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Misticismo rivoluzionario in Carlo Cafiero

Se faticosamente si risale il fiume delle omissioni e delle rimozioni, si scopre che la cultura italiana dell’ultimo secolo è non solo densa nei personaggi, ma è specialmente sperimentazione culturale e politica. Essa è stata spazio-tempo di ricerca di modelli e visioni alternative...

di Salvatore A. Bravo - martedì 30 luglio 2024 - 525 letture

La biografia su Carlo Cafiero di Pier Carlo Masini [1] è opera del 1974 e oggi è quasi sconosciuta. Masini come Cafiero è parte della sinistra anarchica dimenticata. Se faticosamente si risale il fiume delle omissioni e delle rimozioni, si scopre che la cultura italiana dell’ultimo secolo è non solo densa nei personaggi, ma è specialmente sperimentazione culturale e politica. Essa è stata spazio-tempo di ricerca di modelli e visioni alternative alla cultura liberale e al comunismo-sinistra parlamentare.

L’oligarchia trasversale all’arco parlamentare e globale ha occupato i centri della cultura, molte opere non sono state ristampate, per cui sono cadute nell’oblio del pensiero. Il sistema liberale procede con le sue censure espellendo dal “mercato” ciò che non può metabolizzare. Il mercato è un’immensa bestia che elimina ciò che non può divorare. L’attività politica e culturale di Pier Carlo Masini autore della migliore biografia su Cafiero, è anch’egli parte degli autori destinati al ciclo della distruzione. Si desertifica mediante la censura editoriale.

Rileggere “Cafiero” di Pier Carlo Masini significa rompere un doppio silenzio su Cafiero l’anarchico meridionale e su Masini anarchico e socialista. La biografia ricostruisce un’epoca e delinea Cafiero nella sua viva e dolorosa spiritualità eversiva. Cafiero fu un materialista, ma essere tali non esclude la spiritualità ardente che invoca e lotta per la giustizia per tutti i diseredati. Nella ricostruzione biografica tali aspetti sono ben documentati e concorrono alla comprensione del caso “Cafiero”.

L’anarchico Cafiero è stato un mistico della rivoluzione, ha vissuto e pensato lo scandalo del suo tempo: in Puglia ha assistito alla miseria dei contadini, a Londra il male del capitalismo si svelò a lui nella sua “nera tragedia anonima”: gli operai conducevano un’esistenza solitaria e atomistica, non c’era l’allegria sociale del Sud a rendere le loro giornate pallidamente umane. La Londra operaia era solo oscurità e dolore, il dolore della Londra operaia e dei diseredati divenne “il suo dolore sociale” che esigeva una risposta politica e sociale.

Cafiero fu borghese e visse l’esperienza creativa della coscienza infelice. Fu uomo che sentiva la vita; nei giorni della follia nel 1891 gli anarchici Amilcare Cipriani e Paolo Schicchi [2] andarono da lui nel manicomio di Nocera, lo trovarono seminudo al sole, disse loro che il sole era padre. Il sole è la vita da cui si lasciò attraversare e da cui fu bruciato senza morirne. L’animo mistico “del figlio del sole” ebbe la sua conversione a Londra [3] a venticinque anni. Come San Francesco, riporta Masini, dinanzi al dolore e all’ingiustizia dell’umanità violata dal capitale e abbrutita si congedò dal mondo borghese e dai suoi piaceri per dedicarsi totalmente alla causa anarchica. La Comune di Parigi del 1871 con i suoi tragici avvenimenti concorse anch’essa alla “conversione anarchica”. La prossimità della Londra operaia e gli eventi della Comune di Parigi diventarono la carne e il sangue del mondo che esigeva il riscatto ed egli a ciò non si sottrasse. Il male è “il potere”, per cui non potette tollerare “nessuna forma di dominio”. La rottura con Engels e Marx avvenne non sul materialismo storico ma sulla dittatura del proletariato, pertanto si schierò con Bakunin e gli anarchici e fuoriuscì dall’Internazionale comunista per aderire all’Internazionale autoritaria [4] nel 1872. L’Internazionale comunista con il suo Consiglio generale riproduceva forme di “governo” intollerabili nel giudizio libertario di Cafiero.

