Liberarsi dalla (tele)visione
Un’utopia
Mi è capitato, dopo alcuni mesi, di vedere dei programmi televisivi. E mi è parso sempre più evidente che questo strumento –il quale in passato ha svolto una qualche funzione educativa ed emancipatrice- si è trasformato in un veicolo di manipolazione «ontologica». Con questo aggettivo voglio dire che la sua natura asservitrice non dipende né dalle diverse Reti né dai differenti programmi ma è intrinseca al mezzo stesso.
Esso è caratterizzato, infatti, da tre elementi: l’iconocrazia, la finzione, la pubblicità.
L’iconocrazia è la trasformazione della vita politica e sociale in lotta per la presenza in televisione, per il tempo e gli spazi che in essa si ottengono. La realtà e l’immagine coincidono senza più residui. Ma poiché un mezzo tecnologico non può comprendere in sé l’intero, diventano determinanti la scelta dei temi da affrontare, il taglio con cui lo si fa, la durata e la persistenza delle notizie. Procedure che rendono l’informazione –da qualunque fonte politica e ideologica essa provenga- una parte del mondo che però pretende di rappresentare il tutto, nell’interesse di chi detiene una qualche forma di potere (politico, religioso, culturale, sportivo…) e con l’esclusione di qualunque voce realmente alternativa al pensiero, ai costumi, al gusto dominanti. Anche gli altri mezzi di informazione, certo, seguono queste regole ma il potere delle immagini è incomparabilmente più grande, esteso, pervasivo.
La finzione è connaturata al mezzo, come lo è al cinema e alla fotografia. La fiction vera e propria ha lo scopo di distrarre e inebetire chi si incolla a sceneggiati, varietà, salotti e programmi gastronomici che sembrano innocui e che invece rappresentano e diffondono ben precisi valori conformisti; gli onnipresenti quiz a premi affermano l’importanza assoluta del danaro (al di là della idiozia dei loro contenuti…); nei vari reality e trasmissioni polemiche la volgarità, l’urlo, l’arroganza, la maleducazione diventano lo stile di esistenza da ammirare e praticare.
Ma il vero obiettivo di tutta la macchina televisiva è il circuito della produzione-consumo-mercificazione. Per questo la pubblicità è l’essenza della televisione. Come è ovvio, non sono gli spot a interrompere i programmi ma sono i programmi a essere costruiti in funzione degli spot pubblicitari e delle televendite.
È per questo che una diminuzione significativa degli introiti pubblicitari segnerebbe la fine delle risorse del berlusconismo e degli altri grandi gruppi finanziari che controllano e manipolano l’informazione; il crollo di audience dei programmi imbecilli e rimbecillenti porterebbe alla loro chiusura; liberi dalla presenza invadente e ossessiva di questo elettrodomestico, le persone tornerebbero a parlarsi durante i pasti, a rendere più creativo il proprio tempo libero, a pensare.
Il televisore, infatti, è diventato il vero chip capace di entrare nella mente profonda delle persone e condizionare non le loro scelte politiche ma la loro (tele)visione del mondo, dalla quale quelle scelte scaturiscono. Rinunciare al televisore è oggi un vero atto rivoluzionario, politicamente rivoluzionario.
Sembra impossibile ma posso testimoniare che senza quest’oggetto non solo si sopravvive, si vive meglio. Più padroni di sé, delle proprie giornate e serate, dei propri pensieri, dei propri errori. Più liberi.
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Quoto in pieno quanto scritto, e apprezzo la ricchezza dei contenuti nonostante le poche righe. Aggiungerei solo una cosa: a rendere la triade (iconocrazia, finzione, pubblicità) ancora più potente e indistruttibile è un fatto tanto scontato quanto fondamentale: l’impossibilità, da parte dell’utente, di un qualsiasi tipo di interazione con la televisione. Questo mette tutto il potere nelle mani di chi riprende a scapito di chi guarda, che si ritrova ad essere, spesso inconsciamente, solo uno spettatore passivo. Se la radio consente a volte qualche telefonata da parte di chi ascolta e i giornali si collocano a una via di mezzo (si può scegliere che articoli leggere, ma solo tra quelli proposti), internet è da questo punto di vista un mezzo diametralmente opposto alla televisione. Più ricco, utile, funzionale, e soprattutto libero.
io l’ ho spenta da anni. risultato: quando esco di casa mi rendo conto di colpo del punto in cui è il mondo, di quanto si sia adattato all’ inganno, alla crudeltà, alla morte, come si è anestetizzato, a furia di vedere tutto come un film. nel migliore dei casi mi sento una disadattata.
Caro Alberto, leggendo di recente un bel libretto di Tullio De Mauro ho scoperto che e’ appena entrato nella nostra lingua un neologismo intelligente, domesticazione, che e’ la traduzione italiana di domestication, termine coniato nei primi anni ’90 da Allan Bell, studioso del linguaggio dei media, con cui si denota, chiosa De Mauro, ‘la propensione (specie televisa) a parlare di fatti lontani come se fossero banalità casalinghe’. In questo senso la televisione tende a banalizzare, appiattire, ridurre all’ovvio. Tantopiu’ ci allontana dalla comprensione della realtà quanto più pretenderebbe di spiegarcela. Ma siccome il linguaggio della comunicazione, formale e informale, e’ sempre piu’ esemplato e schiacciato su quello televisivo (basta leggere un qualunque articolo di giornale o la maggior parte dei messaggi che viaggiano su Internet: pensa, a questo proposito, alla insignificante frenesia dei dibattiti) allora mi verrebbe da concludere che, oltre a spegnere la Tv, forse dovremmo anche riflettere su cosa farcene del computer e delle gazzette. Cari saluti. Marino.
Credo che il (tele)vedere nasca dal bisogno di riconoscersi dentro quel dramma in terza persona che manca alla comune vita dell’io. Affidandosi all’immagine,la quale "sazia" più della parola scritta (condivio con il prof Biuso il termine "iconocrazia"),l’immaginario televisivo impone un modo finto ma bello in cui scivolare comodamente per coprire un silenzio,oziare, consumare i pasti o semplicemente appassionarsi alla vita altrui, tramite fiction e reality. Il termine reality-televisivo è un paradosso che spaventa. Il messaggio subliminale?
riconosci te stesso in uno dei personaggi
seguilo 24 ore su 24
Affezionati : anche lui, come te, si arrabbia, corteggia, ha fame, piange, ha una storia da raccontare.
Tralasciando pochissimi programmi più o meno salvabili, (tele)visione è la pseudo bellezza dei lustrini, dei corpi, del consumo e adesso anche dei surrogati di realtà. Essa rappresenta l’intrattenimento visivo che difficilmente potrà sparire da una società in cui la pubblicità è diventata Arte, vedere è più importante di ascoltare, rispondere a una domanda ti regala 500 euro ( e miei 25 euro al giorno per otto ore di lavoro al bar? E i 350 euro al mese del mio amico che lavora in fabbrica?) e televotare è l’illusione di partecipare alla vita. Reali(ty)zzata con sudore, intendiamoci
Caro Alberto, la tua proposta-provocazione mi sembra interessante e facilemente realizzabile. Non è infatti difficile avere l’istinto di spegnere il televisore dopo averlo noiosamente o curiosamente acceso (almeno è quello che capita a me). Devo anche dire che talvolta è risultato istruttivo, nel senso di un aggiornamento sugli interessi più diffusi e le propensioni più consolidate della maggioranza, osservare programmi di vario genere, dai dibattiti ai reality, dalle proiezioni cinematografiche scelte alla struttura stessa che viene data ai palinsesti. Io la televisione la guardo, ma mai di giorno, solo la notte. E ho scoperto un mondo diverso, inedito, molto spesso istruttivo . Ho visto programmi che potevano dirsi culturali,dedicati ad approfondimenti su personaggi del mondo della musica, del teatro, del cinema e persino della letteratura. Ho visto un bellissimo speciale su Menotti e la sua concezione moderna dell’opera musicale, un servizio su Lévinas, le ultime regie teatrali di testi di Beckett e molto altro. E non si tratta di canali tematici del satellite ma della tv nazionale, che quando vuole può fornire un servizio di più alto profilo. Capisco bene il tuo discorso e lo considero fondato oltre che sano,responsabile e rispettoso di quella capacità di intelligere che l’uomo possiede ancora se solo si decidesse ad usarla. Volevo solo spezzare una lancia per quel poco di buono che esiste ancora e che è confinato ai margini, relegato in quelle fasce orarie frequentate da quei pochi come me che non hanno un sonno facile e sentono la notte come un momento privilegiato di silenzio e riflessione...di grazia! Grazie della sollecitazione Arianna
Bellissimo messaggio, arianna, condivido pienamente quanto hai scritto, soprattutto sulla programmazione notturna, che cinematograficamente parlando, riserva spesso splendide sorprese (basti pensare a "Fuori Orario", su Rai Tre). Aggiungerei solo una piccola notazione: pur condividendo il pensiero del professore, ritengo sia molto più adulto accendere la televisione, anche solo per spegnerla dopo un rapido zapping. Se tanti spettatori lo facessero, potrebbe scaturire un cambiamento rivoluzionario nei palinsesti. Il problema è che la televisione è solo uno specchio (e neanche troppo deformato) della nostra società.
