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Mafie straniere in Italia: il caso nigeriano

Nell’arco di un quarantennio, si è passati, nel groviglio complesso dei movimenti migratori, da presenze criminali straniere localizzate e sostanzialmente subalterne alle mafie nostrane a una situazione differente e in costante movimento

di francoplat - mercoledì 11 novembre 2020 - 2238 letture

Alcuni giorni fa, il 28 ottobre scorso, a seguito di un’indagine iniziata nel 2018, le Squadre mobili di Torino e di Ferrara, coordinate dalle locali Direzioni Distrettuali Antimafia, hanno emesso 69 misure cautelari in carcere nei confronti dei membri del consorzio criminale nigeriano denominato Viking, al quale sono contestati reati quali l’associazione di stampo mafioso, finalizzata allo spaccio di stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione, e altri reati quali estorsione, tentato omicidio, rapina ecc. La cronaca porta alla ribalta, pure in questo come in altri casi, fenomeni che, d’ordinario, scorrono larvati, si muovono dietro le quinte, pur avendo una storia di un certo respiro, un percorso poco evidente all’opinione pubblica, ma noto ormai alle agenzie di contrasto alle consorterie delinquenziali. Da alcuni decenni, più o meno dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, alla criminalità nostrana si sono infatti affiancate organizzazioni criminali straniere: balcaniche, russe, cinesi, sudamericane, nordafricane, nigeriane. È un affiancarsi che significa, almeno stando alla conoscenza del fenomeno, stabilire talvolta alleanze e rapporti operativi con le mafie tradizionali e, in altri casi, correre in autonomia, perseguendo fini e invadendo spazi lasciati vuoti dal crimine organizzato nostrano, magari perché meno sicuri di altri, come la tratta di persone a scopo sessuale o lavorativo, o perché si tratta di illeciti di così larga ampiezza da lasciare margini di guadagno per tutti gli “operatori” del mercato.

Dunque, il caso emerso il 28 ottobre è tutt’altro che una novità agli occhi degli inquirenti e degli addetti ai lavori. L’ormai pluridecennale fenomeno della presenza di gruppi criminali stranieri nel nostro Paese origina da un doppio movimento: da un lato, i sommovimenti politico-economici che hanno scosso l’Europa dell’Est e quella balcanica, la caduta del Muro di Berlino e il crollo del regime sovietico e dei suoi satelliti, così come hanno interessato l’Africa: ad esempio, la crisi economica petrolifera nigeriana o le varie ‘primavere arabe’ che si sono succedute negli anni. Dall’altro, alla forza espulsiva da quegli Stati si è sommata la forza attrattiva dell’Italia, paese che riuniva insieme tanto un’idea di benessere diffuso, ampiamente divulgata dalle televisioni straniere, quanto, e forse soprattutto, l’immagine di una realtà caratterizzata dall’ampia richiesta di beni e servizi illegali, ossia prostituzione, droghe, lavoro nero. Come afferma il ‘quarto rapporto sulle aree settentrionali per la Presidenza della Commissione di inchiesta sul fenomeno mafioso’, curato dal prof. dalla Chiesa, riferendosi all’Italia, la «fama di paese ricco e dal diritto incerto anche quando severo l’ha resa insomma appetibile specie e proprio al Nord», dove minore o meno incisiva era la presenza di mafie autoctone. A questi due ingredienti va, poi, aggiunto il condimento della globalizzazione, processo planetario che, nella sua ampiezza e diffusività, non può non interessare pure le pratiche illegali.

Nell’arco di un quarantennio, si è passati, nel groviglio complesso dei movimenti migratori, da presenze criminali straniere localizzate e sostanzialmente subalterne alle mafie nostrane a una situazione differente e in costante movimento, come è tipico delle organizzazioni criminali in relazione con la veloce trasformazione della società. Ci sono, cioè, consorterie, come quella cinese, dotate di un certo grado di storicità e formazioni più recenti, come quella albanese; strutture in grado di presentarsi da protagoniste nella gestione di traffici illeciti molto impegnativi (nigeriani e slavi nel mercato della cocaina) e gruppi criminali caratterizzati da una certa frammentazione e da una forma di subalternità rispetto ad altre organizzazioni, come dimostra il caso magrebino. Alcuni gruppi hanno elaborato forme di associazione che rientrano nella categoria di quelle di stampo mafioso, ad esempio per quanto concerne il controllo del territorio, e altri invece si specializzano in determinati tipi di reati. Come si vede, si tratta di un fenomeno frastagliato, in divenire e allarmante. È sufficiente sfogliare le relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia per cogliere, nel tempo, l’affiorare di un problema di cui, oggi, si riconosce l’urgenza. Sino alla fine degli anni Novanta, le relazioni dedicano uno spazio relativo alla questione, sottolineando la necessità di monitorare le organizzazioni straniere, quella cinese e quella russa in particolare, ma già lo snodo del nuovo millennio impone un’altra attenzione alle strutture criminali estere.

