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Lentini e la famiglia Beneventano

La storia recente di Lentini intrecciata con quella della famiglia Beneventano. Quel senatore che diede lustro all’agricoltura. Dibattito acceso sulla destinazione d’uso del palazzo della storica dinastia lentinese.

di Salvatore Jannitto - domenica 26 agosto 2018 - 11813 letture

La redazione di Girodivite ringrazia il prof. Salvatore Jannitto per il permesso di ripubblicare online su questa testata l’articolo che è stato pubblicato nel gennaio 2015 sulla rivista "L’Artigiano", anno XXX, n. 1, pp. 6-7.


La gentile e cara prof. Marisa Cardillo ha scritto un bell’articolo sulla famiglia Beneventano e la sua residenza lentinese, oggi proprietà del Comune di Lentini.

Benché il titolo sia, ovviamente redazionale, riconosco che un dibattito in Città ci sia stato, che sia stato acceso non m’è parso e non credo d’essere distratto sul tema. È però vero che la nostra cara Amica l’ha proposto sì il dibattito, ora per la seconda volta, con vivo senso civico e culturale, ma non mi pare che la sua suggestione sia stata accolta. Lo scrivente tentò di offrire un anno fa, ma... D’altronde da un po’ d’anni, a Lentini, pare sia difficile che possano accendersi accesi dibattiti su qualsivoglia tema civile.

Lo scrivente si permette proporre qualche riflessione sull’argomento - desidera infatti davvero acceso il dibattito in Città - tenendo distinte le due parti del contributo della gentile Amica, una parte riguarda la storia di Casa Beneventano, un’altra riguarda la residenza e il suo uso cittadino.

La famiglia Beneventano

Quanto racconta Giuseppe Luigi Beneventano in un suo opuscolo agiografico del 1901 sulla storia antica della famiglia non è documentato, è narrazione familiare, affettiva, non storica, ossia fondata su documenti. È sicuro, comunque, l’acquisto della baronia del Bosco Alfano prima e dopo della baronia della Corte nel XVII secolo.

Né è attestato da documenti che "la storia di Lentini si intreccia con la storia della famiglia Beneventano", infatti se è vero che molti documenti - le campane dell’ex Cattedrale - dicono la presenza dei Beneventano nella storia della nostra città, coi Bonfiglio, Calascibetta, Scammacca, è vero che come questi s’impoveriranno - in particolare dopo il terremoto del 1693 - fino a perdere molti beni. I Bonfiglio di Carmito perderanno il feudo Carmito, pur conservando il predicato baronale. Anche la famiglia Beneventano, ripeto, s’impoverirà, ed infatti qualcuno si trasferirà a Carlentini, dove nascerà poi il futuro senatore Giuseppe Luigi nel 1840. Il padre Saverio sposa nella cittadina la giovane Concetta Modica, figlia d’una famiglia di recente arricchimento. In questa cittadina continuarono ad abitare i fratelli minori del barone, Luciano ed Angelo.

Il ramo primigenito Beneventano del Bosco, economicamente più dotato, nel primo ’700 si trasferisce a Siracusa, dov’erano già andati i Gargallo, mentre gli Scammacca e le famiglie più ricche dei Sigona e dei Tedeschi con altri andranno a Catania. Resteranno a Lentini le famiglie nobili impoverite - alcune a poco a poco scompariranno: Bonafede, Jannelli, Puccetti - e i nostri Beneventano della Corte, anch’essi, ripeto, impoveriti.

La diminuzione di ricchezza produrrà la dimenticanza del predicato baronale, come si può constatare dalla lettura degli atti di Stato civile dal 1820 in poi - i Beneventano son definiti nobili, non baroni - ma il Principe Ruffo della Scaletta in data 6 maggio 1820 invia una lettera [1] a "Sua Eccellenza il Barone Beneventano, Prosegreto". Il destinatario della lettera era D. Saverio, 2° del suo nome, che morirà il 6 novembre 1830, in casa propria situata in Strada Quattro Cantoni, che è la casa che noi conosciamo. Il predicato baronale sarà pubblicamente ripreso nel secondo ’800 coll’aumentata ricchezza e, infine, col riconoscimento formale della Consulta Araldica nel 1900, essendo la pratica curata presso l’ente dall’avv. Francesco Sgalambro.

Ancora, la storia di Lentini dell’800 non vede i Beneventano protagonisti. Dopo un forte contrasto colla famiglia Fuccio di Sanzà, con atti eclatanti ai limiti del codice penale del tempo, i Beneventano hanno pochi interessi pubblici. Le due vendite carbonare lentinesi non li annoverano tra gli aderenti [2] sono tra questi altresì esponenti Bonfiglio di Carmito, Fuccio di Sanzà, Magnano di San Lio, coi borghesi Bugliarello che s’imparenteranno coi Fuccio di Sanzà. Questo vale anche per l’amministrazione cittadina che vede la presenza dei San Lio, dei Di Geronimo, dei Perrotta, che sono famiglie nobilitate dopo il terremoto del 1693, coi borghesi Consiglio, Arrigo, Bonfiglio intesi Biddicchiu, Meli, Santapaola [3].

