Luce Irigaray
Genealogie femminili: un saggio di Luisa Muraro
[Dalla rivista telematica "Per amore del mondo" (nel sito: www.diotimafilosofe.it) riprendiamo il seguente testo, scritto nel settembre 1990 e pubblicato in traduzione inglese (di Patricia Cicogna) col titolo Female Genealogies, in Burke-Schor-Whitford (ed.), Engaging with Irigaray, Columbia University Press, New York 1994, pp. 317-333.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e’ tra le piu’ influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce Irigaray: Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e’ un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e’ mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L’oblio dell’aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996]
Il pensiero di Luce Irigaray si e’ sviluppato in un vivo rapporto di scambio
con la politica delle donne. Il tema delle genealogie femminili ne e’ un
esempio privilegiato.
Ci sono piu’ modi di accostare questo tema. Possiamo farlo a partire dal
nostro rapporto personale con la madre, che spesso e’ un campo di macerie.
La relazione figlia-madre e’ costantemente presente nell’opera di Irigaray a
cominciare da Speculum. De l’autre femme (1974), ancor prima che prenda
forma il tema che c’interessa, e a questo tema verra’ poi sempre associata.
Scrive Irigaray nel 1989: "Un crocevia perduto del nostro divenir donne si
trova nel confondersi e nell’annullarsi delle nostre relazioni con la madre
e nell’obbligo di sottometterci alle leggi dell’universo degli uomini"
(Irigaray 1989, p. 75) (1).
Possiamo parlare delle genealogie femminili partendo dalla realta’ sociale
comunemente osservabile, per esempio la scuola. "La scuola - ha detto
Irigaray -, il mondo sociale degli uomini, la cultura patriarcale hanno lo
stesso ruolo per le fanciulle che l’Ade per Core-Persefone", ossia, come una
potenza infernale che rapisce la figlia alla madre e la violenta. Continua
Irigaray: "Le giustificazioni portate per spiegare questo stato di cose sono
inesatte. Le tracce della storia della relazione fra Demetra e
Core-Persefone ci fanno capire ulteriori cose" (Irigaray 1989, p. 83) (2).
Sia l’esperienza personale sia la realta’ sociale portano i segni di una
sofferenza e di un disordine enigmatici, che fanno pensare a una violenza
profonda. Questa violenza, ci insegna Luce Irigaray, corrisponde alla
distruzione della relazione genealogica tra madre e figlia ad opera del
patriarcato.
*
Per esporre questo problema, una volta io mi sono basata sulla lettera di
una donna al giornale, una lettera comunissima che mostra, in filigrana, le
origini del patriarcato che si ripetono ai nostri giorni rinnovando nelle
donne sofferenza e confusione.
Ecco la lettera:
"Spett.le direttore, sono nata in una famiglia composta da quattro figli:
due maschi e due femmine; le femmine oggi sono sposate, i maschi no. Mio
padre ha sempre avuto grandi favori per i due maschi: mance piu’ generose,
piu’ liberta’ di costumi, cibo maggiormente sostanzioso: carne due volte al
giorno per i fratelli, per noi formaggio. Queste sue convinzioni che i
maschi fossero piu’ in tutto e che dovessero essere avvantaggiati in tutti i
modi e in tutti i campi per affrontare meglio la vita, le trasmise anche
alla mamma. Quando i fratelli furono adulti, costrui’, intestandola
direttamente a loro, una casa molto spaziosa e bella nel centro del paese,
usando i soldi della sua liquidazione e tutti i suoi risparmi. Quando
mori’... si arrivo’ ad una lite tremenda, alla fine della quale ci fu
intimato di non mettere mai piu’ piede nella loro casa (ove viveva pure la
mamma) e ci fu negato ogni contatto con lei, pena la minaccia di essere
citate per violazione di domicilio. In questo clima di tremenda tensione non
ho potuto vedere mia madre per quasi nove anni, trascorrere con lei qualche
momento, avere dei consigli: tutte cose che si ricordano con tanta tenerezza
nei momenti di dispiacere. Neppure a Natale e a Pasqua potevo porgerle gli
auguri, pur abitando a cinque minuti dalla sua abitazione!
Mi chiedo tristemente: allora e’ sempre la forza bruta che vince, a dispetto
dei legami affettivi madre-figlia? Tutte le leggi sull’uguaglianza dei sessi
non sono dunque rispettate e cedono alla violenza? Al piu’ forte? Mi auguro
che questa mia tristissima vicenda illumini quei genitori che ancora fanno
discriminazione fra i loro figli maschi e femmine, affinche’ cio’ non
succeda mai piu’.
Antonietta X".
Per commentare questa lettera mostrai i punti di contatto e di divario che
ha con il mito di Demetra e Core (Muraro 1988, pp. 24-28) ispirandomi a Luce
Irigaray sia per il modo di usare i miti, in chiave storica, sia per
l’interpretazione del mito di Demetra.
Oltre all’esperienza personale e alla realta’ sociale, anche i documenti
storici possono offrire una buona introduzione al nostro tema. Portero’ come
esempio, fra i molti, il processo di condanna di Giovanna d’Arco. Il
processo di Giovanna d’Arco puo’ essere riguardato come un rinnovato assalto
della trionfante religione del padre alle antiche genealogie femminili,
ancora sotterraneamente vive. Dice Giovanna nella prima udienza pubblica:
"Tutto quello che so, lo so da mia madre". E’ di grande interesse notare,
anche per noi oggi, come ella si distacchi dalla madrina che aveva fede
nelle fate, si distacchi cioe’ dalle antiche genealogie femminili, ma non le
rinneghi e le riproduca anzi nel contesto della religione ufficiale: tutta
la sua vita infatti e’ governata dalle sante Caterina e Margherita, che la
consigliano, la confortano, le danno forza e le parlano a nome di Dio.
La mitologia greco-romana offre un altro approccio, quello preferito da Luce
Irigaray, al tema che ci interessa. Altri ancora sono sicuramente possibili,
come la letteratura e penso a Ellen Moers, Literary Women. E’ chiaro che i
diversi approcci non si escludono ma, al contrario, possono combinarsi fra
loro.
Elencando i diversi approcci, ho voluto dare una prima definizione del
concetto di genealogie femminili. Non e’ una definizione di tipo classico,
e’ evidente. E’ una definizione contestuale o, piu’ precisamente, indicale
(riprendo il termine da Peirce), come quando si punta un indice e si dice:
"E’ questo". Perche’ non ho dato una classica definizione? Perche’ non e’
possibile. Questo tema si trova infatti sul confine tra dicibilita’ e
indicibilita’, come del resto molta parte, non sappiamo quanto grande,
dell’esperienza femminile. Quando si tratta, come in questo caso, di portare
a dicibilita’ un reale non codificato, bisogna che il campo semantico si
apra come il mar Rosso, per far passare le cose (l’esperienza), e le sole
definizioni valide sono quelle basate su segni indicatori.
