Marx e il nostro tempo
Marx è ancora vivo, perché abbiamo ancora bisogno delle sue strutture interpretative anche per superarlo.
Marx e il nostro tempo
Rileggere Karl Marx è un “compito politico ed etico” per i dissenzienti, ovvero coloro che non accettano passivamente e fatalmente il capitalismo con le sue tragedie e con i suoi processi di reificazione. Le merci continuano a dominarci e a dissanguare l’umanità e dietro di esse le oligarchie transnazionali perpetuano la loro strategia di dominio.
Il capitalismo continua ad infuriare ad Ovest e ad Est con le merci che signoreggiano l’immaginario al punto che l’essere umano non solo le serve, ma specialmente, si percepisce come “merce tra le merci”. Il valore di scambio è l’ordinaria normalità relazionale nell’inferno in terra sotto la cappa del capitale. Il capitalismo è dunque una visione del mondo, non è esterno agli esseri umani, ma come una tossina ed un veleno penetra nel corpo e nella mente. Soggioga con l’oppressione “esterna ed interna”, alla fine di tale processo di aziendalizzazione-mercificazione l’umanità è solo un ente insignificante che si misura col paradigma del denaro.
Rileggere Karl Marx è percorso di emancipazione dalle violenze del nostro tempo. Essa necessita di parole e concetti che svelano la verità della condizione storica. La liberazione comincia col dolore/contraddizione dell’essere umano, ma la condizione di disagio senza il concetto e la comprensione dell’intero è solo una lunga agonia adattiva o ribellione sterile e improduttiva. La prassi senza la chiarezza del concetto non conduce alla libertà ma ad una impotente e astiosa impotenza generalizzata. L’essere umano, il creatore senza titanismo, deve riappropriarsi della sua essenza storica e tale “cominciamento” non può che avvenire, in primis, in coloro che soffrono l’umiliazione del dominio e dell’alienazione. Gli ultimi sono il motore della storia. Non si è “ultimi” solo per condizione sociale, ma lo si è per disancorarsi dalle logiche del capitalismo. Gli ultimi sono il “motore della storia”:
“Sinora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà ora esistente andrà in pezzi” [1].
Il comunismo, rovesciamento dialettico del capitalismo, per riumanizzare le relazioni umane e ristabilire l’essenza storica dell’essere umano non può che agire “abolendo il capitalismo nella struttura economica e nella sovrastruttura”. Le tossine del capitale sono con noi e dentro di noi, per cui l’abolizione totale del capitale non può che comportare la radicalità del “gesto comunista”:
“Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente” [2].
Marx e l’ideologia tedesca
Marx dichiara la sua estraneità alla filosofia-ideologia tedesca, in quanto dalla destra alla sinistra hegeliana ci si limita all’esame critico delle rappresentazioni delle religioni. La vita dei popoli e dei subalterni resta, in tal modo, distante dalla filosofia. La filosofia deve farsi “mondo”, deve entrare nella storia, essa non dev’essere “l’anima bella” che si scinde dalla materialità della storia. Marx afferma il superamento della filosofia che si limita ai contenziosi teoretici.
