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1° Maggio Barocco

Ci si preoccupa per ipotetiche invasioni d’oltremare e siamo i primi a rinnegare la nostra identità culturale.

di Piero Buscemi - mercoledì 6 maggio 2015 - 3241 letture

La vecchia abitudine di tentare di imitare qualsiasi cosa che provenga oltre confine, è una strana e a volte incomprensibile consuetudine di noi italiani. Non assume alcuna importanza approfondire le idee, gli usi e le culture che si prendono a emulo, dando per scontato che siano comunque migliori delle nostre, senza prendersi la cura se siano effettivamente adatte al nostro stile di vita.

Noi siciliani abbiamo affinato ulteriormente questa abitudine. Saranno state le dominazioni e le invasioni che si sono insediate nel nostro territorio nella nostra storia millenaria, sta di fatto che si tende sempre più a desicilianizzare l’isola rivolgendosi a quei mutamenti della tradizione, riconoscendo a un non ben appurato riscontro positivo, una sorta di emancipazione sociale, nella quale illuderci di riconoscerci.

Il culmine di questa confusa identità culturale lo si raggiunge quando, in occasione delle milioni di visite che ogni anno sono statisticate in Sicilia, una delle componenti attrattive che fa scegliere la nostra isola, rispetto ad altre località, spesso viene riassunta proprio nelle caratteristiche che ci ostiniamo a rinnegare.

La dimostrazione di quanto sopra esposto, l’abbiamo avuta in occasione del recente fine settimana del Primo Maggio, che ha consentito, grazie anche a questa precoce esplosione dell’estate, a migliaia di villeggianti di raggiungere le varie località siciliane. Un’opportunità sfruttata a pieno anche da molti turisti italiani e stranieri, che hanno approfittato del bel tempo e delle tariffe più economiche del periodo.

Seguendo la scia del richiamo del sud, ammesso che ci sia un “sud” più identificativo nell’isola, ci siamo spinti in quel lembo di terra che, geograficamente parlando, ci fa sentire effettivamente più meridionali di alcune località africane. Stiamo parlando, ovviamente, della punta estrema della Sicilia che delimita il territorio nazionale con l’incontro dei mar Jonio e del Canale di Sicilia.

Un pezzo di terra dove la miscela di millenni di storia consente al visitatore di viaggiare nel tempo, confrontandosi con il periodo dorico ellenistico fino a rimanere estasiati dal barocco siciliano. Un luogo che fonde in un solo colpo d’occhio i palazzi settecenteschi di Siracusa, Noto, Palazzolo Acreide, o di Modica, Scicli e Ibla, se ci si sposta fino alla provincia di Ragusa, e la sabbia impalpabile dei suoi sbocchi a mare, con i quali ripercorrere un passato, relativamente recente, che ci racconta di mattanze di tonni, di fondali cristallini, di festival del cinema.

La località più conosciuta, in questi ultimi anni, è sicuramente Marzamemi. Un borgo marinaro e di pescatori, fa bella mostra di sé un’antica tonnara proprio in centro paese, inserita nel circuito turistico isolano grazie alle sequenze filmate del film “Sud” di Gabriele Salvatores che, oltre venti anni fa, incuriosì gli spettatori dei cinema nelle città del nord Italia, affascinati da queste costruzioni in tufo, che sembravano tingersi d’oro durante i colorati tramonti.

Quando visitammo Marzamemi in quegli anni, fummo colpiti dalle casette abusive costruite a ridosso della spiaggia della Spinazza, il lido più conosciuto e gremito di turisti durante l’estate. Accogliemmo con entusiasmo l’abbattimento di quegli stupri architettonici, avvenuto qualche anno dopo. Fummo conquistati dal seguitissimo Festival di Frontiera, organizzato ogni anno a luglio, dove una sorta di vintage cinematografico si specchiava sullo schermo allestito sulla piazza Regina Margherita che ospita il Palazzo Villadorata, alternandosi con la proiezioni dei cortometraggi proposti da giovani registi italiani e i film realizzati dai registi stranieri originari dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Sarebbe bastato questo per incrementare un turismo primordiale, che si appoggiava sul mantenimento di un’identità storica e culturale, ricercatissima e attirante da chi, proveniente dalle città del nord, cercava di una via di fuga dal consumismo patinato, forse anche più organizzato, ma sicuramente più banale e scontato delle tradizionali località turistiche di mare.

Ma noi siciliani, siamo grandi copiatori. E spesso, quando ci cimentiamo in questo ruolo, lo facciamo anche male. Siamo capaci, nell’arco di qualche anno, di trasformare un borgo marinaro, architettonicamente poggiato su una planimetria barocca, in qualcosa che sta a metà strada tra la riviera romagnola e i porti turistici di quella ligure. Il risultato non è esaltante. Costruzioni colorate a pastello, “arricchite” di ringhiere fredde e metalliche, deturpano visivamente il tufo secolare.

Così, mentre ci lanciamo in avventure marinaresche passeggiando tra i vicoli della Balata, sognando rifugi notturni nelle casette dei pescatori, salvate dall’estrosità dei moderni architetti, basta spostarsi di qualche centinaio di metri per essere sbattuti in una realtà truccata da case vacanze a tre piani, con mansarde ad occultare il quarto, che spuntano come funghi di anno in anno.

Ci permettiamo di assumerci il ruolo di promotori turistici, regalando uno spot di qualche minuto che riassume quanto la natura e il passato hanno saputo consegnarci. Un breve riassunto che racchiude, forse, gli unici motivi che spingono ancora migliaia di turisti a raggiungere queste località, nonostante ponti crollati sulle autostrade e una ferrovia a binario unico, guardata con una curiosità da folclore locale dagli stranieri che hanno il coraggio di farne ancora uso.


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