Luce Irigaray non da’ alcuna definizione convenzionale delle genealogie
femminili, e ben poche definizioni di questo tipo, in generale.
*
La produzione di Luce Irigaray si ripartisce fra due registri, quello della
pura scrittura (cui appartengono Speculum, Amante marine, Passions
elementaires, L’oubli de l’air) e quello della parola orale, conferenze per
lo piu’, tradotta in scrittura. Il tema delle genealogie femminili e’
presente solo nella produzione del secondo tipo e compare per la prima volta
nella conferenza di Montreal del 1980, Le corps a’ corps avec la mere
(Irigaray 1987, pp. 19-33). Si tratta dunque di un tema che appare
relativamente tardi e associato alla pratica dell’insegnamento orale, un
insegnamento libero, quasi sempre voluto e spesso organizzato da donne per
donne.
Queste circostanze sono, secondo me, significative. Mostrano come questo
tema si formi e si sviluppi nell’incontro diretto di Luce Irigaray con la
politica delle donne. La principale pratica politica di Irigaray e’ quella
del magistero e le genealogie femminili ne sono il frutto per me migliore.
Le giudico infatti di fondamentale importanza nella presa di coscienza
femminile.
*
Nella conferenza di Montreal (Il corpo a corpo con la madre) la relazione
genealogica fra donne compare dapprima come qualcosa di negato.
Questa negazione e’ rappresentata dalle figure mitologiche della dea Atena e
di Elettra nell’Orestea di Eschilo. L’Orestea, ciclo di tre tragedie, narra
la storia del re Agamennone che torna in patria dalla guerra di Troia e
viene ucciso dalla regina Clitennestra, e poi del loro figlio Oreste che,
aiutato dalla sorella Elettra, uccide la madre per vendicare il padre, e
viene perseguitato dalle Erinni finche’ trova scampo a Delfi dove Apollo e
Atena lo salvano dalla punizione dei matricidi. Nelle Eumenidi, la terza
tragedia, Apollo difende il matricida Oreste con questo argomento:
"Non e’ la madre che genera chi e’ chiamato suo figlio,
ma solo nutrice e’ del seme gettato in lei.
Genera l’uomo che la feconda: ella, come ospite
a ospite, conserva il germoglio, se un dio non lo soffoca prima.
Ti offro la prova di questo argomento:
padre senza madre e’ possibile.
Una testimonianza e’ qui vicina, presente: Atena,
la figlia di Zeus,
che non crebbe nel cavo ombroso di un seno"
(vv. 658-666).
Nell’Orestea Luce Irigaray legge l’instaurarsi violento della societa’
patriarcale. Pe lei i miti hanno valore storico: "(...) il mito non e’ una
storia al di fuori della Storia, ma la riassume attraverso immagini che
riassumono le grandi tendenze di un’epoca" (Irigaray 1989, p. 76) (3).
Questa tesi e’ implicitamente critica verso l’interpretazione metastorica
del mito di Edipo da parte del freudismo. A Irigaray, piu’ che la critica,
interessa guadagnare l’uso positivo dei miti. L’antica mitologia prova
l’esistenza di una societa’ ginecocratica prima del patriarcato, sostiene
Irigaray rinverdendo la nota teoria di Bachofen. Il modo mitologico di
narrare la storia, ella spiega, dipende dal fatto che allora parola e arte
non erano separate. C’era allora un altro rapporto con lo spaziotempo. E
conclude: "L’espressione mitica della Storia e’ piu’ vicina alle tradizioni
femminili e matrilineari" (Irigaray 1989, p. 76) (4).
Occorre pero’ tener conto che i miti pervenuti a noi sono una messa in scena
gia’ patriarcale, che mira a nascondere piu’ che a mostrare, a istruire piu’
che a raccontare. Irigaray parla di un mascheramento operato dalla cultura
patriarcale. A questo proposito, in una recente serie di conferenze tenute
nell’Italia meridionale, ella fa una precisazione che suona discutibile:
"Questa cultura patriarcale ha cancellato, forse per ignoranza o
incoscienza, le tracce di una cultura anteriore o simultanea ad essa"
(Irigaray 1989, p. 76) (5). L’ipotesi dell’ignoranza o dell’inconsapevolezza
si accorda male con quello che la stessa Irigaray aveva detto a Montreal nel
1980, che a fondamento della civilta’ presente c’e’ un matricidio impunito:
"Oreste uccide la madre perche’ lo esige l’impero del Dio Padre e lo esige
il suo appropriarsi delle potenze arcaiche della madre terra" (Irigaray
1987, p. 22) (6). Se questo e’ vero in un qualche modo (e per Irigaray i
miti sono veri in modo storicamente determinato), l’ignoranza e
l’inconsapevolezza del patriarcato mi sembrano finte.
Non si tratta d’incoerenza da parte di Irigaray, ma del movimento del suo
pensiero. Su questo punto specifico l’instabilita’ viene, secondo me, da una
contraddizione che si manifesta in un fatto paradossale, e cioe’ che nella
societa’ patriarcale i figli maschi hanno con la madre un rapporto di gran
lunga migliore delle figlie. Quando Irigaray attenua la polemica nei
confronti del patriarcato, lo fa, secondo me, per il contraccolpo di questa
contraddizione.
Nella conferenza di Montreal ella allude all’enigma irrisolto del nostro
rapporto con la madre, dicendo: l’uccisione di Clitennestra rende folli sia
Oreste sia Elettra, ma Oreste guarisce con l’aiuto di Apollo mentre Elettra
resta pazza (Irigaray 1987, p. 22). Ma piu’ avanti invita le ascoltatrici a
"uscire da un mondo di follia che non e’ il nostro" (p. 28). Piu’ avanti
ancora, torna a fare una allusione, sia pure velata, alla nostra follia: noi
donne dobbiamo badare a "non riuccidere la madre che e’ stata immolata
all’origine della nostra cultura" (p. 29) (7). Immolata, s’intende, dal
figlio per conto del padre. In cio noi saremmo coinvolte piu’ come complici
o imitatrici dell’uomo che come responsabili dirette.
La contraddizione resta dunque presente ma inesplorata. Cio’ si riflette
nella forma della conferenza, composta da una prima parte che interessa
fondamentalmente gli uomini e ha forma teorica, e una seconda parte, rivolta
specialmente alle donne, che ha forma di esortazione: "E’ urgente che ci
rifiutiamo... E’ necessario anche che noi... Dobbiamo essere attente a
un’altra cosa..." (8) e cosi’ via fino alla fine. Questa forma del discorso
sembra dire che non ci sia niente da capire, niente da spiegare nel nostro
rapporto con la madre, ma solo qualcosa da migliorare, e che il problema
riguardi quasi esclusivamente gli uomini.
E’ in questa serie finale di esortazioni, tutte d’innegabile valore morale e
politico, che a un certo punto prende forma positiva il concetto di una
relazione genealogica tra donne, con queste precise parole: "E’ necessario
anche, se non vogliamo essere complici dell’uccisione della madre, che
affermiamo che esiste una genealogia di donne" (Irigaray 1987, p. 30) (9).
Questa genealogia e’ duplice. C’e’ una genealogia basata sulla procreazione,
che ci lega alla madre, a sua madre e cosi’ via, la maternita’ operando come
la struttura di un continuum femminile che ci congiunge ai primordi della
vita. Mettiamolo in parole, dice Irigaray: "Dobbiamo inoltre trovare,
ritrovare, inventare le parole, le frasi che dicono il rapporto piu’ arcaico
e piu’ attuale con il corpo della madre" (p. 29) (10). I tre verbi: trovare,
ritrovare, inventare, hanno significato diverso e sono messi insieme per un
preciso effetto di senso. In Irigaray sono frequenti le costellazioni
semantiche di questo tipo, che mirano a un determinato effetto di senso, che
qui e’ d’illuminare il nostro rapporto con una realta’ vicinissima e remota.
C’e’, d’altra parte, una genealogia basata sulla parola. "Non dimentichiamo
nemmeno che abbiamo gia’ una storia, che certe donne, anche se era
culturalmente difficile, hanno segnato la storia, e che troppo spesso noi
non ne abbiamo conoscenza’ (p. 30) (11), dice Irigaray facendo un
riferimento non frequente in lei all’opera di altre donne. La prima pratica
"genealogica" nel femminismo e’ consistita proprio nel fare conoscenza delle
donne che hanno marcato il nostro passato, sia biografico sia storico. Luce
Irigaray suggerisce dunque questa interpretazione per la straordinaria
fioritura di ricerche storiche che ha accompagnato il femminismo: come mossa
dall’amore della genealogia materna e dalla volonta’ di restituirle
simbolicamente la vita.
La conferenza di Montreal termina con una figura che cerca di esprimere la
nuova idea in maniera intuitiva: "Una donna celebrante l’eucarestia con sua
madre, spartendo con lei i frutti della terra da lei, da loro due benedetti,
potrebbe liberarsi dall’odio o dall’ingratitudine verso la sua genealogia
materna" (p. 32) (12). E’ una figura che trovo macchinosa ma degna di
attenzione. Mostra lo sforzo politico e filosofico di significare qualcosa
che la nostra cultura aveva reso impensabile, e la fatica per superare la
barriera di questa impensabilita’, una barriera costituita anche da "odio" e
"ingratitudine" di donne fra loro.
In questa stessa direzione, nel 1986, Luce Irigaray diede un suggerimento
ai/alle dirigenti di un partito politico italiano: mettere nei luoghi
pubblici delle immagini (foto, pitture, sculture ecc.) rappresentanti madri
e figlie insieme (cfr. Irigaray 1987, p. 212; 1989, pp. 8-10) (13). Questa
preoccupazione per la possibile traduzione pratica e’ un aspetto non
secondario del pensiero di Irigaray.
La figura di madre e figlia concelebranti l’eucarestia sembra avere una
doppia provenienza: dall’immaginario di una paziente di Luce Irigaray, da
una parte (cfr. Irigaray 1987, pp. 35-36) (14), e dalla coppia mitologica
Demetra e Core, dall’altra. Queste due divinita’, madre e figlia,
all’origine dei misteri eleusini, diventeranno per Irigaray la
rappresentazione preferita della genealogia femminile.
*
Luce Irigaray riprende il tema nel 1982, in una serie di lezioni tenute
all’Universita’ di Rotterdam e pubblicate due anni dopo con il titolo Etique
de la difference sexuelle (Etica della differenza sessuale).
Occorre forse precisare che "etica" in Irigaray ha un significato vicino
alla eticita’ (Sittlichkeit) di Hegel, sebbene ella porti alcune correzioni
alla concezione hegeliana (cfr. Irigaray 1987, p. 147, nota 1) (15). Cosi’
intesa, l’etica oltrepassa la morale e comprende il diritto, le
consuetudini, le leggi scritte e non scritte, la religione...
In un catalogo librario Usa ho trovato il nome di Irigaray associato a
quello di due esponenti del cosiddetto post-strutturalismo francese (che in
passato venivano considerati, piu’ semplicemente, strutturalisti). Un simile
accostamento forse e’ di moda ma e’ fuorviante, a mio giudizio. La
decostruzione delle forme culturali ricevute non e’ mai un fine per
Irigaray. Ella e’ una pensatrice politica, almeno quanto lo fu Hegel nel
contesto della cultura della borghesia uscita vittoriosa dalla rivoluzione
del 1789. Questo parallelo non significa, sia chiaro, una vicinanza; Luce
Irigaray e’ distante e in alcuni punti agli antipodi di Hegel.
L’esistenza di genealogie femminili costituisce per Irigaray una necessita’
di natura etica, nel senso indicato sopra. Questa posizione comincia a
delinearsi con l’Etica della differenza sessuale.
Affinche’ non si ripeta il destino di Antigone, dice Irigaray con
riferimento alla tragedia omonima di Sofocle, bisogna che il mondo delle
donne dia vita a un suo ordine etico. Le donne, aveva detto prima, sono
impedite di agire eticamente; cio’ significa che sono impedite di
partecipare in maniera autonoma ed efficace alla vita della polis,
l’impedimento primo essendo rappresentato dalla mancanza di un linguaggio
sessuato femminile.
E’ necessario dunque dar vita a un ordine etico fra donne, il quale avra’
almeno due dimensioni, una verticale nella linea genealogica madre-figlia, e
una orizzontale, quella ben nota della sorellanza (cfr. Irigaray 1984, pp.
86-87) (16).
