Lo Spazio disegnato
Davide aveva composto vagoncini di immagini. Viaggiavano dentro una trama al ritmo di azioni e sentimenti.
Incontro Davide Reviati qualche anno fa. Fu uno strano incontro, non di persona, ma come all’indietro nel tempo, fra i ricordi e gli incantesimi dell’adolescenza. Me stessa di fronte ad un coetaneo poco più che bambino, anima di fronte ad anima, occhioni dentro ad occhioni, lui con quella riservatezza tipica di un ragazzino intelligente e sensibile. L’incontro avvenne in un luogo di fantasia mentre in qualche modo la mia memoria riconosceva nei tratteggi, nei chiaroscuri di volti e paesaggi, nelle parole (poche) e nelle brevi didascalie, un mondo vero, e per di più vissuto. Davide aveva composto vagoncini di immagini. Viaggiavano dentro una trama al ritmo di azioni e sentimenti, racchiusa in un libro, “Resistenze” di AA.VV. edito da Beccogiallo Editrice. Un lavoro che prometteva. Prometteva futuro. Lo ritrovo, Davide Reviati, nella nuova pubblicazione tutta sua. Un libro “graphic novel”. Lo indicano con questo genere i più esperti.
Ma io preferisco non costringerlo in una etichetta. Non si può catalogare senza prima averla identificata come opera di qualità letteraria, senza aver affiancato aggettivi come “civile” e “artistico”, non si può ridurlo a genere senza prima parlare della sua liricità. Preferisco dunque chiamarlo semplicemente col suo nome: Morti di Sonno – noi, i ragazzi del villaggio Eni e le morti bianche. Un’edizione della Coconino Press. Lo stupore infantile e la vitalità dei giochi si spalmano dentro i confini di un nuovo nucleo urbano inizialmente accogliente voluto da Enrico Mattei per i dipendenti nei del Petrolchimico di Ravenna. La spensieratezza dei ragazzini è limitata dai nuovi orchi moderni: l’impianto industriale, con le grida lancinanti delle sirene, le barriere da non oltrepassare, il mistero del mastodonte, i controllori della fabbrica, i corsi d’acqua densi di scarichi industriali divenuti nuovi pericoli per mettersi alla prova, l’aria, contenente nuovi odori inquietanti. L’efficacia comunicativa di questo libro sta nella tecnica, cosicché lo sguardo innocente del protagonista Rino, si mescola ai fatti percepiti ma non ancora comprensibili. Un dualismo necessario, perché l’autore costringe ad usare la “mappata”, ovvero il fagottino, l’involto di preziosa innocenza conservata dall’infanzia e trasportata durante il viaggio verso la maturità, l’essere adulto. Così Rino e gli altri incontreranno a loro volta il mondo del lavoro, le contraddizioni, le difficoltà, il tentativo di superarle. La tecnica, dicevo. La tecnica, lo strumento di cui si serve l’autore riempie in maniera immediata, dà sensazione subito, senza intermediazioni o mutualità per un’interpretazione soggettiva: diviene, quello del lettore, sguardo sopra immagini disegnate e montate in storyboard ancor più dirette delle immagini di un documentario. Ripulite dunque dall’inessenziale, guidano l’occhio sul bersaglio giusto: mani, ciuffi di capelli, sguardi e oggetti significativi. Fumetto, lo potrei chiamare Morti di Sonno, ma si rischierebbe di distogliere l’attenzione dall’uso strumentale, seppure artistico, per collocarlo anzi, relegarlo, all’uso pubblico di divertimento, quale si associa alla parola “fumetto”. Occorre invece approfondire il valore aggiunto di questa tecnica artigianale, metodo di espressione diretta e coinvolgente, sfatandone i luoghi comuni. Mi sono servita dunque della consulenza di esperti in materia, recandomi ad una mostra dedicata al fumetto di qualità e di contenuto civile, tenutasi qualche tempo fa ad Oderzo, in provincia di Treviso. Purtroppo mancava Davide Reviati, ma, io credo, quanto riportato è significativo per capire l’essenza di questa forma espressiva.