Il caso Terzaghi e villa Baronata

A Cafiero fu dato il compito dalla Federazione italiana di smascherare Carlo Terzaghi anarchico individualista quale sospetta spia. Cafiero aveva il compito di indagare ed erigere una relazione sulla credibilità di Terzaghi. Confermò che fosse una spia e nel contempo la relazione rivela la verità sull’inquisito e sull’inquirente. Cafiero scrisse un’epigrafe che precedeva la relazione che tanto ci dice del suoi modo di “essere al mondo”:

Ad affermare la verità
A rivendicare la Giustizia e la Morale rivoluzionaria
Questa dichiarazione
A tutti i sofferenti l’ingiustizia sociale
Presenta
Calo Cafiero
” [5].

Egli aveva usufruito della ricchezza saccheggiata agli ultimi, doveva restituire ciò che era stato loro tolto. L’eredità fu restituita agli ultimi: finanziò la spedizione nel Matese e comprò La Baronata. Presso Locarno nel 1873 acquistò dunque “La Baronata”, in cui ospitare Bakunin e la sua famiglia. Il progetto prevedeva l’apparente ritiro dalla scena pubblica dell’anarchico russo, ma in realtà la villa doveva diventare “centro rivoluzionario internazionale permanente”. Oggi la villa è proprietà di privati e non è accessibile al pubblico.

Nella Baronata si conduceva e sperimentava esistenza anarchica e comunista. Olimpia Kutuzov, l’attivista russa sposata da Cafiero nel 1874 per sottrarla alle persecuzioni delle autorità russe, così descrisse il quotidiano vivere presso la Baronata:

«...la vita alla Baronata era organizzata sui principi comunisti; i compiti e i lavori indispensabili erano quanto possibile divisi in maniera uguale: gli uomini lavoravano nel bosco, segando della legna, falciando, occupandosi dell’orto e del frutteto che ci fornivano in abbondanza verdure crude, legumi verdi, bacche, castagne e frutti. Avevamo anche delle galline e delle mucche. Essendo che, secondo i costumi italiani, gli uomini dovevano occuparsi del bestiame, era Carlo Cafiero che nutriva la nostra mucca e la mungeva. Le donne facevano il bucato, cucinavano, lavavano e, in generale, tutti i lavori di casa. Ci nutrivamo soprattutto dei prodotti della Baronata: castagne, legumi di ogni sorta, frutti e bacche; quanto alla carne, la vedevamo molto raramente a tavola» [6].

Pier Carlo Masini riporta che il vero e unico amore per Cafiero fu la rivoluzione Rinunciò alla carne e si nutrì con una dieta modesta e minimale, il suo abbigliamento fu sempre sobrio. Il rivoluzionario doveva incarnare l’ideale etico, l’essere umano si umanizza nell’essenziale liberamente scelto [7].

La proiezione della totalità del suo esserci-essere nella rivoluzione non ne faceva però un asceta disincarnato. Il pittore De Nittis, suo amico, ne ricorderà le opinioni in favore dell’uguaglianza di genere e la sua avversione verso forme di “compiacenza galante”; l’altro è sempre un fine e mai un oggetto [8]. Cafiero riuscì a salvare Olimpia, ma il progetto Baronata fallì. Bakunin non ebbe limite nelle spese [9]. Si fece costruire una nuova casa la nuova Baronata e acquistò il bosco limitrofo. Carlo Cafiero supportava le spese e il tracollo fu inevitabile, alla fine la villa fu venduta. Si assunse le responsabilità del fallimento e giudicò il progetto una “pazzia”, non colpevolizzò l’amico in modo smisurato, poiché fu lui a volere il progetto.