È il caso della criminalità nigeriana nel nostro Paese. Tale evoluzione si coglie con chiarezza dalle pagine delle relazioni della DIA, se ne scorge l’emergere quasi dal nulla. Quando, nel documento relativo al secondo semestre del 2002, compare un’analisi del caso nigeriano un po’ meno succinta di quelle precedenti, gli investigatori sottolineano come i criminali africani operanti in Italia abbiano scelto un profilo volutamente basso per restare lontani dal cono di luce delle agenzie di contrasto. Aspetto, questo, che non va dato per scontato, come sottolinea il già ricordato ‘quarto rapporto’ del prof. dalla Chiesa, comparando proprio la tendenza dei gruppi criminali nigeriani a non commettere reati socialmente allarmanti a differenza dell’atteggiamento di alcune consorterie delinquenziali dell’Est europeo, «statisticamente più inclini a commettere reati di maggior disturbo sociale». Quella nigeriana si caratterizza come una criminalità che si è allenata nel nostro Paese, ossia non ha importato con i flussi migratori dei criminali già sgrossati, che ha fatto esperienza dello stesso concetto di mafia in Italia, che può vantare un ampio network di contatti internazionali in virtù della presenza di connazionali in molte parti del mondo. Strutturata in cellule dotate di grande flessibilità, di una forte compattezza interna, legate su base etnica (in considerazione della divisione nella madrepatria in alcune etnie, fra le quali gli Igbo, gli Edo, gli Yoruba) e in continua interconnessione con i capi che risiedono in Nigeria, questa forma di aggregazione criminale appare in continua evoluzione, capace di incunearsi nelle realtà locali puntando, come si è detto, su un atteggiamento poco vistoso, andando a gestire attività o lasciate vuote dalle mafie autoctone, quali la prostituzione, o per le quali esistono introiti divisibili tra più operatori, come il traffico di stupefacenti. In effetti, sono proprio queste le due principali forme delinquenziali dei clan nigeriani, non senza che la capacità di adattamento ai diversi contesti, un’elevata perizia tecnica, il sistema reticolare di relazioni nel mondo contribuiscano ad allargare il ventaglio di interessi illeciti di tali consorterie: è il caso, ad esempio, della produzione di documenti falsi, delle truffe telematiche e per corrispondenza, delle truffe assicurative, del commercio illegale di rifiuti elettronici, del traffico illegale di rifiuti.

Insediatisi originariamente nel Sud Italia, in particolare nel Casertano, dove esistono tuttora, i criminali nigeriani si sono poi allargati nel resto della penisola, muovendosi tra Lombardia, Liguria, Veneto e Piemonte. Torino è diventata il quartier generale della tratta di giovani donne nigeriane, utilizzate come prostitute, e dei cosiddetti Culti, bande giovanili che traggono origine da gruppi sorti negli anni Cinquanta nelle università in Africa con finalità libertarie ed evoluti in senso criminale nei decenni successivi. Eye o Black Axe sono alcuni dei nomi di queste bande dedite al traffico di stupefacenti, alla frode, alle rapine e caratterizzate da forme di banditismo violento, generalmente rivolto all’interno della stessa comunità di appartenenza, che ha suscitato le reazioni dei vertici stessi della criminalità nigeriana, delle organizzazioni più solide e, come si è visto, orientate a un comportamento dal basso profilo, desiderose di operare sotto traccia. Nella fluida operatività delle forme criminali, i Secrets Cults hanno via via affiancato, nello sfruttamento della prostituzione, le cosiddette mesdames o madame o madam o maman. Si tratta di donne, a loro volta ex prostitute, che rappresentano un tratto caratteristico di questo universo criminale organizzato, giungendo ai vertici del complesso network nigeriano. Tradizionalmente, quindi, sono le donne che gestiscono le ragazze portate in Italia, un tempo, con la promessa di un lavoro e, più di recente, indotte alla schiavitù sessuale senza raggiri sulla vera attività da svolgere in Italia. Mentre, nel corso dei decenni, si è passati al reclutamento di donne non più provenienti dalle città nigeriane ma dalla campagna, con un’età e un livello di istruzione più bassi, è rimasto fisso il triplice vincolo attraverso il quale le future prostitute vengono soffocate nella maglia criminale. Al vincolo economico, per il debito contratto con chi ne paga lo spostamento, si affiancano, infatti, quello affettivo, ossia la relazione ambigua che si stabilisce tra maman e ragazza, giocato sul doppio registro della violenza e dell’affetto rassicurante, e, infine, quello religioso, in virtù della pratica dello ju-ju, culto originario nigeriano, esportato, un tempo, nelle zone caraibiche e conosciuto come voodoo. Attraverso tali riti, praticati prima di partire davanti a una figura religiosa locale, il native doctor, le ragazze promettono di risarcire il debito contratto con l’organizzazione criminale; la morte è la punizione evocata, anche a distanza, per il mancato rispetto di tale promessa o per la ribellione davanti alla coercizione imposta dalle madame.

