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Modernità e Olocausto: l’attualità del pensiero di Zygmunt Bauman

Oggi sappiamo di vivere in un tipo di società che rese possibile l’Olocausto e che non conteneva alcun elemento in grado di impedire il suo verificarsi (Z. Bauman, Modernità e Olocausto, 1989).

di Massimo Stefano Russo Silvia Zambrini - sabato 29 gennaio 2022 - 4425 letture

L’Olocausto che diventa Shoah marca identità e differenze sostanziali nel pianificare e programmare la violenza rivolta a sopprimere e annientare un’intera e specifica comunità.

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Zygmunt Bauman

Il sociologo polacco Zygmunt Bauman sottolinea la non unicità dell’Olocausto quale evento che avrebbe riguardato unicamente gli ebrei, in quel contesto, in quel periodo... quindi irripetibile. L’olocausto non è stato una parentesi della modernità, ne è stato il prodotto secondo ciò che, attraverso l’efficienza della tecnica e della burocrazia, rappresenta un’altra faccia del progresso. La modernità ha scatenato l’antisemitismo attraverso il rifiuto di un inevitabile livellamento delle differenze preesistenti in una società che tendeva a uniformarsi a livello giuridico, culturale, dove la partecipazione di sempre più ebrei alla vita comune offuscava gradualmente i naturali confini del ghetto. Proprio la minaccia di una non più evidente riconoscibilità degli ebrei fu una delle cause scatenanti dell’antisemitismo moderno. (Questo aspetto ricorda per certi versi l’ostilità iniziale verso i cittadini albanesi approdati in Puglia a fine anni ’80: fisicamente e nei modi di fare erano come noi, parlavano già l’italiano o lo imparavano velocemente, rendendo tutto più “difficile” per chi sentiva minacciata la propria incolumità).

Nel nascere ebrei e nel diventare cristiani molti sono gli stereotipi e pregiudizi che ritroviamo storicamente, che ci mettono di fronte alle contraddizioni della natura umana. L’azione umana attraverso l’uso della violenza genera disagio e reazioni diverse da parte di chi è testimone diretto. Si tende a difendere soprattutto coloro nei quali ci si riconosce per un fatto di appartenenza identitaria. Il coinvolgimento passa attraverso il più o meno riconoscimento dell’altro.

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Binario 21. Memoriale della Shoah di Milano

Il genocidio ha potuto realizzarsi attraverso le stesse componenti di efficienza burocratica e tecnica tipiche della modernità: nel genocidio moderno, sbarazzarsi dell’avversario non è di per sé uno scopo ma il mezzo per raggiungere una società perfetta, come quella di un vivaio progettato ad hoc per cui si è reso necessario l’uso dei diserbanti chimici per eliminare infestanti e parassiti. Bauman utilizza spesso questa metafora per sottolineare il concetto di distruzione legittimata dalla ricostruzione di un nuovo naturale equilibrio. Utilizza anche il termine di ingegneria sociale per definire i criteri di professionalità e competenza con cui molti specialisti, a stretto contatto con le ditte tedesche che fornivano materiali, collaboravano a realizzare i forni crematori e le camere a gas. Numerosi scienziati e studiosi furono incaricati e sovvenzionati da un regime particolarmente disponibile nei confronti della ricerca scientifica: gli esperimenti eugenetici sui deportati costituivano un’industria crudele quanto economicamente proficua. Per tutto questo occorreva una burocrazia gerarchicamente funzionale in ogni suo grado e ogni frammento: da chi organizzava la rete ferroviaria a chi conduceva treni il più possibile carichi di “merce”. Dalla manutenzione delle macchine alla gestione delle risorse sempre secondo la logica di razionalizzare i costi: un sistema moderno rispetto ai genocidi precedenti, capace di avvalersi di mezzi di comunicazione e propaganda come le radio, i telefoni, gli altoparlanti, le cineprese. Unico in quanto risultato di una cooperazione tra settori molto vasti dell’apparato militare, burocratico, oltre che dell’acquiescenza di un popolo che ha accettato di non sapere, di non vedere... non solo in Germania! Il fascismo, pur non godendo delle capacità tecnologiche, ingegneristiche dei tedeschi, né della loro efficienza amministrativa, attraverso le leggi razziali e l’indifferenza della gente comune contribuì al genocidio con le deportazioni a migliaia nei campi di sterminio.