La rivolta nel Matese

In Cafiero il progetto libertario e anarchico era più rilevante della sua vicenda biografica, dei suoi interessi economici e della sua stessa vita. Egli ha vissuto con pienezza l’esperienza dell’universale. Nel 1877, malgrado evidenti difficoltà, partecipò con Errico Malatesta alla rivolta nel Matese terra di briganti e di rivolte. Si assunse l’onere in una condizione finanziaria difficile di acquistare le armi, vettovaglie, passamontagna, borracce, medicinali e sostenne i viaggi dei congiurati. Grattò il fondo del barile delle sue ormai modestissime risorse finanziarie. Fu tutto per la rivoluzione. I successi iniziali furono travolti dalle impari forze in campo. Al processo di Benevento nel quale i rivoltosi furono assolti anche grazie alla difesa di Francesco Merlino dichiarò:

“Il mio programma , cioè non il mio, perché non l’ho io immaginato né formulato, ma il programma di tutti i diseredati e di tutti gli uomini di buona volontà si compendia in due termini: comunismo e anarchia. Comunismo comprende tutto ciò che esiste e che si chiama capitale. A torto si dice che noi vogliamo distruggere il capitale; così facendo ci suicideremmo, imperocché distruggeremmo le sorgenti della vita, mentre che noi le vogliamo non solo, ma le vogliamo per tutti. L’anarchia poi è una cosa che sembra grossa, forse perché la parola è derivata dal greco. Essa invece è una cosa semplicissima: è il contrario di gerarchia e significa discernimento; è uno stato al quale tutti ci incamminiamo, compresi quelli che occupano i pubblici uffici” [10].

Il compendio del Capitale

Risolta l’esperienza nel Matese, Cafiero si dedicò ad un compendio de Il Capitale di Marx. Dobbiamo a lui la prima conoscenza dell’opera di Marx in Italia. Marx in una lettera nel 1879 ringraziò Cafiero per l’impegno e per il lavoro “superiore” rispetto ad altri simili. Nella lettera Marx faceva notare che mancava nella prefazione il riferimento teorico all’inevitabilità della rivoluzione in base alle leggi del modo di produzione capitalistico. Marx temeva la deriva libertaria e spontaneista degli anarchici, ma della lettera non abbiamo l’originale [11].

Gli anni successivi saranno segnati dalle incomprensioni con Costa e Merlino. Scriverà il testo Rivoluzione, nel quale ipotizza che dopo l’ultima rivoluzione con cui le contraddizioni sociali saranno risolte, inizierà un nuovo tempo storico nel quale gli uomini divenuti fratelli lotteranno contro la natura. Kropotkin ammirerà in Cafiero l’abbandono del “collettivismo” non più rispondente all’ideale libertario anarchico [12].

La creatività è sempre al limite della follia. Il delirare, lo suggerisce la parola, è andare oltre il “solco” (de-lira). Cafiero si inoltrò nel solco di un mondo altro desiderato e non tornò più indietro. I primi segni della follia lo colsero secondo l’amico Francesco Pezzi nel progetto di un’intesa fra socialisti e Compagnia di Gesù, tale alleanza avrebbe dovuto mettersi al totale servizio dei diseredati. Progetta persino di entrare nella Compagnia di Gesù. Difficile giudicare da ciò la certezza che essi fossero i primi sintomi di un incipiente follia, forse cercava soluzioni innovative che rompessero schemi e antitesi che fino ad allora si erano mostrati fallimentari. Nel 1883 Cafiero rompe i ponti con una insopportabile realtà. A Fiesole dove risiedeva si denuda per rifugiarsi nei campi, il gesto del denudarsi è simbolico del bisogno di liberarsi da ciò che lo opprime, è il segno di una ricerca di purezza che è stata la cifra della sua vita. Anche in questo caso l’analogia con San Francesco non è fuori luogo.

Le relazioni mediche riportano il desiderio di perdere ogni pelo, in modo che possano nascere penne che possano sollevarlo in volo, è quasi il desiderio di una trasfigurazione angelica. L’ansia di sollevarsi dalla gravità delle miserie e delle ingiustizie lo conduce a pensarsi come creatura che si congeda dal peso delle infamie del suo tempo storico” [13].

La morte per tubercolosi lo coglierà nel 1882. Olimpia gli sarà sempre grata e non lo abbandonerà, come tanti, negli anni della follia.