All’intellettuale da salotto subentra con Marx il filosofo della prassi. Si tratta di risolvere una delle innumerevoli scissioni del capitalismo speculare e correlato alla scissione tra lavoro intellettuale e manuale. L’uomo marxiano oltrepassa la reificazione ricomponendo le scissioni che hanno consolidato lo iato tra la classe dominante e i subalterni. La filosofia deve riconfigurare e trascendere la parzialità dell’ideologia. Con Marx comincia il tempo della responsabilità etica e politica della filosofia; essa scende dagli scranni accademici ed entra nella storia e nella lotta di classe:
“Tutta la critica filosofica tedesca da Strauss fino a Stirner si limita alla critica delle rappresentazioni religiose. Si cominciò dalla religione reale e dalla teologia vera e propria. Che cosa fosse la coscienza religiosa, la rappresentazione religiosa, fu variamente definito in seguito. Il progresso consisteva nel sussumere sotto la sfera delle rappresentazioni religiose o teologiche anche le rappresentazioni metafisiche, politiche, giuridiche, morali, ecc. che si presumevano dominanti; nel proclamare cosi che la coscienza giuridica, politica, morale è coscienza religiosa o teologica, e che l’uomo politico, giuridico, morale, cioè « l’uomo », in ultima istanza, è religioso. Fu presupposto il predominio della religione. A poco a poco ogni rapporto dominante fu dichiarato rapporto di religione e trasformato in culto, culto del diritto, culto dello Stato e cosi via. Dappertutto sì aveva a che fare con dogmi e con la fede in dogmi. Il mondo fu canonizzato in misura sempre maggiore, finché da ultimo il venerabile san Max poté canonizzarlo en bloc e liquidarlo una volta per tutte” [3].
Non si combatte il mondo con le frasi e con i duelli infarciti di parole. La filosofia, dunque, deve entrare in una nuova fase, essa deve pensare il proprio tempo nella sua materialità per analizzarne le contraddizioni e le potenzialità dialettiche e diventare la miccia che favorisce la trasformazione qualitativa. Marx ci insegna la necessità di congedarsi dai salotti e dalla scrittura artificiosa per entrare nella storia. La scrittura è prassi, se non è finalizzata al plusvalore ma alla liberazione consapevole. La filosofia presuppone lo scandalo etico dinanzi alle ingiustizie, essa analizza le condizioni storiche oggettive, ma deve schierarsi a viso aperto con i dominati. Senza tale coscienza politica ed etica essa è solo un vuoto ciarlare incapace di sollevare anche un fuscello:
“Poiché questi Giovani hegeliani considerano le rappresentazioni, i pensieri, i concetti, e in genere i prodotti della coscienza, da loro fatta autonoma, come le vere catene degli uomini, così come i Vecchi hegeliani ne facevano i veri legami della società umana, s’intende facilmente che i Giovani hegeliani devono combattere soltanto contro queste illusioni della coscienza. Poiché secondo la loro fantasia le relazioni fra gli uomini, ogni loro fare e agire, i loro vincoli e i loro impedimenti sono prodotto della loro coscienza, i Giovani hegeliani coerentemente chiedono agli uomini, come postulato morale, di sostituire alla loro coscienza attuale la coscienza umana, politica o egoistica e di sbarazzarsi così dei loro impedimenti. Questa richiesta, di modificare la coscienza, conduce all’altra richiesta, di interpretare diversamente ciò che esiste, ossia di riconoscerlo mediante una diversa interpretazione. Nonostante le loro frasi che, secondo loro, «scuotono il mondo », gli ideologi giovani-hegeliani sono i più grandi conservatori. I più giovani tra loro hanno trovato l’espressione giusta per la loro attività, affermando di combattere soltanto contro delle «frasi». Dimenticano soltanto che a queste frasi essi stessi non oppongono altro che frasi, e che non combattono il mondo realmente esistente quando combattono soltanto le frasi di questo mondo. I soli risultati ai quali questa critica filosofica poteva portare erano alcuni e per giunta parziali chiarimenti, nel campo della storia della religione, intorno al cristianesimo; tutte le altre loro asserzioni non sono che altri modi di abbellire la pretesa di aver compiuto, con quei chiarimenti insignificanti, scoperte di importanza storica universale. A nessuno di questi filosofi, è venuto in mente di ricercare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realtà tedesca, il nesso tra la loro critica e il loro proprio ambiente materiale” [4].
