Live Report. Firenze Rocks 2025, stavolta non ce n’è per nessuno: Guns N’ Roses pazzeschi!

Perché quelle note lì ancora riecheggiano nella nostra vita e rievocano gli stereo con le musicassette e i cd, le serate in macchina con gli amici, i Capodanno passati ad ascoltare le band preferite con gli amici degli anni d’oro.
Ma che prima giornata! Ma che spettacolo! Ma che caldo! Ma che prezzi al bancone del cibo e dell’abbeveramento! Ma, soprattutto, che iniezione di hard rock in tutte le sue formule! Ben tornata estate dei concerti. Ben tornato caldo africano (o, forse, no). Ben tornato Firenze Rocks!
La Visarno Arena, gremita in ogni posto disponibile per il ritorno in Italia dei Guns N’ Roses, ha risposto presente all’attesissimo show della band californiana in occasione della calata tricolore di questo nuovo tour. Tanti i temi che dovremmo trattare in questa prima giornata, a cominciare dalla scelta audace, ma vincente, di inserire un parterre di band di livello elevatissimo (soprattutto Dirty Honey e Rival Sons) in apertura a un gruppo che sì, sarà pure una leggenda vivente, ma che nelle ultime apparizioni non sempre ha convinto. Siamo sinceri!
E poi, insomma, ormai i festival sono diventati quei luoghi dove rifocillarsi è un lusso, dove occorrono stipendi interi per sfamarsi e abbeverarsi dalle temperature tropical-claustrofobiche che affliggono i presenti. Non avrei mai pensato di rimpiangere i tempi dove una birra costava cinque euro, eppure eccoci qui, a godere di un concerto come fosse un bene di lusso. Eh, ma gli aumenti delle materie prime… eh, ma gli aumenti della corrente…eh ma gli aumenti di questo e quell’altro. Come disse il buon Fabio Noaro: “dichiaro conclusa la polemica tra me e il sottoscritto”.
Aprono lo show i Dirty Honey, direttamente da Los Angeles. Valvole infuocate e ritmi scatenati calano direttamente su Firenze! Nati nel 2017, in quest’arco di tempo si sono distinti per una sound scevro di inutili ghirigori e diretto al cuore dell’essenza del rock’n’roll. La loro scalata è iniziata con “When I’m Gone”, brano che gli ha permesso di entrare nella storia come la prima band indipendente a raggiungere la vetta della classifica Mainstream Rock di Billboard. Il gruppo ha offerto uno show carico di riff graffianti e dinamismo, confermando di essere tra i nomi da tenere d’occhio nella scena rock attuale, anche se ormai sono ben più di una sorpresa o una rivelazione. Show dopo show si confermano tra le band di punta del genere.
Da lì a poco salgono sul palco le The Warning, trio messicano formato dalle sorelle Villarreal (proprio come la squadra di calcio spagnola, sì). Il loro hard rock è energico e sul palco se la sono cavate piuttosto bene. Concluso il set è stato il turno dei dei Rival Sons che con il loro blues rock viscerale e intriso di richiami vintage nostalgici hanno letteralmente scaldato (a livelli di autocombustione, verrebbe da dire, visto il caldo) il pubblico presente sotto al palco. La band californiana, da sempre apprezzata per la capacità di evocare le atmosfere più autentiche del rock anni Settanta con una veste contemporanea, ha regalato un set potente e dinamico, guidato dalla voce carismatica di Jay Buchanan e da una sezione ritmica impeccabile. Veramente di un livello a parte. Straordinari. Non ci sono altre parole per descriverlo.
Prima degli headliner è stata la volta dei Falling In Reverse, guidati dall’istrionico Ronnie Radke. Il gruppo è tornato sotto i riflettori con “Popular Monster” (2024), il primo album dopo una lunga pausa discografica. Con il loro stile ibrido che intreccia sonorità metal, influenze hip-hop e linee melodiche cariche di pathos, hanno ripercorso i brani più rappresentativi della propria carriera, tra cui “Zombified” e “Voices in My Head”. La performance, come da tradizione, è stata un turbine di intensità e trasparenza emotiva, con Radke che ha dominato la scena con la sua presenza magnetica.
Tanta era l’attesa per il ritorno dei Guns N’ Roses nel Bel Paese. L’ultima volta che abbiamo assistito a un loro concerto non è andata decisamente come ci aspettavamo, soprattutto per la performance vocale di Axl Rose che era parso la versione discount del grandissimo singer che fu (qui il nostro live report dal Circo Massimo). Ma ormai non ha più senso appellarsi al passato e continuare a fare paragoni che fanno male a tutti, è arrivato il tempo di voltare pagina e prendere tutto ciò che di buono arriva da un concerto di una tra le più grandi band della storia del glam/hard rock. Perché il nome pesa, il carisma è intatto e, al netto degli inciampi vocali di Rose, un loro concerto è sempre un appuntamento con la storia. Slash e Duff non sono comprimari, sono parte di uno spettacolo lungo quasi quarant’anni. Al loro cospetto ci chiniamo e ringraziamo.
Perché quelle note lì ancora riecheggiano nella nostra vita e rievocano gli stereo con le musicassette e i cd, le serate in macchina con gli amici, i Capodanno passati ad ascoltare le band preferite con gli amici degli anni d’oro. Perché le varie “Welcome To The Jungle”, “Mr. Brownstone”, “Yesterdays”, “Nightrain” e via dicendo saranno sempre hit immortali che, anche se non verranno mai più cantate allo stesso modo, continueranno a macinare emozioni e tonnellate di glam/hard rock per sconfiggere tutti i peggiori trend musicali del momento.
Slash e Duff sono immortali. Hanno fatto un patto col diavolo, sono infiniti, altrimenti non si spiega. Axl ci prova, si sbraccia, alza la tonalità, arranca, si riprende, sfiora le stonate, diventa paonazzo, poi caccia l’orgoglio, stuzzica il pubblico, trasuda carisma, è aggressivo, fa a cazzotti con l’età e con il tempo. Ma è lui fino in fondo, non c’è dubbio. Ed è uno spettacolo. Come si può giudicarlo negativamente? Non è più quello dei tempi d’oro, e cosa volete che sia? Cosa ce ne può fregare? Un concerto dei Guns è un appuntamento con la storia perché la storia si sta ancora facendo.
“Rocket Queen”, “Civil War” (con omaggio a Jimi Hendrix sul finale), WIt’s so Easy” (sull’ottava bassa Axl ci sta pure, la regge, voce potente e precisa… qualche aiutino dalla regia???), “Better”, Slash che si lancia in un solo blues, e poi “Sweet child o’ Mine” e la clamorosa “November Rain”. Ma davvero vogliamo di più? E che sezione ritmica! E che pubblico scatenato! E che sound strepitoso con cui godere di ogni singolo strumento. Però finisce. Che tristezza. Che disincanto. Che rammarico. Ma come, è già finito? E’ già passata una giornata memorabile?
- Guns
- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -