Lo straniero di Albert Camus
recensione del libro Lo straniero di Albert Camus, classico della letteratura contemporanea pubblicato per la prima volta nel 1942.
Ho letto lo straniero di Camus, e ciò mi ha provocato un certo imbarazzo. Per me stessa, certo non per Camus, né per ciò che lui voleva raccontarmi e raccontarci. Ad imbarazzarmi infatti è stata l’improvvisa consapevolezza di non aver capito un gran che, fino a quel momento, di ciò che credevo di conoscere abbastanza bene. Perché uno che vuole capire il novecento studia la frantumazione dell’io e pensa di avere capito il necessario. Uno legge Pirandello, Kafka e Svevo, studia Freud e Nietzsche, se proprio vuole esagerare passa anche per Beckett e Brecht, Magritte e Picasso, e pensa che per sapere non gli manchi proprio nulla. E invece non è vero proprio perché gli manca Camus. E con lui, a questo punto, chissà quanto altro ancora.
Non che io credessi di conoscere tutto, per carità non sono tanto stupida. Solo che credevo di aver afferrato il senso, lo spirito, il sentimento di quell’epoca che è stato il novecento e che ha saputo costruire partendo dalla decostruzione. E invece con Camus io non ho semplicemente aggiunto un tassello alla mia conoscenza, ho proprio dovuto revisionarla tutta, decostruirla per ricostruirla altrove e diversa, in perfetta armonia con il periodo di cui stiamo parlando.
Perché gli eroi delle storie che già conoscevo, o meglio gli antieroi che di eroi veri e propri non si può proprio parlare, erano soli, incompresi, folli, insoddisfatti, stritolati da meccanismi assurdi e irrimediabili. Allo straniero di Camus invece non accade nulla di tutto questo, al contrario gli ingranaggi intorno al protagonista signor Meursault sono tutti efficienti e perfettamente oleati, è lui il problema, e forse neanche lui. Perché in effetti il signor Meursault è perfettamente razionale nei suoi passaggi mentali, o comunque lineare. Resta calmo, ha le idee chiare, sa cosa vuole e cosa non vuole. E comunque è un tipo che si accontenta abbastanza facilmente. Ed è anche piuttosto bravo ad accontentare gli altri. Eppure anche stavolta il dipanarsi degli eventi conduce inesorabile all’irreparabile, e anche questa volta irrimediabile fa rima con assurdo, e la condizione irrisolta e irrisolvibile dell’individuo moderno è il tema centrale del racconto, in una incessante soggettiva narrativa.
A fare la differenza è la lucidità disarmante con cui tutto avviene. Il racconto di Camus rinuncia alle nebbie e non si abbandona al caos. Assistiamo ad una vita modesta, senza climax e senza onde, una vita in cui anche alla tragedia non segue mai nient’altro che l’indifferenza o, peggio ancora, la routine. Anche un omicidio accade come se nulla fosse, e le sue conseguenze, dal processo alla condanna, si susseguono senza che nell’animo di Meursault si affacci mai la vita e la volontà, nel senso romantico delle parole. Semplicemente a lui non interessa, e forse per questo non si salva, semplicemente per disinteresse. Così i fatti si susseguono liscissimi, eppure affascinanti. La sensazione dell’assurdo si sviluppa stavolta, paradossalmente, per linee nette e fatti certi. L’ignavia, totale e imperante, è il peccato originale che rende possibile il miracolo narrativo di Camus.
Noi siamo estranei a noi stessi, e allora non importa ciò che ci accade perché non ci appartiene. La nostra consapevolezza evita fastidiosi contraccolpi. Ed ecco che si riscrivono ancora le possibilità narrative di un sentimento che ha fatto un secolo.
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