Libertà digitali e di condivisione

Se io dò una cosa a te, io perdo una cosa e tu ne hai una in più; se io condivido un’idea con te, abbiamo entrambi una idea in più.

di Sergej - martedì 20 ottobre 2020 - 3092 letture

Non sapevamo neppure cos’era, non davamo nome alla “cosa” che stavamo facendo. Per noi era naturale, semplicemente: voler creare un sito in cui gli articoli del nostro giornale fossero completamente (gratuitamente) leggibili da chi si collegava in rete. Nel sito, l’insieme di file html unite da un file indice, con testi contenenti link che permettevano di aprire “pagine” del giornale. Vi pubblicavamo fin dall’inizio i testi degli articoli che pubblicavamo nell’edizione cartacea mensile; e in più altri articoli - così che fin dall’inizio l’edizione web di Girodivite era cosa parzialmente diversa dall’edizione cartacea - ma questo soprattutto perché i due mezzi (i media), quello web e quello cartaceo, permettevano di fare cose diverse, pur utilizzando contenuti (testi) analoghi.

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Open source, software libero e altre libertà - di Carlo Piana

Era il 1995 e avevamo avuto la fortuna di trovare un provider che teneva i suoi server in un garage, avevamo contrattato lo scambio equo: in cambio della pubblicità sull’edizione cartacea, spazio e sito nel server del provider. Passano pochi anni, e mettiamo online - ormai in una situazione diversa - Antenati, storia delle letterature europee: oltre 5 mila schede dedicate ad autori opere e schede storiche di letteratura. Anche qui, mai ci venne in testa che si potesse “far pagare”. Le idee, le informazioni, i contenuti, erano per noi idee informazioni e contenuti destinati alla libera lettura: fatti per circolare, per fare un servizio. Poco dopo abbiamo scoperto che quello che facevamo si chiamava “open source” e “open content”. Che c’erano altri che facevano lo stesso, che esisteva una elaborazione culturale (e politica) al riguardo. Alla fine degli anni Novanta era in fondo tutto definito. Noi eravamo parte delle cultura open. E accanto a noi c’erano LiberLiber, PeaceLink, le Città invisibili, FreakNet, i tanti compagni e compagne e le realtà sociali sparse in tutta Italia. Poi vennero “loro”, quelli che pensarono che la cosa era diventata sufficientemente grossa da poterci fare un business. E il web cambiò volto. Scartò in direzione altra rispetto a quella che avevamo praticata fino ad allora. Lo scoppio della bolla, doppiato il 2000, non ha mutato significativamente le cose. Da una parte il processo di privatizzazione del web, dall’altra la formazione di blocchi continentali che creano frontiere (linguistiche, statali, economiche) lì dove prima esisteva un unico web. Chi fa open content e open source, si muove nei nuovi marosi, si naviga tutti a vista, ma continuando a pensare e pensarci come liberi cittadini del web, in cui la logica della condivisione è più importante della logica del profitto.

Il libro di Carlo Piana, "Open source, software libero e altre libertà" edito da Ledizioni di Roma ha come sottotitolo "un’introduzione alle libertà digitali. È un utilissimo libro divulgativo, che dà un quadro - con linguaggio accessibile a tutti - a una delle cose più importanti che siano emerse negli ultimi cinquant’anni nell’universo tecnologico e sociale occidentale. Quello delle libertà digitali, e di cose come l’open source, il software libero e l’open content. Mentre le vecchie realtà sociali e gruppettare ancora discutono in termini ottocenteschi di "comunità" e vi si rinchiudono dentro, impaurite dei processi in atto, alla ricerca della rassicurazione narcisistica dei propri specchi, il conflitto di idee e di cose che è stato proprio della modernizzazione della rivoluzione digitale ha prodotto - crediamo - posizioni più avanzate. Certamente il mondo digitale non è andato nella direzione di una liberazione, se non marginalmente e in una prima fase ristretta; la macchina del capitale e l’istinto di profitto ha divorato una parte di quel mondo e ha dato una sterzata (in senso "commerciale") a questa rivoluzione. Sotto lo sguardo apparentemente distratto degli apparati statali, in realtà pronto a cogliere la mela quando fosse maturata: è quanto avvenuto. La mela è stata colta, il sistema capitalistico se ne è subito impossessato in parte rinnovandosi, gli apparati statali sono intervenuti per gestire e rimodellare il mondo sotto la duplice spinta delle esigenze di "sicurezza" (cioè di controllo orwelliano delle popolazioni) e di tassazione (per alimentare se stesso, non certo per ridistribuire il reddito, all’interno del modello culturale neoliberista che prevede la formazione di una oligocrazia).

Il libro di Piana rende conto dello stato dell’arte sul pensiero e sui risultati giuridici che l’idea di open source e open content hanno costruito in questi anni. Fino alle Creative Commons Licenses e agli open data. È lo sforzo militante e libertario di singoli individui ma anche di comunità (come è Girodivite, o Wikipedia, o PeaceLink ecc_) di voler continuare a pensare che la conoscenza è liberazione e libertà, e che la conoscenza non può essere "possesso" di pochi. Ma va diffusa, e condivisa, "messa a disposizione". Il libro di Piana è una tessera di questa idea. Che è ora, spero, anche tua.


Open source, software libero e altre libertà : Un’introduzione alle libertà digitali / Carlo Piana ; prefazione Roberto Di Cosmo ; postfazione Simone Aliprandi. - Milano : Ledizioni, 2018. - 155 p., [5] : 20 cm. - ISBN 978-88-67057-66-5.



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