Mi sento molto in sintonia con quanto scritto da Arianna, ma aggiungo che reputo il prodotto-programma televisivo, così come qualsiasi altro, assoggettato alle leggi del mercato, pertanto, è la domanda a produrlo, quindi, reality, quiz e quant’altro di negativo, volgare ecc.. viene considerato da un 20% del pubblico televisivo è sempre l’80% a richiederlo e seguirlo. intendo dire, che, non credo possa provocare un risultato significativo se il 20% rinuncia alla televisione, visto che questa stessa percentuale non segue i prodotti spazzatura, ma a monte fa una elezione; non mi scaglierei contro lo strumento, ma contro il suo utilizzo e mi chiedo perchè la maggior parte del pubblico televisivo (esseri umani) vuole essere "ontologicamente" manipolato? Ciao, Anna
Cara Anna, io credo che il mercato sia un idolo-truffa e che se alla gente dai cose buone si abitua a quelle, se dai spazzatura si abitua pure. Non dipende quindi dal "mercato" in quanto tale ma dai suoi padroni.
Un’allieva mi ha inviato il suo commento tramite mail. Le ho chiesto di renderlo pubblico perché quanto sostiene a proposito della televisione (e degli umani) è così vero e fecondo da non poter rimanere mio privilegio di unico lettore. Con qualche ritrosia, G. mi ha autorizzato a riportare parte della sua lettera.
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«L’uomo ama ciò che vorrebbe essere, ma odia ciò che non è; così ammiriamo un cavallo giovane, o un grande felino, poiché essi sono l’immagine di ciò che desideriamo divenire: potenti, forti, belli. Ma al contempo soffriamo nel guardarli, poiché è troppo doloroso sopportare la propria inferiorità...
Lo stesso accade con la televisione: le persone si stringono attorno alla sua voce, ai suoi colori, alle sue sorprese, poiché essa esprime ciò di cui brucia loro la mancanza -il coraggio, la fama, la parola giusta al momento giusto... la popolarità, il successo. ...Perché anche loro vorrebbero essere eroi! Eroi come i medici di ER, come gli agenti di CSI... e tentano di nascondersi ciò che Achille aveva compreso così bene: che i veri eroi non tornano mai.
E le loro risposte saranno sempre “par l’escalier”.
L’umanità è mediocre. Noi tutti siamo mediocri, meschini, falsi -anche i migliori di noi, poiché in ciascuno c’è dell’umano. ...E lei vorrebbe togliere all’umano questo piccolo conforto? Il conforto di poter dire a se stesso: "non pensare, guarda" (e così rido anche delle parole di Wittgenstein!).
La folla è un animale domestico. Quando sembra selvaggio sta soltanto cambiando padrone. Perciò lei non può togliergli la televisione, non può togliergli i suoi giocattoli -lo stadio, il tabacco, la pornografia scadente- poiché otterrebbe soltanto di disorientarlo, come un micetto senza più baffi. Ma, per dirla con Victor Hugo, "qu’un chat puisse se changer en lion, les prefecteurs de police ne le croyent pas possible; cela est, pourtant." Ma diverrebbe un leone stupido, criminale, omicida -perché egli è stato omicida fin dal principio.
...E il peggio è che non è ancora finita».