Ma il festival di Sanremo non è solo business

Il Festival di Sanremo non è solo business, non è solo infiocchettato di banalità ideologiche, è tanto altro. La società dello spettacolo va in scena, i contenuti (canzoni) sono sostituite dallo spettacolo...
Colpire e Domandare
Il Festival di Sanremo non è solo business, non è solo infiocchettato di banalità ideologiche, è tanto altro. La società dello spettacolo va in scena, i contenuti (canzoni) sono sostituite dallo spettacolo che riflette gli eccessi e i costumi del capitalismo, fino al nichilismo senza verticalità etica in cui l’intervento del Papa è all’interno di una successione di “colpi di scena” finalizzati ad alzare l’audience. Tutto è business e spettacolo, questi due elementi si fondono e confondono restituendoci l’immagine della decadenza.
La verità ha come succedaneo l’eccesso e l’omologazione. In questo minestrone senza sapore e senza profondità emerge il “politicamente corretto” che su tutto regna sovrano. Durante una conferenza stampa un giornalista ha chiesto al presentatore se è antifascista. Non si può non sorridere. Naturalmente il presentatore ha risposto di non esserlo, benché la domanda l’abbia giudicata giustamente anacronistica, e successivamente ha affermato, quasi a voler eliminare l’onta della risposta (anacronistico), che “dobbiamo essere antifascisti”:
“Voglio fare una precisazione, ieri ho detto che chiedere se uno è antifascista è anacronistico, l’ho detto perché tutti dobbiamo essere antifascisti”.
Dichiararsi “antifascisti”, oggi, è facile, poiché il fascismo è terminato quasi un secolo fa. Il difficile è dichiararsi, oggi, anticapitalisti o credenti ortodossi. La politica spettacolo porta a domande e risposte che non toccano il presente, anzi lo preservano, rimuovendolo.
Il presente è capitalismo, è mercificazione di ogni aspetto della vita umana. La musica è un prodotto, non è l’espressione dell’eccellenza umana (la ragion critica e la prassi politica), pertanto la domanda del giornalista rientra all’interno della banalità dei “grigi”. Primo Levi nei suoi testi descrive i “grigi” coloro che non si schierarono con il male, ma nulla fecero per impedire la sua proliferazione. I “grigi” sono mutati, sono spesso persone e intellettuali che si fingono impegnati e dimostrano, solo in apparenza, di essere sensibili alla vita politica, ma in realtà sono parte di un meccanismo pianificato per deviare l’attenzione dai drammi che lacerano il presente. Sono parte di un sistema di derealizzazione, essi lavorano per il grigiore, ovvero per il ritrarsi generale (grigiore) dalla concretezza materiale della realtà, ma in questo movimento si schierano per conservarla, anzi la esaltano, senza schierarsi in modo diretto. L’ambiguità regna, per cui mentre si canta e si applaude vi è un genocidio in corso e la politica è sostituita senza mascheramenti dai magnati dell’economia. Silenzio su tutto questo.
Nessuno osa chiedere al presentatore, se è per il capitalismo e per “questo capitalismo” che dona tre euro di aumento ai pensionati poveri, taglia il lavoro e i diritti sociali, ma offre diritti individuali per tutti, di cui usufruiranno solo le classi più abbienti. Le domande scomode non vengono mai poste, la parola non è mai pensiero, ma è solo banalità che serve a sostenere i processi in corso. La parola è diventata malvagia, essa anziché riportare l’essere umano alla socialità politica, anziché insegnargli a guardare contraddizioni e cause del male di vivere è divenuta una scialuppa per fuggire in una realtà altra e nel frattempo “il medesimo si ripete e impera”.
Il capitalismo pianifica i suoi oppiacei e nel contempo li ricopre di “finzioni impegnate”. I grigi del nostro tempo non si schierano, ma usano la parola in modo da rappresentare una parvenza di vita sociale e politica, ma essi si schierano sempre col più forte. I grigi del nostro tempo, dunque, sembrano essere tali, ma in realtà sono schierati col sistema. Le domande e le risposte sono parte di questo clima uggioso e plumbeo che sta divorando la nazione e l’occidente, ormai sterile, perché dal “grigiore schierato” non può che prodursi altro grigiore politicamente corretto. All’interno di questa realtà deprimente, mentre ci dicono che il “fascismo” è il male, viviamo il male del nostro tempo con la precarietà sul lavoro, le pensioni miserrime e i servizi sociali trasformati in aziende alla ricerca di clienti danarosi. Ila formazione universitaria è sempre di più online rigorosamente per benestanti.
Il male che fu non sufficientemente compreso a livello politico, il fascismo fase suprema del capitalismo, ha condotto alla passiva accettazione del nostro tempo e dunque al capitale ormai unico imperatore regnante, al quale si fa un inchino con simili domande. I grigi schierati sono, forse, una novità del nostro tempo, in cui tutto si mescola fina all’irrazionalità che tanto “bene fa” al capitalismo che come l’Innominato di Alessandro Manzoni, c’è ma bisogna piegarsi ad esso in religioso silenzio senza nominarlo.
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