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Minime letterarie - L’abbandono, e la polvere nera di M.Serena Maiorana

M.Serena Maiorana ha vinto la prima edizione del Premio Letterario "Raccontare il Monastero" indetto dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Catania. Serena collabora a Girodivite.

di Ornella Guidi - mercoledì 2 maggio 2007 - 6430 letture

M.Serena Maiorana è la giovane laureanda che ha vinto, con questo racconto breve, la prima edizione del Premio Letterario "Raccontare il Monastero" indetto dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Catania, che ha sede nell’ex monastero dei Benedettini. Il premio è stato consegnato alla vincitrice dallo scrittore Andrea De Carlo.

Unire la consapevolezza del sé alla freschezza del proprio raccontare non è qualità da poco, eppure Serena Maiorana riesce con grande naturalezza ad incantarci con la musicalità e la cromaticità che traspaiono dalla sua scrittura.

Il disagio esistenziale, causa ed effetto del trascinarsi quotidiano, qui si trasfigura in un canto alla vita, all’amore. L’uomo, ignaro che i giorni dell’amore sono quelli e solo quelli, cede alla lusinga del poi, dei rimandi di un futuro che sembra, durante la giovinezza, plasmabile a proprio piacimento, per accorgersi poi con dolore che il tempo è passato.

Noi che non ci siamo voluti abbandonare, possiamo, dopo tanto scorrere, raccontarci che non si è potuto fare di più, che si sarebbe fatto se solo ci fosse stato il tempo perché certo mi rendevo conto dell’amore che provavo.

Ecco dunque l’uomo moderno in bilico fra il disperato bisogno d’amore e il desiderio di non condividere, di rimandare, ecco l’uomo martoriarsi con gli stessi identici canti per cercare di gettare un ponte fra la conoscenza intima di ciò che doveva essere fatto e la vitale necessità di assolversi prestando l’alibi della consapevolezza alla vigliaccheria delle proprie paure, al miele della propria pigrizia.

La paura di perdersi, di perdere la propria identità. L’urgenza di coprire, di seppellire il senso di colpa per qualcosa che tanto tempo fa o forse appena ieri si è perduto senza capire bene il perché, ma anche quando si fosse capito sarebbe troppo tardi, si può allora soltanto rimanere in attesa, con le unghie laccate di rosso.

E’ bella l’immagine della giovane donna che batte nervosamente il dito sul banco senza che lo smalto che le dipinge le unghie salti via, una metafora della caparbietà, dell’ostinazione di lei sacerdotessa che si offre al dio del tempio, al dio dell’amore.

Quel monastero diventa l’unico luogo dell’amore, il monastero è il luogo sacro come richiede appunto la sacralità dell’amore e il tappeto di petali ai piedi dell’antica pianta rimanda alle processioni di maggio quando le vie degli antichi paesi vengono ricoperte di petali di rose, e si cammina a due a due sul velluto dei petali delle rose spogliate.

I ritmi e la sensualità della parola rivestono di struggente bellezza l’intera città, amata per i suoi lampi orientali, per i suoi lampi mediterranei, per la sabbia nera che si infila nelle stanze tortuose delle case.

La magia poetica che Serena Maiorana fa vivere ed evoca nel racconto ci ricorda, a tratti, le magiche poesie di Pablo Neruda, e la loro nostalgica passionalità.


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