Materialismo e storia
Riportare la filosofia tedesca dal cielo alla terra significa osservare l’essere umano nella sua materialità storica. Le coscienze e le idee sono il prodotto delle condizioni strutturali, in cui si vive e in cui si disperde la ricchezza dello spirito. I “dominati” sono nella trappola alienante del ruolo che ricoprono nella struttura economica. Le loro idee si formano all’interno delle relazioni di potere e di sottomissione. Non secondario è il lavoro che si svolge e si ricopre; l’attività lavorativa specializzata deforma la natura umana e inocula nel dominato idee afferenti e dipendenti dall’attività. Si diventa ciò che si fa.
Colui che è usato come “mezzo”, si pensa come tale e naturalizza il proprio stato. L’emancipazione non può che essere collettiva mediante la riflessione comune sulle condizioni che strutturano la subalternità di classe. Il comunismo ha lo scopo di riportare l’umanità aggiogata alla soggettività politica. La coscienza può essere soggiogata ed alienata, ma da essa può nascere “il nuovo e una nuova visione del mondo”, se le circostanze storiche predispongono a tale passaggio e se si instaurano tra i dominati relazioni politiche.
Il compito e la responsabilità della filosofia sono dunque immensi:
“Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma sono gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza” [5].
Il materialismo storico, già configurato nei suoi elementi essenziali, nelle opere giovanili di Marx è la condizione che consente di uscire dal chiacchiericcio dei pessimisti e dei pennivendoli. Col materialismo storico si ritorna alla vita concreta e reale. Non dalle idee si deve partire ma dall’analisi oggettiva delle condizioni materiali, in cui l’uomo reale vive, pensa, spera e soffre:
“I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per, via puramente empirica. Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l’organizzazione fisica di questi individui e il rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell’esame né della costituzione fisica dell’uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale. Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinato dell’attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono” [6].
Ecco il compito e la battaglia più dura che ogni filosofo del nuovo tempo storico deve combattere: egli deve dimostrare che le idee di ogni tempo sono ideologie di dominio e pratica di sorveglianza interiore ed esteriore delle classi dominanti. Senza tale emancipazione nessuna prassi è possibile. La coscienza di classe è il processo con cui ci si libera dalle paludi dell’egemonia culturale della classe al potere:
“La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito di un’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca” [7].
Svelamento
Il materialismo storico svela la classe operaia nella sua tragica realtà: il proletariato è la classe che vive lo svelamento dello sfruttamento nella sua totalità. La storia si rivela nel proletariato nella sua verità ferina e disumana. Il proletario è negato nella sua essenza, è sfruttato nel corpo e nella mente in modo continuo, non conosce che le catene che lo avvolgono e lo stritolano. I singoli servi della gleba potevano fuggire nelle città e lottare per l’ascesa sociale, ad essi era data una possibilità storica e una illusione di libertà.
Al proletario si prospetta solo lo sfruttamento totale; le catene lo soffocano; deve perdere la sua vita nel lavoro di fabbrica che lo deforma fino a renderlo muto strumento senza speranza. La classe operaia lavora in fabbrica, la coscienza individuale può elevarsi a coscienza di classe universale e rompere gli automatismi della storia. La fabbrica forma la coscienza di classe, poiché il lavoro collettivo nel medesimo ambiente crea “il nuovo”. Alla classe operaia che vive l’estrema condizione di sfruttamento il compito, quindi, di ribaltare il dominio:
