Mostra Alfred Hitchcock a Pisa
Al Museo della Grafica, un percorso cronologico sulle opere del maestro britannico
Qualcuno, sicuramente, avrà sognato per anni, da quel 1960 anno di uscita del film, di ritrovarsi come protagonista all’interno di quella doccia, dietro una tenda di plastica, in attesa che Norman la spalanchi e compì il suo gesto assassino. Qualcun altro, ne siamo sicuri, ha immaginato negli anni di essere al di là della tenda.
Alfred Hitchcock è stato da sempre il regista che ha risvegliato i nostri più reconditi istinti selvaggi. La mente che ruota intorno ad un vortice, in cerca di risposte alla propria insicurezza, restii a trasmetterla agli altri, quasi a doversi denudare di una falsa arroganza e pienezza di sé. Il corpo che agisce sotto l’influsso incontrollato del subconscio, quando una parte della propria vita, quella del passato che ci illudiamo ritorni, come se dovessimo convincerci che se ne sia andato per sempre. E poi, l’intangibile, la parte nascosta del nostro bipolarismo, tra il raziocinio e la voglia di dare libero sfogo alla parte oscura dell’essere umano.
La letteratura della fantasia, quella che ha dato vita all’infinita catena di produzioni a fumetti negli anni ’60 e ’70, ha preso spunto da questa "fedele" compagna che accompagna la vita degli esseri umani anche in età avanzata. E’ la paura. Quella con la quale Hitchcock ha giocato senza ritegno, fino a ridicolizzarla, inventandosi le storie più bizzarre o ispirandosi agli scrittori del suo tempo. Talvolta, anche piccoli ritagli di giornale, contenenti episodi di cronaca nera, hanno conquistato la fantasia del regista per scrivere una buona sceneggiatura.
All’interno delle sale del Museo della Grafica, già meritevole da sé di essere visitato, si può ricostruire questa "perversa" fantasia di uno dei più grandi interpreti del genere, dalla cui maestria, tantissimi registi hanno attinto le basilari tecniche di ripresa che creano la giusta sequenza di immagini, tra il detto e il non detto, le rivelazioni anticipate che intrigano lo spettatore durante un’intrecciata trama che porta ad una logica esplicativa della natura maligna del personaggio scelto per impersonare le divagazioni incontrollabili dell’appartenere all’umanità, contraddittoria e fuori da ogni qualsiasi plausibile logica o congettura.
Con una guida cinematografica che meglio non poteva essere scelta dagli organizzatori della mostra, come lo è stesso Gianni Canova, curatore appassionato della mostra, che ci conduce dentro i segreti della realizzazione capziosa e al limite della maniacalità che il regista britannico ha esternato nei suoi film, in tempi in cui anche il più suggestivo dei trucchi o degli effetti speciali, era pura invenzione.
Un mago della ripresa, una tecnica sopraffina della narrazione. Il giusto costruire dell’attesa e della tensione, centellinate come un premio visivo da conquistarsi fotogramma dopo fotogramma. Una sensazione di precario equilibrio tra l’immaginario dello spettatore, in quegli anni portato all’estremo della mancanza di controllo da far fuggire dalle sale i più suscettibili, e il piacere dello stesso artista di non trasmettere mai un banale scontato di cause ed effetto, sorprendendo spesso e annichilendo le aspettative, troppo affrettate, di chi è riuscito a rimanere seduto fino ai titoli di coda.
Psyco, il capolavoro del 1960, accennato all’inizio, la fa da padrone all’interno delle variegate e impreziosite ricostruzioni sceniche nelle singole sale. Fotografie tratte dal film, momenti di falso rilassamento tra i vari componenti del cast, tra una scena e l’altra. E poi, quelle musiche sottofondo che, come in altre opere omnia di altri interpreti della cinematografia mondiale, sono la spina dorsale che trascina le immagini da quella luce bluettata dello schermo fino allo sguardo sbarrato dello spettatore, che ambisce ad una fine.
Si possono ammirare e apprezzare i retroscena di molti altri capolavori del maestro, durante la sua lunga collaborazione con la Universal. La finestra sul cortile (1954), che ci ha fatto diventare tutti fotografi. Gli Uccelli del 1963, che ha creato una sorta di ornitofobia dalla quale non tutti sono riusciti a guarire dopo altre cinquanta anni.
C’è tutto quanto fa parte del mondo hitchcockiano. Le muse interpreti, rigidamente bionde delle quali, forse, il regista fu di tutte innamorato artisticamente. Le musiche, già accennate, con il suo più significativo collaboratore che fu Bernard Herrmann. Non possono mancare le descrizioni dei cammei che il regista si concesse sin dall’inizio della carriera, ricercate e attese dai suoi fedelissimi spettatori, in una sorta di gara a chi riuscisse ad individuarlo per primo.
Alfred Hitchcock è stato il nostro lato oscuro della luna. Quello che avremmo preferito non fosse mai stato rivelato del tutto. Come uno scrigno segreto che, inconsapevolmente, ognuno si porta con sé sin dalla nascita. Custodito con una smisurata gelosia, quasi a difesa di un angolo di libertà da non condividere con nessuno. Quella particolare libertà che, lo stesso regista, ha sostenuto attraverso le emozioni trasmesse dei suoi sogni filmati, lasciandoci l’illusione di poter ritrovare noi stessi ed una realtà meno inquietante, una volta usciti dalla sala.
La mostra, inaugurata il 7 aprile scorso, sarà visitabile fino al prossimo 1° settembre. Una raccomandazione per i nostri lettori. In una delle sale, una brevissima sequenza in bianco e nero da uno schermo appeso ad una parete, ci mostra il volto di Norman, alias Anthony Perkins, durante la scena finale di Psyco. La grande maestria del regista ci obbliga a fissarlo negli occhi, come lui stesso fa nei nostri confronti. Non aspettate che vi parli, anche se ogni secondo che incrocerete il suo sguardo, avrete la sensazione che lo possa fare da un momento all’altro. Dopo essersi fermati ad incrociare quegli occhi magnetici, lasciate la sala che ospita il breve filmato e, soprattutto, non andate a cercare vostra madre nelle altre sale, seduta ad aspettarvi su una sedia a dondolo...
Foto by Piero Buscemi (c) 2019
- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -