilla mai sopita tra i due; con un finale poi, che ci riconduce alla “nemesi” di ellenica memoria.

Serebrennikov ama indagare il profondo dei suoi protagonisti: la dottoressa è sterile e per questo viene rappresentata nell’atto di portarsi la terra - che ella stessa coltiva - alla bocca, come a voler divenire parte di essa, capace di dare frutti. E’ insoddisfatta: si eccita nel guardare il marito sotto la doccia, ma, trascurata, è costretta poi ad “autogestirsi”…Ha fascino però, tanto da supplire con esso all’inverosimiglianza di ciò che spesso dice ma che puntualmente poi incredibilmente si verifica. Franziska Petri.jpg

Il film è incentrato sui pensieri nascosti e su tutte le cose che nel linguaggio umano non hanno un nome. E’ un disaster movie, il cui elemento trainante è la relazione uomo-donna; in particolare ne viene analizzato il tradimento. Kirill, al solito, molto attento alla cromatismo, ripiega spesso al colore rosso tendente all’arancio (la bibita, i capelli, il cappotto, la scopa elettrica etc…) già utilizzato in “Yuri’s Dev”, colore che poi si trasformerà in rosso vivo quando la donna cambierà vita; che nel finale a sorpresa, sarà cambiata una seconda volta….

Girato magistralmente, il regista dimostra di avere attinto a piene mani in parte da Ingmar Bergman (Fanny e Alexander), in parte da Lynch ma soprattutto da Hitchcok. Il film, tuttavia, sia pur stilisticamente ineccepibile sembra tuttavia più un auto-compiacimento del regista, uno sfoggio di bravura, che però manca di struttura portante. Molti gli interrogativi che rimangono irrisolti, alcuni voluti, come il dubbio che permane nello spettatore sul nome dell’assassino finale, altri sono ignorati nella sceneggiatura, facendo muovere la storia su un piano poco realistico e esageratamente introspettivo (che lavoro fa il protagonista? Che fine fa il figlio maggiore dopo la morte della madre? E tanto altro ancora…). Kirill Serebrennikov.jpg

Il regista ha preferito analizzare l’aspetto delle sensazioni dell’essere umano; cosa accade nell’uomo mentre il tempo passa e sta metabolizzando un dolore (quello causato dal tradimento o dalle gelosie, dall’inganno, dall’adulterio). La donna, in conclusione, è quella che esce vincitrice dal confronto: vero è che sia capace di gesti estremi quando è sopraffatta dal dolore (la Petri, in una sequenza si aggrappa a tutti gli oggetti che furono del marito e poi anche si rade, come per sentire profondamente proprio un uomo che non le sta più accanto), ma è anche vero che può trasformarsi, come fa il serpente, e cambiare pelle per continuare a sopravvivere.


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