Nell’introduzione al Compendio del Capitale Cafiero si presenta nella sua verità ed essenza: fu un rivoluzionario che agì per la palingenesi dell’umanità, solo l’azione, la propaganda di fatto, può scacciare la malinconia che ci assale dinanzi al male del mondo:

“Un profondo sentimento di tristezza mi ha colto, studiando Il Capitale, quando ho pensato che questo libro era, e chi sa quanto rimarrebbe ancora, affatto sconosciuto in Italia. Ma se ciò è, ho poi detto fra me, vuol dire che il mio dovere è appunto di adoperarmi a tutt’uomo, onde ciò più non sia. E che fare? Una traduzione? Ohibò. Ciò non servirebbe a nulla. Coloro che sono in grado di comprendere l’opera di Marx, tale quale egli l’ha scritta, conoscono certamente il francese, e possono avvalersi della bella traduzione di J. Roy, interamente riveduta dall’autore, il quale la dice meritevole di essere consultata anche da coloro che conoscono l’idioma tedesco. È ben altra la gente per la quale io devo lavorare. Essa si divide in tre categorie: la prima si compone di lavoratori dotati d’intelligenza e di una certa istruzione; la seconda, di giovani che sono usciti dalla borghesia, e hanno sposata la causa del lavoro, ma che non hanno peranco né un corredo di studi né uno sviluppo intellettuale sufficiente per comprendere Il Capitale nel suo testo originale; la terza, finalmente, di quella prima gioventù delle scuole, dal cuore ancora vergine, che può paragonarsi a un bel vivaio di piante ancora tenere, ma che daranno i più buoni frutti, se trapiantate in terreno propizio. Il mio lavoro deve essere dunque un facile e breve compendio del libro di Marx. Questo libro rappresenta il nuovo vero, che demolisce, stritola e disperde ai venti tutto un secolare edificio di errori e di menzogne. Esso è tutta una guerra. Una guerra gloriosa, e per la potenza del nemico, e per la potenza, ancora più grande, del capitano, che l’intraprendeva con sì grande quantità di nuovissime armi, di istrumenti e macchine di ogni sorta, che il suo genio aveva saputo ritrarre da tutte le scienze moderne. Di gran lunga più ristretto e modesto è il compito mio. Io devo solamente guidare una turba di volenterosi seguaci per la strada più facile e breve al tempio del capitale; e là demolire quel dio, onde tutti possano vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani gli elementi dei quali esso si compone; e strappare le vesti ai sacerdoti, affinché tutti possano vedere le nascoste macchie di sangue umano, e le crudelissime armi, con le quali essi vanno, ogni giorno, immolando un sempre crescente numero di vittime” [14].

Il sottotitolo dell’opera svela il suo impegnato ottimismo:

"L’Operaio ha fatto tutto, l’Operaio può distruggere tutto".

Tutto è ancora possibile, anche nei nostri giorni.


Su Carlo Cafiero è possibile vedere su YouTube un documentario: Carlo Cafiero, il figlio del sole, di Ezio Aldoni e Massimo Lunardelli (2011, durata 45′ circa).


[1] Pier Carlo Masini (Cerbaia, 26 marzo 1923 – Firenze, 19 ottobre 1998) è stato un politico, giornalista e storico italiano, è stato autore di saggi sulla storia dell’anarchia. La biografia intitolata "Cafiero" (1974) è stata edita da Rizzoli.

[2] Pier Carlo Masini, Cafiero, Rizzoli Milano, 1974, pag. 11

[3] Ibidem, pag. 25

[4] Ibidem, pag. 61

[5] Ibidem, pag. 105

[6] Vedi la pagina dedicata alla Baronata dalla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna.

[7] Pier Carlo Masini, Cafiero, Rizzoli Milano, 1974, pag. 341

[8] Ibidem, pag. 146

[9] Ibidem, pag. 134

[10] Ibidem, pp. 221-222

[11] Ibidem, pp. 240-241

[12] Ibidem, pp. 286-287

[13] Ibidem, pp. 338-339

[14] Carlo Cafiero, Compendio del capitale, liberliber, 2012, pag. 5


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