Sono poche righe di grande peso. Esse segnano quella che io considero la
caratteristica maggiore del nostro presente rispetto al femminismo degli
anni Sessanta-Settanta. Allora si concepivano e praticavano rapporti tra
donne all’insegna della sorellanza. Eravamo sorelle nella lotta contro
l’oppressione patriarcale. Madre e figlie si’, ma in realta’ sorelle contro
tutto cio’ che ci nega: sono le parole con cui una grande scrittrice
femminista dipinse il suo rapporto con la figlia. Non sapevamo che posto
attribuire alla madre. C’e’ un passo di Adrienne Rich, in Nato di donna, che
voglio citare estesamente perche’ esprime bene il limite della sorellanza
con la consapevolezza che potevamo averne negli anni Settanta:
"Era troppo semplice per noi, all’inizio di questa nuova ondata di
femminismo, analizzare l’oppressione delle nostre madri, capire
’razionalmente’ e correttamente perche’ le nostre madri non ci abbiano
insegnato a essere amazzoni, perche’ ci abbiano fasciato i piedi o
semplicemente abbandonate. Quell’analisi era esatta e persino radicale;
eppure come tutte le analisi ristrette presupponeva che la conoscenza
razionale fosse tutto. C’era e c’e’, in gran parte di noi, una donna-bambina
che desidera ancora le cure, la tenerezza e l’approvazione di una donna, il
potere di una donna esercitato in nostra difesa (...). Quando riusciremo ad
affrontare e a districare questo paradosso, questa contraddizione, a vedere
fino in fondo la passione confusa di quella lontana bambina, potremo
cominciare a trasformarla, e la rabbia cieca e il rancore che esplodono
ripetutamente tra le donne che insieme si sforzano di costruire un movimento
potranno essere trasfigurati. Prima del legame tra sorelle c’era il legame -
transitorio, frammentato forse, ma fondamentale e cruciale - tra madre e
figlia" (Rich 1977, pp. 227-228).
La verticalita’, cito nuovamente da Irigaray, e’ una dimensione negata al
divenire donna nella nostra cultura. "Il legame tra madre e figlia, figlia e
madre deve spezzarsi perche’ la figlia divenga donna" (Irigaray 1984, p. 87)
(17). E’ questa, notoriamente, la posizione di Freud nella lezione 33
dell’Introduzione alla psicoanalisi, con la quale egli assolutizza quello
che noi ora sappiamo essere storicamente determinato. "La genealogia
femminile - questo e’ il dato culturale nelle parole di Irigaray - deve
essere soppressa, a vantaggio della relazione figlio-Padre,
dell’idealizzazione del padre e del marito come patriarchi" (p. 87) (18).
La mancanza di espressione simbolica della disparita’ tra madre e figlia e’
causa non solo di infelicita’ nel loro rapporto ma anche, come intuisce
Adrienne Rich, dei conflitti piu’ aspri fra donne. Il legame genealogico,
secondo Irigaray, da una parte serve a simbolizzare quello che passa tra
madre e figlia, facendoci superare il regime patriarcale dell’indifferenziaz
ione e rivalita’ fra donne (cfr. Irigaray 1984, pp. 82-84) (19). Dall’altra,
esso ci apre la dimensione di un di piu’ di segno femminile e ci da’ l’idea
di un divenire donna nella fedelta’ al nostro sesso.
*
Il tema delle genealogie femminili riguarda il nostro presente.
La sua attualita’ e’ confermata da una pubblicazione di quegli anni il cui
titolo, Le madri di tutte noi (1982), riprende l’appellativo dato in una sua
commedia da Gertrude Stein a Susan B. Anthony, the mother of us all. Far
entrare la parola "madre" nel nostro linguaggio politico, spiegano le
autrici di quella pubblicazione, ha rivoluzionato i rapporti fra noi e con
il mondo (cfr. Libreria delle donne di Milano 1987, p. 127 sgg.).
Similmente si esprime Irigaray in una conferenza del 1984, Femmes divines
(Donne divine), chiamando la genealogia "la nostra incarnazione generica",
la nostra incarnazione nel genere femminile (Irigaray 1987, p. 84) (20).
Fra le conferenze di Irigaray, questa e’ la mia preferita. Ha un grande
valore politico, sebbene non sia evidente a prima vista. L’autrice torna a
ribadire la necessita’ di una dimensione verticale per la liberta’
femminile, dimensione rappresentata dalla relazione genealogica e, al tempo
stesso, dalla relazione della donna con il divino.
In seguito, in una conferenza intitolata L’universel comme mediation
(L’universale come mediazione) di cui parlero’, Irigaray introduce una
distinzione fra i due riferimenti, divino e genealogico, come distinzione
fra gli antenati e dio: gli antenati, ella dice, manifestano una genealogia,
una storia, non un infinito (Irigaray 1987, p. 153) (21). Ma io penso che
questa distinzione sia rispondente allo stato della cultura maschile piu’
che alla politica delle donne.
Donne divine fu rivolto a un pubblico tutto di donne. Prendendo le mosse da
L’essenza del cristianesimo di Feuerbach, l’autrice afferma che il nostro
venire alla liberta’ e divenire nella liberta’, domandano che noi
immaginiamo il nostro dio: un dio "che s’incarna al femminile, attraverso la
madre e la figlia, e nei loro rapporti" (Irigaray 1987, p. 85) (22). Per
essere libere, infatti, non basta ribellarsi all’oppressione; bisogna in
piu’ avere una meta e una o piu’ leggi. Conclude che "un dio femminile e’
ancora da venire" (p. 80) (23).
Su quest’ultimo punto, non sono d’accordo con Irigaray. Poiche’ c’e’
liberta’ femminile, per me vuol dire che il dio di cui ella parla e’ venuto.
Non posso soffermarmi sui punti di mio non accordo con il pensiero di Luce
Irigaray; non sono dicibili in poche parole da me che ho ricevuto nutrimento
da quel pensiero. E’ pero’ opportuno che io vi accenni, in quanto toccano
l’argomento che sto trattando. Luce Irigaray intreccia il tema delle
genealogie femminili con quello della relazione fra uomo e donna. Io
riconosco e mi rallegro che l’esistenza di genealogie femminili dia luogo
alla liberta’ anche nella relazione fra i due sessi, ma lo considero un
effetto e non un fine; io do’ la dignita’ di fine unicamente alla liberta’
femminile e a cio’ che e’ indispensabile per questa.
*
Con la conferenza intitolata L’universale come mediazione del 1986, il tema
delle genealogie femminili trova collocazione in una scena piu’ vasta.
Questa conferenza, che ha avuto piu’ presentazioni a cominciare da quella
fatta al XVI Internationaler Hegel-Kongress, e’ la maggiore per impegno
filosofico e politico dell’autrice, paragonabile a un affresco medioevale
della fine del mondo. Non di una fine si tratta in questo caso, ma del
possibile passaggio a un nuovo mondo.
I molti contenuti che troviamo sparsi nelle altre conferenze, qui si
raccolgono intorno all’idea espressa dal titolo. Oggi, dice Irigaray, si
incomincia a riconoscere i limiti della nostra civilta’, dominata da
problemi di accrescimento dei beni e incapace di custodire la vita, ma si
stenta a operare le necessarie correzioni anche per una concezione rigida e
arbitraria dell’universale. E propone in alternativa di concepire
l’universale nella forma della mediazione (Irigaray 1987, pp. 147-148) (24).
Secondo Irigaray, lo squilibrio del nostro ordine sociale viene dalla
"separazione tra i generi" (p. 149) (25), che e’ anche separazione storica
per l’alternarsi prima di un’epoca ginecocratica e poi di un’epoca
patriarcale. In tal modo, i due generi non si sono mai incontrati veramente.