Federico, uno dei fondatori di “Beccogiallo Editore” , un piccolo esperimento di resistenza editoriale, mi da’ appuntamento a Palazzo Foscolo, dove si sta svolgendo “Oderzo Inquieta”, rassegna in cui sono coinvolti “inquieti illustratori e fumettisti”. Mi accoglie prima di incontrare Erika De Pieri e Stefano Obino, fumettisti. I disegni racchiusi in teche di vetro, sono così comunicativi, così vivi con quegli occhi, quelle mani, quelle rotule e tibie, da sembrare vivi.
Chiedo a Federico di parlare della casa editrice Beccogiallo.
“il progetto editoriale nasce sostanzialmente da tre persone, le cui esperienze erano diverse da quelle di disegnatore, fumettista o sceneggiatore. Io sono una di quelle tre… il nome “Beccogiallo” ci sembrava il più adatto: era una rivista satirica, molto coraggiosa, degli anni venti .. “
“che tipo di pubblico legge il fumetto oggi?”
“ in realtà il pubblico che ci legge è ben diverso da quello costituito prevalentemente da una fascia giovanile, quella di lettori in erba, classica, dedita ai fumetti. Le tematiche affrontate, la voglia di raccontare la realtà che ci circonda, le questioni sociali che ci toccano da vicino, affrontate da sceneggiatori e disegnatori nonché dal nostro staff editoriale, ci consente di presentarci ad un pubblico sostanzialmente adulto, sensibile anche ai contenuti oltreché alla foggia artistica di un certo pregio, frutto di un certo lavoro. Ecco perché la nostra aspirazione è proprio quella di collocare le nostre pubblicazioni in un reparto ben specifico delle librerie, ovvero quello dedicato alla saggistica”.
“Offrite collane diverse come per esempio “quartieri”, con temi legati ad un territorio specifico che in questo modo si avvertono come temi “nazionali”. Mi viene in mente “ Brancaccio” per esempio, dedicato al quartiere di Palermo con le sue tipicità, ma anche teatro di mafia.” “in questo caso specifico, quello da te nominato, abbiamo potuto usufruire dell’esperienza diretta, della conoscenza dei luoghi, teatro della storia di Brancaccio, proprio perché l’autore è del luogo. Un vantaggio che ci ha permesso di portare alla luce la realtà quotidiana, i particolari che costituiscono la vita di tutti i giorni. La narrazione fumettistica è arricchita inoltre da vere e proprie testimonianze scritte e raccolte nel volume. C’è per esempio il lavoro su Porto Marghera: un fatto che geograficamente ci riguarda da vicino, allo stesso tempo, un fatto che deve riguardare tutti. Una realtà alla quale non ci possiamo sottrarre.”
“accogliete anche una collana dedicata alle biografie, come per esempio quella di Martin Luther King o Peppino Impastato; Pensate che manchi qualche tassello nella Storia, che sia più semplice apprenderla sottoforma di fumetto?
“Beh, la nostra esigenza di raccontare fatti concreti, collocati in qualche modo nella Storia, lancia un particolare occhio di riguardo ad alcune vicende, in qualche modo che abbiano segnato un evento, un cambiamento, un condizionamento sociale. Qui ovviamente ci si basa su una tecnica diversa per approdare ai lavori. Si tratta di un paziente lavoro di ricerca su materiale come documenti, notizie, testimonianze. Quindi in un secondo tempo si concretizza una sostanziale narrazione di quanto raccolto. Come avrai visto, in Pasolini, o M.L.King. sono riportati i discorsi ed i fatti senza trarre conclusioni o tesi che possano indirizzare verso una ipotesi piuttosto di un’altra. Rimane ovviamente un unico compito che non possiamo assolvere e quindi la Storia con S maiuscola: come siano andati veramente i fatti, le conclusioni da trarre… Beh, l’avrai capito… la nostra aspirazione è quella di legittimare il mezzo del fumetto, al pari del cinema, della letteratura, della pittura. Il fumetto è assolutamente in grado di emozionare oltreché raccontare; un fumetto realistico d’autore, con qualità, arte, contenuto, da collocare quindi in un meritato spazio di tutto rispetto, non in una nicchia piuttosto striminzita nell’ambito esclusivo del classico fumetto…”
Erika De Pieri è una ragazza trevigiana carinissima. A prima vista sprigiona simpatia e grande solarità. E’ autrice di alcuni libri come “la saponificatrice” storia noir della Cianciulli di Correggio o “Il mostro di Firenze”.
