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Morte di un commesso viaggiatore. Un classico di Arthur Miller

È in scena in questi giorni a Catania, fino all’1 Aprile, una delle pietre miliari del teatro contemporaneo, “Morte di un commesso viaggiatore”, capolavoro di Arthur Miller...

di Liliana Rosano - martedì 3 aprile 2007 - 5596 letture

È in scena in questi giorni a Catania, fino all’1 Aprile, una delle pietre miliari del teatro contemporaneo, “Morte di un commesso viaggiatore”, capolavoro di Arthur Miller, scritto nel 1949, che affronta i temi più cari al drammaturgo e a una certa parte dell’intellighenzia americana: i conflitti familiari, la responsabilità etica individuale e la critica ad un sistema economico e sociale spietato ed individualista. In questa edizione, diretta da Marco Sciaccaluga, Eros Pagni presta il volto al protagonista Willy Loman, il tipico "self-made man" americano che, nonostante i numerosi fallimenti personali e familiari, ha cercato di inculcare nei figli le sue idee positive sul sogno americano.

Al suo fianco, la moglie Linda, interpretata da Orietta Notari, cerca con difficoltà di tenere unita la famiglia, che sta per disgregarsi e superare le quotidiane difficoltà di bilancio, che s’inaspriscono quando Willy viene licenziato. Strutturato in modo molto libero, l’impressione è quella di una narrazione continua, con audaci flashback, schematizzazioni dei luoghi e dei tempi che si moltiplicano sul palcoscenico, e improvvise incursioni nell’onirico, Morte di un commesso viaggiatore è un testo che conserva ancora oggi tutta l’attualità del suo discorso di fondo, mettendo in scena il crollo di un mondo costruito sull’illusione o sul primato dell’apparenza rispetto alla sostanza, sull’infelicità come maledizione.

Non potendo prescindere dalla necessità di mettere al centro l’interpretazione dell’attore protagonista, il talento attoriale di Eros Pagni, costruisce un personaggio dalle tonalità grigie, dall’autenticità trasognata, che si muove in uno spazio tragico, e mai patetico, anche quando l’azione precipita verso un tragico ed inesorabile finale, che lascia al pubblico il sapore amaro dell’angoscia di vivere.


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