È più facile voltarsi dall’altra parte, dichiararsi neutrali se si è indifferenti. L’indifferenza arriva a negare l’assunzione di responsabilità attiva, soggettiva. Ci si protegge mantenendosi a debita distanza, schermandosi dalla presenza invasiva dell’altro, la cui immagine può sempre inquietare. Un esempio viene dalla tecnologia che genera morte, strumentale allo sfruttamento razionale per raggiungere il massimo guadagno, riducendo costi e sprechi. C’è una violenza razionale, esercitata attraverso astute macchinazioni e manipolazioni. La ragione che intrappola diventa irrazionale e la violenza collettiva contiene tratti pericolosamente seducenti. Lo sviluppo della tecnologia porta ad aumentare la produttività. Nella violenza, strumentale per natura, si manifesta un intero processo che appartiene alla sfera politica degli esseri umani.

Bauman sottolinea l’abilità dell’organizzazione nazista nel riuscire a neutralizzare la ferocia dei mezzi attraverso lo scollegamento tra le singole mansioni: chi ogni giorno timbrava buste poteva non conoscerne il contenuto. Chi in un laboratorio analizzava la singola sostanza poteva ignorarne i successivi utilizzi. Persino chi, quale ultimo anello della catena, azionava le esalazioni mortali nella camera a gas poteva non sapere poiché l’ingresso gli era negato. Senso del dovere, capacità e competenza, prevalevano sulla coscienza individuale attraverso la routine, la quotidianità; una sorta di “tranquillante morale” attraverso cui si tende a non rispondere di responsabilità indirette valorizzando altri aspetti: oggi chi collabora alla realizzazione di mine antiuomo, pur sapendo cosa sta facendo preferisce pensare che il suo settore non risente dei tempi di crisi.

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Campo di concentramento Auschwitz Birkenau

La distanza dal prodotto finale è stata pilastro dell’Olocausto attraverso quella “cecità morale” di cui si servirono infiniti funzionari, addetti, specialisti, impiegati, cooperanti, che la sera tornavano a casa e abbracciavano i figli. Più grande è l’obbiettivo più persone ci lavorano. Più sofisticati sono i mezzi più distante è il prodotto finale...come trattandosi di “guerre intelligenti” in cui, con poche gesta, si annientano grosse fette di umanità senza dare risalto a particolari sentimenti di ostilità e cattiveria: la pur tragica “notte dei lunghi coltelli”, fu un fallimento per i nazisti: in pochi, se solo si pensa alle dimensioni del genocidio, furono disposti a usare direttamente violenza contro il negoziante, contro il professionista cui ci si rivolgeva abitualmente. La tecnologia applicata alle armi le potenzia come strumenti mirati di distruzione, calcolandone e quantificandone gli effetti. Uccidere gli invisibili permette di evitare il coinvolgimento generato dalla loro presenza che facilmente viene a essere dimenticata, negata in quanto rifiutata, oscurata agli occhi. Disumanizzare, degradare l’altro è fondamentale per innescare la violenza e poter annientare chi viene identificato come il nemico da abbattere, evitando i turbamenti sensoriali. La violenza istituzionalizzata è un esercizio funzionale al potere in primo luogo in chiave repressiva. I fatti testimoniano e raccontano brutalità e nefandezze accanto a eroismi e martiri. La gente rifiutò l’uso aperto della violenza antiebraica mentre ne approvò la legislazione: da qui l’applicazione di uno sterminio di massa cui si riuscì a far partecipi gli ebrei stessi attraverso la stratificazione sociale interna ai ghetti: i Juden Räte (consigli ebraici) costituivano per i nazisti la prima fonte di reclutamento. Attraverso il ricatto della sopravvivenza la grande organizzazione si avvalse delle sue stesse vittime. Sul principio di lontananza delle singole azioni dall’esito finale, e dell’influenza del potere sui ruoli (ancor prima che sui singoli caratteri), sono stati svolti degli studi nel corso del tempo.

Lo psicologo statunitense Philip Zimbardo nel 1971 sperimentò come le condizioni di reclusione e prigionia facilmente scatenano la violenza da parte di chi esercita il potere sotto forma di comando. Nel caso specifico la simulazione nella gestione di un carcere, con guardie e detenuti arruolati per questo fine, vide in pochi giorni le guardie trasformarsi persecutori, veri e propri carnefici, fino al punto di dover sospendere l’esperimento per evitare drammatiche conseguenze. Il degrado, la disumanizzazione si affermano a partire dal linguaggio che annulla e degrada la natura umana. Nuovi regimi a seguito dell’Olocausto, servendosi di una moderna organizzazione, sono riusciti ad annientare in quantità persone ritenute scomode mentre i loro connazionali conducevano una vita normale. Attraverso gli attuali sistemi bellici i civili continuano a morire solo per il fatto di trovarsi sul luogo. La modernità non è solo progresso e benessere. L’analisi di Bauman rimane esplicativa e anche allertante in una società che, giustamente, tende alla continua modernizzazione.



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