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Local Blog: l’analisi

I weblog sono troppi e troppo diversi tra loro per essere accomunati in un unico discorso. Concordo con chi sostiene che i weblog portino ad un equilibrio nuovo tra i cittadini dell’età dei media...

di Redazione - martedì 27 maggio 2003 - 6700 letture

1. Perchè i local blog. Gianluca ha posto, qualche giorno fa, una domanda retorica che nasconde un atteggiamento imho poco produttivo: abbiamo davvero bisogno di un notiziario locale dei blog italiani?

No, non ne abbiamo bisogno. Come non abbiamo bisogno di Macchianera nè del mio blog o di mille altri. Tuttavia, pur non motivati da un bisogno, dobbiamo riconoscere che i blog esistono e che in qualche modo si stanno ritagliando un loro ruolo nell’ecosistema dei media. Il numero di weblog aumenta esponenzialmente e le regole che governano il sistema si modificano. Emergono nuovi fattori e si aprono nuovi possibili campi di applicazione di un modello apparentemente semplice di indipendent publishing.

Personalmente, trovo che la discussione sui Weblog (come tema generale) sia ormai conclusa. I weblog sono troppi e troppo diversi tra loro per essere accomunati in un unico discorso. Concordo con chi sostiene che i weblog portino ad un equilibrio nuovo tra i cittadini dell’età dei media e tra cittadini e formazione dell’opinione pubblica. Credo anche che questo equilibrio, per essere intellettualmente affrontabile, ormai si debba analizzare sui singoli temi. Ad esempio, per scegliere tra quelli che più mi interessano, il rapporto con la comunicazione politica e quello con la formazione delle opinioni negli individui.

Un altro effetto dell’aumento della massa critica di weblog, imho, è la probabile evoluzione verso un uso maturo dei blog. Queste paginette di semplice istruzione, per quanto ci piaccia considerarle assolutamente hobbistiche e amatoriali, sono comunque parte di un processo di comunicazione. Utilizzarle in modo consapevole non è un obbligo e possiamo continuare a musicare tutte le odi al cazzeggio che vogliamo. Oppure possiamo decidere di usarle in maniera più efficace.

Mi sembra evidente che una strada non esclude l’altra e ognuno può imboccare il bivio che più lo affascina. Se propendete per l’ode al cazzeggio, quanto segue non vi interessa.

Io sono convinto che i weblog non siano delle attività professionali e anzi credo che parte del loro ruolo consista proprio in questo. L’indipendenza, nel nostro mondo di comunicazione, è un valore. Tuttavia ci sono sufficienti ragioni per riflettere su come tenere un weblog, oggi. Per il semplice desiderio di farlo bene, magari. O per cercare un confronto effettivo. O per mille altri motivi, che troverete da soli se entrate nei panni di lettori.

Se guardiamo al Weblog come strumento di comunicazione, ci rendiamo conto immediatamente che il risultato dipende da due fattori ugualmente importanti: la personalità (che secondo Steve Outing è il principale asset del blogger) e i contenuti. Se la personalità è una cosa su cui si può lavorare relativamente (con umiltà, fatica e tempi lunghi), i contenuti invece sono una scelta strategica. Già un anno fa su questo canale si discuteva di come impostarli. Il problema, però, allora era meno urgente e forse di interesse più relativo. Oggi, io concordo con Glenn Reynolds (Blogging: The Next wave) e sono sempre più convinto che personalizzare il proprio weblog sia farne un uso più maturo.

Che vuol dire personalizzare. Secondo Reynolds personalizzare vuol dire dare un taglio specifico ai contenuti. Il taglio può essere caratterizzato da un approccio tematico preciso (magari l’argomento che ci appassiona o quello su cui possiamo esprimere pareri competenti) o da un interesse per quanto avviene in un’area locale di cui noi possiamo essere testimoni. Ad esempio, come mi diceva un amico, parlare delle attività musicali in una certa città; oppure dedicarsi a un settore particolare delle nostre attività sociali e/o culturali. L’abbinamento tra personalità e scelta dei contenuti facilita la costruzuione di una identità in Rete e la nostra identificazione da parte dei lettori interessati. Io sono convinto che in questo modo si risponda ad una esigenza anche di chi legge.

Come personalizzare. Molti sono arrivati ad interessarsi dell’idea Blocal soprattutto grazie a questo post. In un post precedente, invece, (in buona compagnia, negli USA ma anche in Francia) raccoglievo la proposta operativa di Reynolds, che spingeva molto sulla possibilità di affermazione e promozione personale (oltre che di guadagno): Inizia a scrivere cose di questo tipo e proponi qualche notizia locale. Vedrai che gli insider cominceranno a mandarti consigli che ti indicheranno la strada per le successive ricerche.