“ ci racconti il tuo percorso di fumettista?”
“diciamo che dal 2005 sono fumettista a tutti gli effetti, con il Beccogiallo. Però già da qualche anno prima disegnavo… sono anche illustratrice.. sai, da quando sono uscita dalla scuola del fumetto…ho frequentato per tre anni la scuola per fumettisti a Milano. Da piccola sognavo di diventare come Walt Disney…Ho coltivato da sempre questa passione, disegnando e creando, finché poi da grande mi sono ritrovata nel fumetto realistico… ed eccomi qua!”
“hai avuto riscontri positivi sulle tue creazioni?”
“sì, a ben pensarci, soltanto cose positive… tranne una volta in cui qualcuno mi ha scritto: “complimenti alla visionaria Erika De Pieri”; ciò è dovuto ai disegni inquietanti contenuti nel libro “La Saponificatrice”; ho dovuto rendere realistica la vicenda, attraverso l’evocazione di qualche mostro reso ancora più inquietante dal tratto dell’acquerello e dall’uso di certi colori.. per esempio proprio nella copertina c’è un particolare di un feto, simbolo del rapporto vissuto dalla Cianciulli nei confronti della maternità. Ma non vorrei che la gente pensasse e mi identificasse come una persona visionaria! Non sono assolutamente così. Per il mostro di Firenze ho cercato di soffermarmi sull’ emozione da trasmettere su particolari soggetti, per esempio la cascina, simbolo dell’agriturismo lieto e tranquillo delle campagne toscane: ecco, qui ho cercato di renderlo nella dimensione della vicenda di Pacciani e dei compagni di merende… la sensazione opposta, da far percepire al lettore.”
Stefano Obino, uno dei curatori della mostra - evento “Oderzo inquieta” è vestito di nero, i capelli lunghi raccolti, diversi anelli all’orecchio, non vuole solo “inquietare” ma far conoscere una realtà dimenticata. mi spiega cosa significa essere fumettista oggi, in Italia. Lui è un fumettista. Arrabbiato. E sapete perché? Perché il mestiere di fumettista non esiste in Italia. Al contrario invece, a suo dire, ci sono moltissimi potenziali lettori di fumetti. La spinta mediatica orienta il mercato verso il consumo di un prodotto “facile” come il manga, il fumetto giapponese. “Chiunque conosce Goldrake, primo eroe a fumetti della diffusione/invasione orientale, di poco pregio e basso costo, ma soprattutto con scarso significato culturale.” Mi dice Obino. “La lunga storia che ha visto nascere l’identità del fumettista in Italia, già da metà dell’800 è disseminata da grandi artisti che hanno più o meno vissuto nell’anonimato o hanno dovuto ricorrere all’affiancamento di altri lavori.” Mi dice che i creatori del personaggio a fumetti Ken Parker sono italiani e per giunta con poco lavoro nonostante la bravura. Il destino di chi, nel paese “dell’arte”, non può far dell’arte un mestiere per poter campare degnamente. Mi cita l’esempio dell’artigiano, quindi del produttore d’arte di una volta. “Una volta l’arte si imparava presso le botteghe, dove l’apprendista affiancava il maestro lavorando e imparando, affinando via via le proprie tecniche, comunque retribuito e riconosciuto come lavoratore. Le cose ora sono ben diverse. Chi vuole imparare non deve far altro che iscriversi a costosi corsi (1.200 euro di 3 mesi) e, se ti va bene, dopo 3 anni e 15.000 euro, sei fumettista e puoi lavorare per passione ovvero mal retribuito o addirittura gratuitamente, sperando di poter affiancare qualche altro lavoro grafico nel campo della pubblicità o della comunicazione”. La sua speranza è quella di essere riconosciuto un giorno come artigiano del fumetto. La mia invece è quella di aver suscitato interesse verso la capacità artistica, la genialità italiana spesso trascurata, nell’impegno costante per salvare dall’oblìo le Storie dell’Umanità, trasmessa attraverso una delle tante tecniche: lo Spazio Bianco riempito dai disegni dei nostri fumettisti.
Francesca Cenerelli, 23 ottobre 2009, in copyleft, chiunque può prendere e riportare purché citandone la fonte.
- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -