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Milano-Calabria, andata e ritorno

Con il giornalista Gianni Barbacetto, autore assieme al collega Davide Milosa del libro “Le Mani sulla Città”, abbiamo riflettuto sulle implicazioni della presenza della ‘Ndrangheta a Milano e nel nord d’Italia

di Emanuele G. - giovedì 2 agosto 2012 - 4082 letture

Il settentrione del nostro paese si è scoperto “violato” all’improvviso. In tutti questi anni non aveva avvertito la presenza delle mafie nelle sue città, in seno alle pubbliche amministrazioni e nel mondo dell’economia. E’ stato uno shock. Tuttavia la situazione è pesante. Comuni sciolti per mafia! Imprenditori fatti oggetto di pressioni al fine di cedere l’attività. Giornalisti e magistrati minacciati. Insomma, non ci saremmo mai immaginati che il nord vivesse le stesse identiche vicissitudine che nel meridione appaiono norma quotidiana di vita. Su tutto questo abbiamo intervistato un giornalista molto addentro alla situazione reale di Milano e zone viciniori. Il suo nome è Gianni Barbacetto del Fatto Quotidiano. Autore del libro “Le Mani sulla Città” assieme a Davide Milosa. Un corposo libro-inchiesta che per la prima volta parla in maniera compiuta della presenza delle mafie – in particolare della ‘Ndrangheta – nella parte ricca e sviluppata dell’Italia.

Che fine ha fatto “la Milano da bere” degli anni ottanta? Se la sono bevuta le ‘ndrine calabresi?

“La Milano da bere degli anni ottanta è stata travolta dall’onda della crisi italiana dei primi anni novanta, quando si diceva che l’Italia era a un passo dal fallimento e dalla "situazione argentina". Travolta, contemporaneamente, da mani pulite, che ha svelato il sistema di sprechi e corruzione che legava affari e politica ai tempi della prima repubblica.”

Quando è iniziata l’invasione delle mafie a Milano ed in altre aree del nord?

“Personaggi di cosa nostra cominciano a operare a Milano almeno dagli anni sessanta. nei settanta, prima i siciliani di Luciano Liggio, poi i calabresi della ’ndrangheta realizzano in Lombardia decine di sequestri di persona. Liggio è arrestato proprio a Milano, in via Ripamonti dove abitava, nel 1974. I calabresi si installano nell’hinterland e organizzano gruppi stabili.”

Per riuscire a raggiungere questo obiettivo ambizioso (per le ‘ndrine) è occorso un lavoro di programmazione particolarmente importante…

“La crescita dei gruppi criminali calabresi avviene lentamente, sulla base degli insediamenti di calabresi al nord. Senza mai perdere i contatti con la "casamadre" in Calabria, i gruppi al nord organizzano prima i sequestri di persona, poi il traffico di droga, infine si danno a business più "puliti", come l’edilizia e il movimento terra.”

Come se lo spiega l’estrema permeabilità di tutto il nord nei confronti delle mafie?

“Le mafie hanno attecchito al nord perché il terreno era particolarmente favorevole. Soprattutto in due settori: quello imprenditoriale, che ha accolto i gruppi criminali come partner senza alzare barriere, pur di fare affari facili e senza porti il problema dell’odore dei soldi; e quello politico, che ha accettato i voti e i finanziamenti dei gruppi calabresi come modo per costruire carriere politiche e ricchezza.”

Mi pare che l’esplosione del fenomeno mafie nel nord rappresenti un “default” dell’intera classe dirigente di questa parte del nostro paese… Dov’erano? Cosa stavano facendo quando i picciotti cominciavano a estendere il loro potere sul territorio?

“Sì, la presenza criminale al nord è segno di un “default” della classe dirigente di questa parte del nostro paese, politica ed economica. Ma anche culturale, visto che non si sono attivate barriere e non si è creata conoscenza del fenomeno. si è preferito dire che la mafia non c’è, per salvare il "buon nome" di Milano e del nord. Così lo si è invece lasciato infangare.”

Il fatto che l’intero paese stia attraversando una crisi drammatica non fa altro che aumentare il potere di soggezione delle mafie. Che fa l’altro sono gli unici operatori economici in possesso di liquidità visto che le banche…

“Sì, la crisi accresce i pericoli d’infiltrazione mafiosa dell’economia "pulita", proprio per la più facile disponibilità di finanziamenti sul mercato "sporco", mentre in quello "pulito" diventano difficili.”

Tutti a raccontarci la favoletta della “Milano capitale morale d’Italia”… Dov’è finita l’austera Milano?

“Milano si è accorta di non essere più "capitale morale” nel 1992, con l’esplodere dell’inchiesta Mani pulite. Ma già negli anni settanta aveva aperto le porte a personaggi come Michele Sindona e poi a Roberto Calvi, considerati grandi riciclatori del denaro di cosa nostra. e il collegio senatoriale del centro di Milano continua a eleggere senatore un personaggio come Marcello dell’Utri, che è stato mediatore tra Palermo e Milano, tra cosa nostra e la Fininvest.”

Una domanda provocatoria... Possiamo affermare che Milano e il nord sono ora dependance territoriali delle province di San Luca, Natile di Careri e Platì?

“Non credo che Milano sia una dependance di San Luca. Credo però che Milano e San Luca (intesa come simbolo del potere della ’ndrangheta) insieme abbiano costruito una rete di potere criminale che il nord può ancora sperare di battere. I magistrati stanno facendo bene la loro parte. Adesso tocca agli imprenditori e alla politica tagliare i ponti con le mafie.”

Mi pare che il connubio Mani pulite-presenza delle mafie sia un tema da analizzare al più presto. Forse il crollo di un certo sistema di potere politico al nord a seguito della nota inchiesta dei giudici di Milano ha giocato il ruolo di ulteriore apripista nel disegno di conquista del nord ad opera delle ‘ndrine calabresi di San Luca, Natile di Careri e Platì.


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