Linguaggio e potere: Deverbalizzare per dominare

È necessario ringiovanire il mondo con la forza della parola che fonda la politica e l’impegno e pensa l’alternativa al disastro antropologico in cui siamo.
Deverbalizzare per dominare
Per rendere imperiale la crematistica si rieduca l’essere umano all’obbedienza e all’addestramento, la libertà è solo movimento spaziale a fini produttivi. La libertà che si impone nel nostro tempo capitalistico è di tipo pulsionale.
L’essere umano è addestrato alla lotta e alle voglie. Diviene egli stesso un’arma all’interno di una realtà che conosce solo la conflittualità. Smarrito il senso etico, tramontata l’idea del bene, non resta che un individuo a cui è stato sottratto il pensiero in quanto inutile. Regna l’uomo nuovo a misura di capitale. Il nuovo essere liquido ha rovesciato ogni altare metafisico, per cui ha smarrito il sentiero che lo conduce alla propria umanità.
Resta il nuovo soggetto amorfo senza identità e senza etica. Ila scuola è diventare rilevante in tale fase totalitarista del capitale. Essa deve devitalizzare il pensiero e la razionalità oggettiva per allevare in serie l’ultimo uomo nietzscheano. Un uomo “piccolo piccolo” che conosce solo l’utile e gli investimenti e si percepisce come una azienda che deve arpionare l’utile immediato nella forma del piacere o nell’arrembaggio al mercato globale.
L’insegnamento obbligatorio dell’inglese, non si sceglie di studiare la lingua straniera nella libera democrazia liberale, si è obbligati all’inglese, consente di migrare e sradicarsi dalla patria. In tal modo la lotta politica si oblia, poiché dopo aver educato le nuove generazioni all’individualismo e alla violenza competitiva, se il sistema non risponde ai loro desideri, sempre inoculati, si può sempre diventare “felicemente migranti”. Il soggetto è libero di spostarsi nell’anglo-globalizzazione, ma non di pensarla. La libertà come condizione della coscienza vissuta è espulsa dal sistema educativo, per essere formazione alle richieste del mercato. L’istruzione e la formazione trovano il loro senso nell’educazione quale processo dello spirito che si apre e pone il mondo nell’atto di conoscersi. Le potenzialità si traducono in atti che strutturano personalità ontologicamente fondate senza sclerotizzazioni e chiusure.
L’educazione è cultura, in quanto è identità consapevole e riconoscimento della presenza dell’alterità. La cultura nella forma della paideia integrale è svalutata, è oggetto nel migliore dei casi di un compatimento, in quanto la parola che ossessiona professori, genitori e alunni è “A cosa serve?”. L’ utile è la museruola che sta silenziando il pensiero divergente e nel contempo produce il malessere generale non riconosciuto. L’utile, se diviene la legge dell’agire, minaccia tutti, in quanto nella logica strumentale, ognuno diventa “nessuno”, in quanto ci si addestra a considerare l’altro come un mezzo e non come fine. Il secolo degli spettatori con l’illusione di essere parte attiva del sistema è l’ombra prometeica che si allunga sulle teste di ciascun operatore scolastico.
L’istituzione ha rinunciato alla verità e al bene per adattarsi al modo di produzione capitalistico. La verità è lo sguardo olistico che riconnette le parti in strutture concettuali con cui il tempo storico è decodificato. La verità è olistica, ma non usa la categoria di totalità conchiusa, quest’ultima nega la verità che ritiene di possedere, in quanto fugge la dialettica e la storicità in cui si palesa. Il bene partecipa alla verità senza coincidere con essa. Il bene è in tensione con la verità, vi è tra essi una tensione eraclitea che mai li abbandona.
La verità è l’universale, il bene è il disporsi consapevole e non protocollare verso l’universale da mediare nelle contingenze con il logos. La scuola è l’istituzione nella quale la centralità dell’allievo in relazione alla comunità può essere messa in atto solo se il bene e la verità sono sincronici nell’attività educante. L’alunno dev’essere accolto nella sua concretezza relazionale, biografica e storica, affinché si possa costruire un percorso di formazione nella verità e nel bene.
La scuola è parte della società dei bisogni, è stata assimilata e cannibalizzata dall’individualismo a misura di mercato globale, pertanto prevale sempre più l’individuo astratto generatore di processi di valorizzazione sulla persona concreta. Senza verità e bene la didattica decade in burocrazia e in pianificazione per obiettivi. Su tutto campeggia il successo formativo quale prodotto dell’azienda scuola. Il successo formativo è eroso dalla competizione aziendale, è spesso solo uno slogan con cui attrarre nuovi iscritti.
