Lettere marziane 2
19 Settambre 2009.
LETTERE MARZIANE.
Lo spettacolo ha inizio. L’attesa.
Immagine d’altri tempi, la plebe sugli spalti, l’arena si estende polverosa. Lo spettacolo ha inizio. I leoni si muovono nervosamente dentro le loro gabbie. I gladiatori sono pronti ad entrare per combattere la battaglia della vita e della morte…il tempo si ferma, dentro il sole cocente, dentro l’attesa. Tempo dei lumi e degli illuminati, l’opera teatrale apre la sua arte alla gente. Il teatro si veste dei personaggi necessari alla rappresentazione. Il pubblico spinge e si fa posto in platea; il tempo rimane sospeso, in attesa che lo spettacolo abbia inizio…. Sera di fine estate, fresca al punto giusto; c’è voglia di rimanere alzati a passeggiare, a guardare i negozi aperti fino a tardi. Stanotte si può, è la notte bianca a Catania. Un’iniziativa presa in prestito dall’esperienza di altre città. La notte della gente che s’incontra, va a fare shopping, a sentire il suo musicista preferito. È bello proseguire fino alla fine della strada, davanti a me la difficoltà di vedere il duomo perché la piazza dell’Università è gremita di gente, tutti rivolti verso il palco, in attesa… Mi faccio spazio tra la folla, utilizzando tutta l’ironia del caso, facendo leva sullo spirito giocoso che viene fuori nei momenti più difficili, come quando cadi con tutto il tuo peso sulle ginocchia. È così forte ed indescrivibile il dolore che non puoi fare altro che…ridere. Corridoi di esseri umani che ballonzolano da un piede all’altro; sembra la coreografia di una danza, o forse un’istallazione. È curioso vedere come ci muoviamo a frotta da una parte all’altra, alla ricerca di un posto migliore dove sostare, guardandoci intorno come se cercassimo qualcuno. Sembra una bolgia infernale dantesca, quella dei cercatori senza pace. La mia meta è chiara; la direzione è la pole position, un posto in prima fila. Con fatica raggiungo l’obiettivo, sotto lo sguardo indispettito degli astanti. Mi da un po’ fastidio il loro atteggiamento, ma infine scopro il motivo dello sguardo torvo. È quasi mezzanotte, il video proietta l’immagine con gli appuntamenti della serata. In altra sede si svolge lo spettacolo di lirica. Va in scena la Norma di Vincenzo Bellini. Nella piazza dell’Università, cioè li dove siamo, il concerto di vari gruppi famosi, alcuni di Catania. È stato organizzato tutto per bene e la gente partecipa numerosa…qual è il problema allora. In prima fila ci sono coniugi, anziani e non, un paio di ragazzi; tutti alquanto spazientiti. Ci sono due ragazzi che vorrebbero saltare la transenna addirittura, e andare a sedere. Sedere? E dove? Mi sporgo oltre e capisco…Tre o quattro file di sedie vuote, anche loro in attesa. In attesa che un paio di culi importanti li tolgano dall’impasse, facendogli espletare al meglio la loro funzione. Si ripete la scena, anche in questo tempo una sospensione, un’attesa: del re, del principe, dell’uomo politico, da parte del plebeo, del vassallo, del cittadino comune. Iniziamo a fischiare ed urlare un po’ d’improperi. Ci spiegano, al mio amico e a me, neo arrivati, che la nostra non è un’idea originale visto che è dalle dieci della sera che si urlano. Le hostess, dall’altra parte della transenna, quella con le sedie, hanno già spiegato che non ne sanno niente. Un’addetto alla sorveglianza ci dice che si attendono le autorità, che lo spettacolo di opera lirica non è ancora finito. Dalla parte della transenna dove siamo noi, nascono discussioni e forum all’aperto. Il succo è: Catania è una città provinciale e invivibile, fuori, anche di pochi chilometri, a Malta per esempio, è già tutto diverso. Qualcuno difende i poveri musicisti che non hanno nessuna colpa. Spieghiamo che non ce l’abbiamo con loro, ed ancora commenti su come sia meglio vivere fuori da questa città. C’è chi richiama il dictatis di Tomasi di Lampedusa sullo stato di questa terra, di eterni principi ed eterni sudditi. Ognuno è d’accordo che la cosa migliore sarebbe liberare la piazza; che il concerto lo seguano loro, le autorità; da qui si passa agli apprezzamenti sulla bravura degli artisti che, prima o poi, si esibiranno. Ogni tanto un accenno a lasciare la piazza e sul più bello, il colpo di scena. Dal palco arriva il suono di un pianoforte. È lui, il musicista? No, naturalmente, è l’intrattenitore. Con l’ultimo briciolo d’ironia che ci rimane, ipotizziamo che sia appena uscito dalla facoltà di Scienze dell’Educazione, assoldato al compito di intrattenere l’utenza che scalpita. In realtà la sua capacità interpretativa smentisce subito le supposizioni. Mi risolvo di lasciare la piazza, mentre qualcuno ingenuamente m’incoraggia a non mollare. Non sento l’esigenza di aspettare. Ho parlato, ho urlato, ho ironizzato. Poi sono andata via. Ho continuato a passeggiare verso casa, percorrendo una via storica ed amata dagli artisti, vissuta dai giovani catanesi, dentro e fuori le mura del loro Istituto d’Arte, nell’arco di vent’anni: La Via Crociferi. L’immobile è stato confiscato dal Comune che ha chiesto lo sfratto ai suoi inquilini, cioè gli studenti ed i professori dell’Istituto. Lo storico immobile, simbolo dell’arte in cantiere di questa città, sarà adibito a biblioteca comunale. Mi chiedo adesso a cosa può servire una biblioteca, se stanno pian piano facendo fuori la scuola e l’istruzione. Chi ne usufruirà? Forse i milioni di disoccupati, per passare un po’ il tempo? La strada è sempre occupata da tanti ragazzi: s’inseguono, pogano senza un ritmo, s’incontrano, si promettono amore eterno; Per la prima volta sono colta da un brivido nel vederla abbandonata allo squallore insieme ad un’adolescenza in balia di se stessa. Sono all’imbocco della via, non ho ancora superato la scuola. Da lontano vedo le scalinate della chiesa, ed alcuni ragazzi buttati lì. Di fronte altri due ragazzi si inseguono; altri si lanciano verso la porta in ferro di un negozio chiuso, sbattendoci tutto il corpo, con violenza. Ad un tratto mi sembra di vivere una scena del film “1999 fuga da New York”. È come se su questa strada fosse caduta la notte imperitura, e nuove creature iniziassero ad abitarla. Creature senza senso, senza direzione. Non i panca bestia, non accattoni, ma ragazzi comuni anche un po’ fighetti violentemente senza senso. Prima di incrociare la via di Sangiuliano, vedo un negozio di artistica, anch’esso storico: è chiuso, in vendita. Ripenso allo stato d’arte dell’arte, in questa città. In questa notte bianca piena di concerti sparsi nei quartieri storici: Musica lirica, musica classica, musica rock, mi chiedo a quale arte fa riferimento, a chi si rivolge? L’arte è sempre esistita per la gente, l’arte è della gente che la sviluppa in sé e la trasmette. Chi partecipa dell’arte istituzionalizzata, partecipa della svendita che si è fatta dei luoghi storici per la sua fioritura; è complice di un degrado culturale che riduce tutto all’unica importante attesa, perché ancora una volta i giochi iniziano subito dopo il regale inchino. Questa non è arte; è il rigurgito falsamente benevolo di un’antica classe sociale, quanto mai allo sbaraglio, che ha gettato la maschera della propria impunità, riuscendo a far vigere il proprio potere sulla folla inferocita, che rimane ancora una volta in attesa… Il concerto alla fine, ha inizio. L’orda rivoltosa si quieta, dimentica e si gode lo spettacolo. Rosalba Cancelliere
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