[...]

Se non ti interessa la politica, interessati della scena musicale locale, dei ristoranti o degli argomenti che più ti interessano. Riporta gli spettacoli deelle band locali, proponi qualche piccolo video, posta qualche intervista a fan o a musicisti, e sarai presto ben conosciuto nella tua area. Potrai persino trovare gente interessata a fare pubblicità nel tuo blog o a donarti del denaro per supportare il tuo lavoro.

[Blogging: The Next wave]

Svantaggio numero uno. Rispetto agli Stati Uniti noi abbiamo un paio di svantaggi per lo sviluppo di una strategia di informazione locale. Il primo, evidentemente è che qui da noi gli spazi non sono tanto vasti e la popolazione online non è molto numerosa. Questo evidentemente renderebbe abbastanza inutile un blog che si occupi della vita sociale a San Chirico Raparo. Ma è un problema superabile, selezionando un’area leggermente più vasta, come sta facendo Sud Salento. Al contrario, nelle grandi città potrebbe esserci un certo squilibrio tra tempo a disposizione (il blogger lavora, di solito) e copertura delle notizie. Anche qui, la soluzione è semplice se si ha qualche idea. Se Tizio decidesse di raccontare i locali notturni a Milano, o i ristoranti dell’Emilia o le manifestazioni Jazz & Blues a Roma, otterrebbe immediamente il risultato. Gli addetti ai lavori comincerebbero a mandargli i comunicati stampa, la gente inizierebbe a cercarlo, ecc. ecc. Diffondere notizie, oggi, non è solo un compito di informazione: spesso è un servizio per chi ha bisogno di diffonderle.

Svantaggio numero due. Il secondo problema, rispetto agli States, è la nostra superstizione di cazzeggio. Sebbene a tutti piacciano i blog che interpretano bene il loro ruolo, quando abbiamo bisogno di sentirci informati, siamo perseguitati da una certa aura di superficialità. Che è dovuta in parte proprio alla nostra percezione interna ed alla percezione di chi (tra i blogger) è chiamato a farsi portavoce con l’esterno. Se invitano 5 persone a un incontro per parlare di blog, in Italia, possiamo scommettere a priori che almeno uno non ne sa nulla ed è lì per caso. Quanto agli altri, almeno due se la caveranno con affermazioni fintomodeste del tipo: i blog sono una cazzata divertente. Poi ci stupiamo di come queste cose arrivano ai Big Media.

Di fatto, io sono convinto (per essere portatore in prima persona di questa esigenza) che ci sia un bisogno di informazione cui i blog in qualche modo rispondono. E sono convinto che la percezione di un ruolo conti molto nel risultato. Ovviamente -ripeto- non sto parlando di professionalizzazione, ma di efficacia della comunicazione. E non sto parlando di blogger giornalisti, ma dell’informazione messa in circolo da decine, centinaia, migliaia di persone che condividono conoscenza. Non c’è nulla da fare ragazzi: se il nostro blog "da solo" è uno sfizio, tutti insieme siamo soggetti informativi. Tanto vale prenderne atto. Io, personalmente, potrei chiudere Blog Notes in qualsiasi momento, ma se mi togliessero i blog che leggo mi sentirei perso e più ignorante.

C’è anche un vantaggio. Nonostante questo, noi rispetto agli States abbiamo un vantaggio. Siamo meno; e siamo più capaci di fare comunità. Se i local blog (attualmente ho notizia di una decina in fase di starting) cominciassero a diffondersi, riusciremmo probabilmente a creare un collettore di attenzione, a fare rete, generando il massimo interesse possibile sul fenomeno. Può sembrare poco, ma non lo è. Che si decida di optare per una interfaccia semplice (ma con una organizzazione dei contenuti pensata per generare interesse) come propongo io, o per un sistema più complesso e professionale, dipenderà probabilmente da come e quanto riusciremo a fare con l’esperimento del blocal. Dipenderà da quanti blog locali nasceranno e da come verranno realizzati. Dipenderà da quante idee sapremo mettere in circolo.

Per ora, imho, è già una buona notizia vedere che in Italia il dibattito è ripartito.


Articolo di Giuseppe Granieri, marzo 2004, apparso su: http://www.bookcafe.net/blog/blog.cfm?id=161

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