Cio’ chiarisce il significato della mediazione, che deve aver luogo, in
primis, fra i due sessi. Inoltre, questo ci avverte che ora il tema delle
genealogie femminili sara’ trattato in rapporto alla costituzione di un
mondo etico di donne e uomini insieme, mentre prima riguardava il mondo
delle donne fra loro.
*
L’impegno teorico e pratico di Irigaray per l’edificazione di un mondo etico
di donne e uomini insieme, restera’ costante. In questo contesto il nostro
tema si arricchisce soprattutto dal suo combinarsi con i temi piu’ esplorati
in questi anni, che sono il diritto, il linguaggio, la religione.
Quasi tutte le conferenze successive a L’universale come mediazione
contengono riferimenti alle genealogie femminili, a riprova dell’importanza
che Luce Irigaray continua a riconoscergli. Questa importanza viene da lei
esplicitamente affermata, per esempio dicendo che "e’ necessario che entri
nella Storia l’interpretazione dell’oblio delle genealogie femminili ed e’
necessario che se ne ristabilisca l’economia" (Irigaray 1989, p. 83) (26).
Segnalo specialmente Une chance de vivre (Una possibilite’ di vivere,
Irigaray 1987, pp. 205-231; 1989, pp. 1-26) (27) e Le mystere oublie’ des
genealogies feminines (Il mistero dimenticato delle genealogie femminili,
Irigaray 1989, pp. 67-84) (28), da cui viene la citazione appena fatta.
In quest’ultima conferenza Irigaray solleva una questione che potrebbe
prestarsi a sviluppi interessanti. Perche’, ella si chiede, le genealogie
femminili furono distrutte? Ma risponde con una brevita’ sfuggente: "Per
stabilire quell’ordine di cui l’uomo aveva bisogno, ma che non corrisponde
ancora a quello del rispetto e della fecondita’ della differenza sessuale"
(p. 82) (29). Sembra che l’autrice voglia attenuare la realta’ del dominio
sessista ricorrendo a una razionalizzazione del passato e ad un’aspettativa
per il futuro.
*
A questa conferenza ho gia’ accennato: e’ in questo testo che Irigaray
ipotizza ignoranza o inconsapevolezza del patriarcato nella cancellazione
della cultura basata sulle genealogie femminili. Sempre in questa conferenza
ella dice che il patriarcato "e’ fondato sul rapimento e sulla violenza che
distrugge la verginita’ della fanciulla e l’uso di questa in un commercio
fra uomini" (p. 84) (30), con riferimento al mito di Core e alla teoria di
Levi-Strauss sullo scambio delle donne. Nella conferenza di Montreal, dove
per la prima volta si parla di genealogie femminili, Irigaray aveva detto
che il patriarcato e’ fondato sull’uccisione della madre per assicurare il
potere del padre e del marito.
Come ho gia’ detto, queste oscillazioni sono riconducibili secondo me a una
contraddizione non risolta dalla politica delle donne e manifesta nel fatto
paradossale che nella societa’ che noi chiamiamo patriarcale i figli maschi
hanno con la madre un migliore rapporto delle figlie. Il femminismo ha
fornito delle spiegazioni di questo fatto, ma sono razionalizzazioni, come
osserva Adrienne Rich nel passo citato sopra.
In ogni caso, quel fatto resta ed e’ un paradosso che incrina la nostra
causa alle radici. Infatti, e’ possibile dimostrare che una parte della
virulenza (la "rabbia") con cui le femministe attaccano il potere maschile,
altro non sia che lo spostamento di una non risolta avversione nei confronti
della madre, avversione che in maniera latente e’ sempre pronta a rivoltarsi
contro di se’ o altre donne, specialmente contro quelle che riproducono
qualcosa della figura della madre.
Il valore politico del tema delle genealogie femminili e’ in rapporto a
questa contraddizione e al suo superamento. Nasce la questione di capire
quello che capita di questo valore passando dalla prima impostazione - dar
vita a un ordine etico tra donne - alla piu’ recente, dar vita a un ordine
etico di donne e uomini insieme. Si mantiene? Si perde? Cambia?
I testi di luce Irigaray ci offrono a questo proposito una pista
interessante, costituita da una serie mutevole d’interpretazioni della
figura di Antigone.
*
Ricordo brevemente le caratteristiche di Antigone. E’ la protagonista
dell’omonima tragedia di Sofocle. Figlia di Edipo e Giocasta, dopo aver dato
assistenza al padre cieco e disperato, si ribella al tiranno di Tebe,
Creonte, fratello di Giocasta, il quale ha proibito di seppellire il
fratello di Antigone, morto nel tentativo di togliere il potere allo zio.
Antigone da’ sepoltura al fratello e viene percio’ condannata da Creonte a
essere sepolta viva in una grotta, dove ella si toglie il poco di vita che
le rimane, impiccandosi.
Inizialmente Antigone non e’ per Irigaray la figura eroica che e’ invece
nella tradizione maschile. A Irigaray Antigone appare una figura ambigua, in
senso letterale, cioe’ discorde, esposta a interpretazioni contrastanti e
percio’ bisognosa d’interpretazione femminile che la faccia uscire
dall’imprigionamento nell’ordine simbolico degli uomini.
Scrive in Etica della differenza sessuale: "Ritorno dunque al personaggio di
Antigone, non per identificarmi in esso. Antigone, l’antidonna, e’ ancora
una produzione della cultura scritta dai soli uomini". Ma, aggiunge, bisogna
farla uscire dalla notte, dall’ombra, dalla pietra (Irigaray 1984, p. 94)
(31).
Di Antigone Irigaray aveva gia’ scritto in Speculum, nel capitolo su Hegel.
Antigone vi e’ presentata come donna muta, mossa ad agire dal desiderio
della madre, desiderio che incarna il loro fratello-figlio morto in guerra:
"Per questo la sorella si strangolera’, per salvare almeno il figlio di sua
madre. Si togliera’ il respiro - la parola, la voce, l’aria, il sangue, la
vita - (...) perche’ viva in eterno il fratello, il desiderio di sua madre"
(Irigaray 1974, p. 203) (32).
Anche in Etica Antigone raffigura l’imprigionamento della donna in un ordine
simbolico che non e’ il suo, e la paralisi in cui si trova di conseguenza il
mondo delle donne. Come si ricordera’, Irigaray introduce il principio della
duplice dimensione, verticale e orizzontale, dei rapporti fra donne,
dicendo: "Affinche’ questo destino di Antigone non debba ripetersi..."
(Irigaray 1984, p. 86) (33).
*
In una conferenza del 1985 a Rotterdam, Le genre feminin (Il genere
femminile), Luce Irigaray risolve l’ambiguita’ di Antigone presentandola
come la figura della donna che non da’ segno di appartenere al suo sesso e
alla genealogia della madre. Antigone, dice Irigaray, appartiene al mondo
degli uomini, non e’ donna divina, non assolve il compito che le incombe in
quanto "appartenente al genere femminile". Ella e’ gia’ al servizio del dio
maschile, e’ al servizio dello Stato, assiste gli uomini nei loro conflitti
per il potere; l’opposizione che la vede protagonista, e’ apparente (cfr.
Irigaray 1987, pp. 128-134) (34). "Antigone e’ gia’ la rappresentante, il
rappresentante, dell’altro del medesimo" (p. 129) (35), che vuol dire:
figura del femminile a misura d’uomo.
Questa conferenza precede di poco e prepara in molti punti quella intitolata
L’universale come mediazione (1986), ma non ne condivide la caratteristica
di quadro sintetico; l’accento viene messo piuttosto sulle contraddizioni.
Il suo punto positivo, che fa da perno al discorso, e’ il concetto di
appartenenza al genere femminile. Il giudizio su Antigone, donna sola che si
mobilita fino alla morte in un mondo di uomini, viene di conseguenza.
*
Anche da questo punto di vista, L’universale come mediazione e’ una svolta.
Dopo questa conferenza, infatti, l’interpretazione di Antigone cambia
completamente.
Nel 1988, alla festa dell’Unita’ (il quotidiano del Partito comunista
italiano), davanti a un grande pubblico di uomini e donne, Irigaray ha fatto
un elogio incondizionato di Antigone. Antigone, disse, difende la convivenza
civile su alcuni punti di grande valore fra cui il rispetto per l’ordine
cosmico e per la genealogia materna. La sua fine tragica va imputata
unicamente al tiranno che non rispetta le leggi piu’ elementari dellordine
sociale. Antigone, disse ancora Irigaray, ci da’ un esempio degno di essere
meditato ai nostri giorni, e parlo’ di un diritto civile (era il tema della
conferenza) da ripensare "alla luce della verita’ di Antigone" (Irigaray
1989, pp. 51-53) (36). Dira’ ancora Irigaray, tornando a legare il recupero
di Antigone al tema delle genealogie femminili, che Antigone e’ la donna la
cui "fede" e "fedelta’" alla genealogia materna sono punite con la morte da
un tiranno per assicurarsi il potere politico (p. 75) (37).
I miti non sono univoci, afferma Irigaray (p. 71) (38). D’accordo, ma fino a
questo punto? A questo punto difficilmente potremmo farne uso per la
conoscenza del passato, come propone Irigaray.
Consideriamo pero’ che un cosi’ drammatico cambiamento d’interpretazione
riguarda unicamente Antigone. Siamo in presenza di un caso eccezionale.
Riprendo cosi’ la domanda che facevo sopra: come si ripercuote sul tema
delle genealogie femminili la svolta rappresentata da L’universale come
mediazione? A questa domanda ne ho affiancata una piu’ semplice: perche’ nel
passaggio dal primo contesto, ordine etico fra donne, al secondo, ordine
etico di donne e uomini insieme, il giudizio su Antigone cambia?
L’Antigone della tragedia di Sofocle e’ un’eroina politica. Il cambiamento
di giudizio su di lei segnala abbastanza ovviamente un cambiamento
riguardante la politica.
Il cambiamento non riguarda direttamente ne’ il tema delle genealogie
femminili ne’ la pratica politica delle relazioni tra donne, la cui
validita’ Luce Irigaray trova il modo di ribadire, per esempio nel 1988
ragionando sulle forme linguistiche che ostacolano il significarsi del
femminile per se stesso: "Altra soluzione ugualmente necessaria: ristabilire
le genealogie femminili e le comunita’ di donne fra loro" (Irigaray 1989, p.
33) (39).
Antigone, d’altra parte, e’ l’eroina dell’azione dimostrativa e della
testimonianza, che non si pone il problema dell’azione efficace. Questo e’
un aspetto su cui Irigaray insiste quando dice di Antigone che e’ la
rappresentante dell’altro del medesimo, ossia la donna a misura d’uomo. La
donna come l’uomo la concepisce, dice Irigaray, e’ priva dell’efficacia del
suo essere donna, e’ sostanza privata di effettualita’, e cita una filosofa
americana che a questo proposito avrebbe parlato di "vampirismo metafisico"
(Irigaray 1987, pp. 139-140) (40). Ad Antigone con la sua "apparente
opposizione", Irigaray oppone il genere femminile che, "secondo l’ordine del
suo divenire etico, lotta con se stesso, tra luce e ombra, per divenire cio’
che e’ individualmente e collettivamente. Questa crescita, parzialmente
polemica tra coscienza e inconscio, immediatezza e mediazioni, madre e
donna, deve permanere aperta ed infinita per e nel genere femminile" (p.
139) (41).
Di questo argomento dell’efficacia o effettualita’ (la filosofia antica
parlava di energeia), non troviamo piu’ traccia nel successivo elogio di
Antigone: non le viene attribuita (come invece la fedelta’ alla genealogia
materna) ne’ negata. Cosi’, tacitamente, l’azione etica si distacca
dall’azione efficace.
*
E’ su questo punto, io penso, che la concezione politica di Irigaray si e’
modificata con il passaggio rappresentato da L’universale come mediazione.
Irigaray allarga l’orizzonte e lo occupa degnamente con il suo pensiero, ma
e’ un pensiero che per la sua efficacia deve dipendere da altro e altri.
Prima, chiaramente, ella pensava non ad un’efficacia esteriore ma all’azione
trasformatrice che sviluppa la sostanza vivente. Nella sostanza vivente del
femminile in divenire Irigaray comprendeva, come abbiamo visto, anche la
relazione madre-donna. Quella pagina de Il genere femminile e’ per me la
piu’ alta della filosofia politica di Irigaray.
Occorre pero’ aggiungere che Irigaray vi parlava dell’efficacia del genere
femminile non come di una realta’ da lei sperimentata ma come di una realta’
mancante, cosi’ come in Donne divine dice che il dio femminile deve ancora
venire. La mia posizione diverge in cio’ da Irigaray, come ho detto. Non
devo sottovalutare questo divario, che si apre prima di quella che io chiamo
una svolta nel pensiero di Irigaray, svolta che dal punto di vista di lei
deve apparire meno grande che dal mio: Irigaray non lascia cadere
un’efficacia sperimentata, mentre io ho sperimentato la forza modificatrice
della pratica della relazione genealogica.
*
Queste considerazioni ci riportano alla questione piu’ importante, che e’
l’enigma dell’odio e dell’ingratitudine della donna verso la madre. (Questo
enigma, ricordiamo, prima di noi ha impegnato la mente di Melanie Klein).
Il femminismo - mi riferisco alla sua tendenza principale - ha cercato di
mettere questo enigma sul conto del patriarcato. A questo scopo il
femminismo ha fatto una duplice operazione: un’operazione manifesta di
razionalizzazione, per cui diciamo che il patriarcato ha asservito le nostre
madri rendendole odiose alle figlie (noi), amanti della liberta’; e
un’operazione meno dichiarata ma piu’ importante, di spostamento per cui noi
rivolgiamo contro il patriarcato e contro l’uomo i sentimenti negativi
originariamente rivolti contro la madre.
Luce Irigaray non segue questa strada. Come dice parlando di Antigone nel
1985 (prima della "svolta"), questa sarebbe "un’apparente opposizione" che
ci distoglie dalla "possibilita’ di agire nell’affermazione" (Irigaray 1987,
p. 139) (42). Ella ci propone invece di risolvere l’enigma dell’odio e
dell’ingratitudine con la pratica genealogica. La storiografia femminista e’
una pratica genealogica, secondo Irigaray. La sua prima proposta, si
ricordera’, e’ di celebrare l’eucarestia con la madre. In seguito avanza
l’idea delle immagini di madre e figlia insieme, da collocare nei luoghi
pubblici.
Ma a un certo punto l’enigma dell’odio e dell’ingratitudine sparisce dai
testi di Irigaray. Non viene piu’ evocato. La figura genealogica preferita
da Irigaray diventa la coppia Demetra-Core, che rappresenta la relazione
madre-figlia con le caratteristiche dell’armonia naturale e della fecondita’
spirituale.
La scomparsa dai testi non vuol dire che l’enigma sia risolto. Irigaray non
dice che esso sia risolto e semmai lascia intendere il contrario;
semplicemente, non ne parla piu’. In corrispondenza a cio’, ella attenua i
toni polemici verso il patriarcato. Il suo giudizio sul patriarcato non e’
cambiato: secondo me, lei vuole soltanto sorvolare sulla nostra follia,
cioe’ sull’enigma dell’odio e dell’ingratitudine, che la facile rabbia
femminista contro il patriarcato rischia di evocare, e sicuramente evoca
all’orecchio di un’esperta psicoanalista qual e’ Irigaray.
La scomparsa della contraddizione che, piu’ di ogni altra, impedisce
l’azione efficace delle donne, permette a Irigaray di allargare l’orizzonte
possibile della nostra politica e di immaginare una presenza femminile a
livello cosmico. Questo allargamento, lei e’ disposta a pagarlo con una
politica che prende le forme della testimonianza. Percio’ modifica il suo
giudizio su Antigone. Quando la politica era cambiare l’esistente per
effetto del cambiamento interno della sostanza del femminile - della
relazione madre-donna -, Antigone appariva fuori strada. Quando la scena si
allarga per comprendere tutte le contraddizioni tranne quella che ci
colpisce dall’interno, allora la politica prende i tratti dell’azione
dimostrativa e della testimonianza, com’e’ per Antigone.
*
Per me il cuore della politica resta la relazione genealogica cosi’ come
Irigaray ce la presenta nella pagina de Il genere femminile in cui ella
parla dell’azione efficace. Io penso che noi siamo testimoni e protagoniste
di un cambiamento che riguarda la relazione della donna con la figura della
madre e, di conseguenza, il significato della differenza sessuale. Il nostro
saper amare la madre e’ il fondamento della nostra liberta’. Quello che a
livello superficiale conosciamo come il femminismo, e’ la manifestazione,
secondo me, di un cambiamento che si situa a livello di struttura della
nostra civilta’, il livello che lo storico Braudel indica come la storia di
lunga durata (Braudel 1958). Mi riferisco non al femminismo delle
rivendicazioni e della parita’ con l’uomo, ma al movimento che ci ha portate
a scegliere di stare tra donne, a regolarci di preferenza sul giudizio delle
nostre simili, ad accettare l’autorita’ di donne, a cercare per la nostra
mente il nutrimento di un pensiero femminile.
*
Bibliografia
Braudel 1958: Fernand Braudel, Histoire et sciences sociales. La longue
duree, in "Annales E.S.C." 1958, n. 4, pp. 725-753.
Irigaray 1974: Luce Irigaray, Speculum. De l’autre femme, Minuit, Paris
1974; Speculum. L’altra donna, traduzione e cura di Luisa Muraro,
Feltrinelli, Milano 1975.
Irigaray 1984: Luce Irigaray, Etique de la difference sexuelle, Minuit,
Paris 1984; Etica della differenza sessuale, traduzione di Luisa Muraro e
Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano 1985.
Irigaray 1987: Luce Irigaray, Sexes et parentes, Minuit, Paris 1987; Sessi
e genealogie, traduzione di Luisa Muraro, La Tartaruga, Milano 1989.
Irigaray 1989: Luce Irigaray, Le temps de la difference, Le livre de
poche, Paris 1989; Il tempo della differenza, traduzioni di Domitilla
Marchi, Luisa Muraro, Nadhira Lekehal, Editori Riuniti, Roma 1989.
Libreria delle donne 1987: Libreria delle donne di Milano, Non credere di
avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, Torino 1987.
Muraro 1988: Luisa Muraro, Il concetto di genealogia femminile, Centro
Culturale Virginia Woolf, Roma 1988.
Rich 1977: Adrienne Rich, Nato di donna, traduzione di Maria Teresa
Marenco, Garzanti, Milano 1977; Of Woman Born, W.W. Norton & Co., 1976.
*
Note
1. "Un des carrefours perdus de notre devenir femme se situe dans le
brouillage ef l’effacement des relations a’ notre mere et dans l’obligation
de nous soumettre aux lois du monde de l’entre-hommes" (Irigaray 1989, p.
111).
2. "La scolarite’, le monde social de l’entre-hommes, la culture patriarcale
fonctionnent pour les petites filles comme l’Hades pour Kore’-Persephone.
Les justifications donnees pour expliquer cet etat de choses sont inexactes.
Les traces de l’histoire de la relation entre Demeter et Kore’-Persephone
nous en apprennent davantage" (Irigaray 1989, p. 122).
3. "(...) le mythe ne correspond pas a’ une histoire independente de
l’Histoire mais il exprime celle-ci en recits images qui illustrent les
grandes tendances d’une epoqueî" (Irigaray 1989, p. 112).
4. "L’expression mythique de l’Histoire est plus apparentee aux traditions
feminines et matrilineaires" (Irigaray 1989, p. 113).
5. "Cette culture patriarcale a efface’ - peut-etre par ignorance ou
inconscience - les traces d’une culture anterieure ou simultanee a elle"
(Irigaray 1989, p. 113).
6. "Oreste tue sa mere parce que l’empire du Dieu-Pere et son appropriation
des archaiques puissances de la terre-mere l’exigent" (Irigaray 1987, p.
24).
7. "ne pas retuer la mere qui a ete’ immolee a’ l’origine de notre culture"
(Irigaray 1987, p. 30).
8. "Il est urgent que nous refusions... Il est necessaire aussi que nous...
Nous avons a veiller a’ une autre chose..."
9. "Il est necessaire, pour ne pas etre complices du meurtre de la mere, que
nous affirmions qu’il existe une genealogie de femmes" (Irigaray 1987, p.
31).
10. "Nous avons aussi a’ trouver, retrouver, inventer les mots, les phrases,
qui disent le rapport le plus archaique et le plus actuel au corps de la
mere" (p. 31).
11. "N’oublions pas, non plus, que nous avons deja’ une histoire, que
certaines femmes, meme si c’etait difficile culturellement, ont marque’
l’histoire et que trop souvent nous ne les connaissons pas" (p. 31).
12. "Una femme, celebrant l’eucharistie avec sa mere, lui donnant en partage
les fruits de la terre benis par elle(s), pourrait etre delivree de toute
haine ou ingratitude vis-a’-vis de sa genealogie maternelle" (p. 33).
13. Irigaray 1987, 205; 1989, pp. 27-28.
14. Irigaray 1987, pp. 37-38.
15. Irigaray 1987, p. 141, n. 1.
16. Irigaray 1984, p. 106.
17. "Le lien mere et fille, fille et mere, doit etre rompu pour que la fille
devienne femme" (Irigaray 1984, p. 106).
18. "La genealogie feminine doit etre supprimee au benefice de la relation
fils-Pere, de l’idealisation du pere et du mari comme patriarches" (p. 106).
19. Irigaray 1984, pp. 100-102.
20. "notre incarnation generique" (Irigaray 1987, p. 83).
21. Irigaray 1987, p. 147.
22. "qui s’incarne au feminin, a’ travers la mere et la fille, et dans leurs
rapports" (Irigaray 1987, p. 84).
23. "Un dieu feminin est encore a’ venir" (p. 79).
24. Irigaray 1987, pp. 142-143.
25. "separation entre les genres" (p. 143).
26. "il est necessaire de faire entrer dans l’Histoire l’interpretation de
l’oubli des genealogies feminines et d’en retablir l’economie" (Irigaray
1989, p. 121).
27. Irigaray 1987, pp. 197-222; 1989, pp. 19-52.
28. Irigaray 1989, pp. 101-123.
29. "Pour etablir un ordre dont l’homme avait besoin mais qui ne correspond
pas encore e’ celui du respect et de la fecondite’ de la difference
sexuelle" (p. 120).
30. "est fonde’ sur le vol et le viol de la virginite’ de la fille et son
utilisation pour un commerce entre hommes" (p. 123).
31. "Je reviens donc au personnage d’Antigone, non pour m’y identifier.
L’Antigone, l’antifemme, est encore una production de la culture ecrite par
les seuls hommes" (Irigaray 1984, p. 115).
32. "Ainsi la soeur s’etouffera pour sauver du moins le fils de sa mere.
Elle se coupera le souffle - la parole, la voix, l’air, le sang, la vie -
(...) pour que son frere, le desir de sa mere, vive eternellement" (Irigaray
1974, p. 272).
33. "Pour que ce destin d’Antigone ne se repete pas..." (Irigaray 1984, p.
106).
34. Irigaray 1987, pp. 125-134.
35. "Antigone est deja’ la representante, le representant, de l’autre du
meme" (p. 125).
36. "A’ la lumiere de la verite’ d’Antigone" (Irigaray 1989, pp. 82-85).
37. (p. 112).
38. (p. 106).
39. "Autre solution egalement necessaire: restituer les genealogies
feminines et les communautes des femmes entre elles" (Irigaray 1989, p. 60).
40. Irigaray 1987, pp. 134-135.
41. "Le genre feminin, selon l’ordre de son devenir ethique, lutte avec
lui-meme, entre lumiere et ombre, pour devenir ce qu’il est individuellement
et collectivement. Cette croissance, pour une part polemique, entre
conscience et inconscience, immediatete’ et mediations, mere et femme, doit
demeurer ouverte et infinie pour et dans le genre feminin" (p. 134).
42. "apparente opposition", "possibilite’ d’agir dans l’affirmation" (p.
134).
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Io ho letto con non poca difficolta’ alcuni brani delle opere di Irigaray e devo ammettere che pur accettando la sua tesi di base (naturalmente perche’ sono femminista)ho verificato che il limite del pensiero logico espresso ormai da decenni da tutte noi pur se con strumenti culturali diversi e’ proprio quello di non aver capito la elementarissima, fin troppo elementare , esageratamente elementare, mentalita’del genere a noi diverso. Mi spiego: abbiamo passato secoli noi donne democratiche (e intendo per democratica una societa’ basata su giuste norme civiche e legali)a pensare giustamente per il bene collettivo, superando ogni limite e barriera e barricata, ci siamo esaurite per amore della nostra vita e per quella degli altri...abbiamo preso insulti e derisioni da altri tipi di donne legate tradizionalmente (per convenienza)al ritmo imposto dal sistema clan, l’errore non sara’ stato proprio quello di cercare di capire sempre noi gli altri/e? o piu’ che un errore non e’ che siamo nate di nuovo per rimediare agli errori madornali che sciocchi individui creano nelle nostre societa’? Cioe’ la femminista pura non sembra quasi caduta nella trappola di essere addestrata a diventare l’ombra laica delle suore? Io mi ci sono sentita... al di la’ della A e della O una femminista dichiarata quali reali possibilita’ ha nel ciclo produttivo (intellettuale e manuale) in ambito nazionale e internazionale? Nessuno,tranne quello di creare una massonerie di autodifesa. E una massonerie era giusta nel ’68...oggi dico al di la della A e della O un individuo e’ sempre persona se manifesta con azioni logicamente positive il suo pensiero, un pensiero buono senza successiva azione e’ poco piu’ di un emblematico fumetto. Meglio dedicarsi ad un hobby personale! D’altronde se la vivacita’ intellettuale non e’ ottemperata da tutti che scaliamo a fare i vertici del sistema quando in basso l’incivilta’ consentita offende violentemente ogni produzione di bonta’? Io semplicemente ho pensato questo: perche’ devo segregare me in un ruolo di generosita’ con chiunque? E chi e’ quel chiunque da aiutare? Superato il 2000 traballando (e chissa’ quante come me...)oggi sono solamente una femminista disobbediente. L’unico mio amore: libri e opere d’arte fortunatissima di essere nata in citta’. Grazie a tutte le compagne e (purtroppo pochi) compagni ...essere compagni non e’ un’inflessione non e’ un atteggiamento e’ solo essere sicuri che i 10 punti del che guevara se presi in considerazione erano la vera applicazione del benessere mondiale. Non ho altro da aggiungere marzia marturano artista e letterata. Un sentito ringraziamento a l. irigaray e alla sua determinante posizione.