Mentre gli uomini, come si è detto, tendono a entrare in un settore tradizionalmente gestito dalle mesdames (ogni giovane sfruttata sessualmente è legata a una maman in Nigeria e a una in Italia), queste ultime possono ritrovarsi nella filiera del traffico di stupefacenti, incrinando, in tal modo, le forme tradizionali di gestione dell’universo delinquenziale nigeriano. All’interno di un’azione criminale così duttile, che si muove tra gli estremi dell’alta competenza tecnologica e il richiamo ad antichi riti magico-superstiziosi, i gruppi nigeriani erano considerati già quindici anni fa di estrema pericolosità dal Sostituto procuratore della Repubblica, Giovanni Conzo, che ne individuava i caratteri dell’associazione mafiosa «sotto il profilo del metodo ‘violento’ scaturente dalla forza di intimidazione del vincolo associativo adoperato dai promotori dell’associazione per ottenere l’assoggettamento dei soggetti sfruttati a fine di prostituzione». Guardando alle caratteristiche sociali, politiche ed economiche di un paese segnato da una profonda precarietà economica, dalla diffusa corruzione, dall’instabilità politica, rafforzata nelle regioni del Nord dai gruppi terroristici di Boko Haram, non è difficile comprendere l’ampia possibilità di reclutamento di donne da destinare alla prostituzione e di individui disposti a entrare nel traffico di stupefacenti. Alla tratta umana ai fini dello sfruttamento sessuale o lavorativo, si associa infatti una dinamica e incisiva presenza della mafia nigeriana nello smistamento delle droghe: eroina, cocaina, cannabinoidi. Non è un Paese produttore, almeno in questi casi, la Nigeria: gli stupefacenti, giunti ora dall’Asia ora dal Sud America, vengono infatti stoccati in loco e poi diffusi a livello globale, attraverso l’uso dei ‘corrieri-ovulatori’, persone che, ingerendo in corpore le sostanze e muovendosi via aereo o via mare, approdano nei grandi mercati europei e statunitensi. Diverso è il caso delle droghe sintetiche, considerato che, già nel 2011, furono scoperti in Nigeria dei laboratori di sintetizzazione della metanfetamina, poi esportata nell’Asia orientale o mediorientale.

Si tratta, dunque, di un’organizzazione criminale di grande forza espansiva, capace di muoversi nell’universo mafioso con duttilità e perizia strategica, sia perché pare poco interessata a operare un controllo del territorio (e ciò elimina motivi di tensione con altre strutture criminali), preferendo il business al dominio territoriale, sia perché la reputazione positiva ritagliatasi nel tempo le consente di porsi su un piano di collaborazione fiduciaria con le mafie nostrane, camorra e ‘ndrangheta, soprattutto. Ciò non significa che gli analisti non mettano in guardia sui pericoli potenziali di eventuali conflitti nella nostra penisola tra le mafie locali e una consorteria criminale, quella nigeriana cioè, in grado di raggiungere ruoli di vertice nella gestione dei mercati illeciti. Nel suo rapporto, che è del 2017, il prof. dalla Chiesa sottolinea, ad esempio, come il principio della pacifica convivenza tra i gruppi criminali autoctoni e quelli stranieri «appaia oggi sottoposto a tensioni e incrinature di cui non è possibile prevedere gli sviluppi». Compaiono, in sostanza, segnali venati di scuro all’orizzonte degli equilibri interni alla galassia criminale nel nostro Paese; equilibri resi ancora più fragili dallo sviluppo di altre organizzazioni illecite, quelle albanesi o quelle slave o, ancora, quelle cinesi. Del resto, è difficile immaginare nel pianeta globalizzato la persistenza di una lingua ‘nazionale’ delle mafie. Anche le Onorate Società dovranno confrontarsi, e scontrarsi, con la multietnicità.

Fonti:
- Relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia; reperibili in Rete
- La criminalità nordafricana (a cura della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli), 2006; reperibile in Rete
- Quarto rapporto sulle aree settentrionali, per la Presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso (a cura dell’Osservatorio sulla Criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano), 2017; reperibile in Rete
- Mafia globale. Le organizzazioni criminali nel mondo (a cura di Nando dalla Chiesa), 2017, Laurana Editore
- Le capacità italiane di contrasto alla criminalità organizzata come strumento di stabilizzazione in Africa occidentale (a cura del Centro Studi Internazionali), 2019; reperibile in Rete


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