Il ridimensionamento della storia fino ad ipotizzare la sua sostanziale eliminazione non può che essere organica al disancoramento della ricerca del bene comunitario e dell’umanità. La storia insegna a discernere il male dal bene mediante un’attenta analisi delle condizioni storiche e delle risposte ideologiche conseguenti. Essa insegna a cogliere i sintomi del male che avanza con la comparazione degli eventi storici trascorsi. Senza storia l’essere umano è senza identità patria e dunque, è esposto ad ogni genere di manipolazione.
Nella visione tecnocratica l’essere umano è senza volto e vita interiore: un automa consegnato al servizio del mercato e del capitalismo globale. È questa una visione del mondo che si traduce in una concezione della scuola come laboratorio al servizio del mercato, in cui il servizio pubblico diviene il vassallo del padrone-mercato. Si frequenta la scuola per uscire dalla caverna, se l’istituzione scolastica pratica l’adattamento al “buio” della caverna, giacché l’educazione è movimento maieutico verso il bene, il male diviene il fondamento della formazione nella forma dell’economicismo.
L’istituzione deputata all’educazione deve contribuire a evitare la caduta nella reificazione, solo nella relazione con la totalità della vita il soggetto impara a riconoscere i pericoli della caduta verso la condizione di ente catturato nelle maglie delle circostanze.
Pensare la totalità è pensare la verità e il bene, e questa operazione non può che avvenire nella storicità in cui è implicato-impigliato ogni essere umano. Senza fondazione metafisica l’essere umano è poca cosa, è un corpo sotto i riflettori del dominio, senza pelle, e dunque senza difesa. La consapevolezza di sé e della verità favorisce la valutazione etica della storia personale e collettiva e, questo, non può che consolidare relazioni finalizzate al bene comune. Un popolo senza “altare metafisico”, senza storia e senza memoria non solo banalmente può facilmente ripetere gli errori e gli orrori del passato, ma specialmente è colonizzabile.
Si vuole modernizzare la scuola privatizzandola nella gestione ed eliminando il pensiero astratto e critico. Un popolo senza metafisica, come già Hegel denunciava, è come una chiesa senza altare. La scuola senza metafisica del bene è un guscio vuoto nel quale si alleva una disumanità liquida. Senza il paradigma del bene gli eventi non sono che forza di gravità, la quale schiaccia persone e popoli sotto lo zoccolo duro della necessità. Il nichilismo rincorre la liberazione delle sole differenze per codificare l’onnipotenza del mercato che ne diviene il gestore omologante.
Il bene e la verità sono cancellati in nome della pianificazione aziendale della scuola che ricerca risultati spendibili e non investe nell’invisibile, ovvero nella qualità dello sviluppo formativo. La qualità è parola usata in modo improprio, poiché nel gioco dell’offerta formativa diventa produzione di progetti e iniziative da far consumare agli alunni e al territorio. Il fine ultimo è “vincere” sul territorio, diventare attrattivi con la quantità di iniziative che, spesso, non rispondono ai reali bisogni degli alunni, ma rispondono alle esigenze della comunità-mercato.
Le rivelazioni degli ultimi anni denunciano un drastico peggioramento nelle competenze della letto-scrittura in tutti gli ordini e gradi, ciò malgrado i voti continuano ad aumentare e le istituzioni dichiarano il loro raggiunto successo formativo. Per pensare il nostro tempo un ottimo potrebbe essere sollevare il “problema scuola”, in essa ormai specchio e ornamento del capitalismo si allevano i futuri fruitori del mercato e non certo persone nella loro integrità.
Ripensare la scuola significa riflettere sulla interalità di un sistema a misura di capitale e disumanizzante. Per riumanizzzare bisogna riverbalizzzare le nuove generazioni che hanno subito un pericoloso processo di deverbalizzazione. Si deverbalizza per dominare. Si ha paura del pensiero e delle parole, il sistema le combatte con la libertà senza senso del limite e dell’etica che si ribalta in oppressione e dominio. La libertà è divenuta silenzio pulsionale e calcolo finanziario.
Per resistere e avanzare coralmente dobbiamo avviare un processo corale di verbalizzazione del Mondo. È necessario ringiovanire il mondo con la forza della parola che fonda la politica e l’impegno e pensa l’alternativa al disastro antropologico in cui siamo.
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