“Senza dubbio i servi della gleba che fuggivano consideravano la loro servitù come qualche cosa di casuale per la loro personalità. Ma con ciò facevano semplicemente la stessa cosa che fa ogni classe che si libera da un vincolo, e poi non si liberavano come classe, ma isolatamente. Inoltre essi non uscivano dall’ambito del sistema degli ordini, ma si limitarono a formare un nuovo ordine e conservarono il modo di lavoro che avevano avuto fino allora anche nella nuova situazione, e lo perfezionarono liberandolo dai vincoli che lo avevano impacciato fino allora e che non corrispondevano più allo sviluppo che esso aveva raggiunto. Nel caso dei proletari, invece, la loro propria condizione di vita, il lavoro, e quindi tutto l’insieme delle condizioni di esistenza della società odierna, sono diventati qualche cosa di casuale, su cui i singoli proletari non hanno alcun controllo e su cui nessuna organizzazione sociale può dare loro il controllo; e la contraddizione tra la personalità del singolo proletario e la condizione di vita che gli è imposta, il lavoro, si manifesta al proletario stesso, soprattutto perché egli è stato sacrificato fin dalla giovinezza e perché gli manca la possibilità di arrivare, in seno alla sua classe, alle condizioni che lo farebbero passare nell’altra classe. Mentre i servi della gleba fuggitivi, dunque, volevano soltanto sviluppare e fare affermare liberamente le loro condizioni di esistenza già in atto, e quindi in ultima istanza arrivarono soltanto al lavoro libero, i proletari invece, per affermarsi personalmente, devono abolire la loro propria condizione di esistenza quale è stata fino ad oggi, che in pari tempo è la condizione di esistenza di tutta la società fino ad oggi, il lavoro. Essi si trovano quindi anche in antagonismo diretto con la forma nella quale gli individui della società si sono dati finora un’espressione collettiva, lo Stato, e devono rovesciare lo Stato per affermare la loro personalità” [8].
L’Ideologia tedesca è opera di transizione tra il Marx giovane e il Marx maturo, in essa ci sono i nuclei programmatici del lavoro dello spirito marxiano lungo quanto la sua esistenza. La speranza non è un vuoto vagheggiare, né attesa della soluzione delle feroci contraddizioni del nostro tempo storico, ma pensiero che dà forma all’azione e “agire che feconda il pensiero”.
La speranza è nel dominato che media il mondo e lo filtra con la coscienza individuale e collettiva. Per leggere la condizione oggettiva della storia e trasformarla con la prassi sono necessarie categorie da applicare ai processi storici. Le categorie marxiane sono filtri emancipativi che consentono ai dominati di spezzare le catene della passività e di emanciparsi dalla malinconica decadenza di un sistema che ha fatto della guerra e del sacrificio dei dominati la sua minacciosa stella polare.
L’ottimismo della volontà si forma analizzando i dati e le contingenze storiche, le quali, malgrado la loro “terribile realtà”, sono parte di un processo storico nel quale le potenzialità convivono con le catene che pongono ai ceppi i subalterni. Marx è ancora attuale e Antonio Gramsci ce lo rammenta. Riappropriarci delle categorie interpretative che consentono la liberazione dal fatalismo è il gesto primo e principale con cui riportare la dimensione della prassi e della speranza nella storia. Oggi i dominati non sono solo gli operai e i migranti ma anche la classe media che precipita verso la precarietà. Il messaggio marxiano è rivolti a tutti i dominati. La volontà politica vince le condizioni storiche avverse:
“Ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” [9].
La teoria può diventare prassi, se diventa “pensiero comune”, essa può svegliare le masse dal torpore del “politicamente corretto” e trasformarle in popoli in marcia. La volontà popolare per porsi in cammino necessita di categorie e concetti che possano indicare il fine oggettivo dopo aver smascherato la menzogna divenuta sistematica normalità del nostro tempo. Marx è ancora vivo, perché abbiamo ancora bisogno delle sue strutture interpretative anche per superarlo.
[1] Karl Marx, L’Ideologia tedesca, Premessa, testo su: Centro Gramsci.
[2] Ibidem: La Storia
[3] Ibidem: capitolo I L’ideologia in generale e in particolare l’ideologia tedesca
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Ibidem: Sulla produzione della conoscenza
[8] Ibidem: Capitolo IV Comunismo, produzione della forma di relazione stessa
[9] Gramsci 1975, p. 75. In seconda stesura questo passaggio (con poche variazioni) riappare in una nota del quaderno 28, databile al 1935: cfr. Gramsci 1975, pp. 2330-1. - Antonio Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975.
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