I Beneventano del primo ’800 ed oltre sono dediti, coi fratelli Francesco e Benedetto, celibi, zii del citato Giuseppe Luigi, a restaurare le sostanze di famiglia, acquisendo, con Francesco, la Percettoria, cioè l’ufficio del catasto del Regno delle Due Sicilie, colla cui famiglia regnante, i Borbone, non contrastano, non per solo interesse ma pure per consonanza politica, culturale. Benedetto curerà le proprietà che man mano sono acquistate.

L’amministrazione comunale lentinese del nuovo Regno d’Italia vedrà impegnati il barone Giovanni Fuccio Corbino, il barone Salvatore Perrotta, i Magnano di San Lio e, soprattutto, i borghesi Bugliarello, Consiglio, Insolera, Liberto, poco i Beneventano.

Giuseppe Luigi e il figlio Francesco di Paola saranno sindaci a cavallo tra l’800 e il ’900, apportando sicura innovazione per Lentini.

Questo varrà anche per la chiesa lentinese, che avrà un solo Beneventano ecclesiastico, mentre non si contano i Consiglio, gli Jelo, i Jannitto, i Liberto e, pure, i Magnano di San Lio. A metà ’800, quando si decide di ricostruire il fercolo, la vara, di sant’Alfio, presidente del comitato è D. Alfio Bugliarello, i Beneventano sono tra i tanti contributori munifici, e potranno donare l’elegante sedia argentea del Santo solo ai primi del ’900 col Senatore.

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Il Barone Giuseppe Luigi Beneventano IV

Di questi vale la pena parlare un po’, di Giuseppe Luigi (1840-1934), 4° del suo nome, perché persona certo di notevole levatura intellettuale, che fa notare la sua competenza nella gestione delle estese proprietà agrarie come impresa, impresa capitalistica, con attenzione alla tecnica agraria e al suo uso più moderni, che non sfuggirà al governo del tempo per proporne l’elezione a Senatore del Regno da parte del Sovrano.

Certo molte proprietà dovettero essere acquistate a prezzo non elevato, perché molti erano i proprietari in difficoltà finanziarie, però il nostro si mise sotto per renderle redditizie, anche con l’assistenza di impiegati e maestranze esperti.

Giuseppe Luigi Beneventano studia i problemi politici, economici, giuridici, pubblica le sue conclusioni, per far conoscerle agli interessati. Nel 1874, all’età di 34 anni, è eletto deputato al Parlamento per il collegio di Augusta per la XII legislatura che dura due anni.

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Documento storico del 1894 sulle condizioni economiche della Sicilia

Alla fine del secolo sarà candidato a Catania, sempre per la Destra, ma nel collegio è confermato Giuseppe De Felice.

Sono tutt’oggi consultabili almeno sei pubblicazioni del Senatore, riguardanti la perequazione fondiaria o l’approvvigionamento dell’acqua potabile a Lentini, la rete viaria.

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Documento storico per l’acquisto della conduttura di acqua potabile di lentini

Nel 1908 il barone Beneventano della Corte è eletto Senatore del Regno. Certamente la cosa suscitò notevole entusiasmo a Lentini, e non solo. Furono stampati manifesti pubblici, furono gridati degli evviva. La Città ne fu contenta ed orgogliosa.

Ma di lì ad un quindicennio circa la Storia d’Italia è sconvolta fino a porsi in discussione le libertà costituzionali - ahinoi con scarsa determinazione difese dal Sovrano - ma da alcuni Senatori difese sì. Cosa che non sfuggì allo Storico, essendo però sfuggita a tanti lentinesi, di letture non eccellenti.

Mi riferisco alla votazione del 12 maggio 1928 in Senato, definita da Luigi Salvatorelli [4] "l’ultima battaglia liberale". È in votazione l’ordine del giorno Garofalo, disegno di legge che toglie ogni freno al potere governativo, "creando un’assemblea fantasma". Uno dei 46 votanti per appello nominale, contrari all’ordine del giorno, che lo Storico ritiene dover elencare, è il nostro concittadino Giuseppe Luigi Beneventano. Questi è in bella compagnia, con Luigi Albertini, Benedetto Croce, Francesco Ruffini, Vito Volterra ed altri.

Quando lessi, un po’ di anni fa, la pagina, un grande orgoglio mi prese, che fece giustizia di tanti pettegolezzi.

Nell’aprile del 1934 ai funerali non fu presente alcun esponente del Governo, rappresentato dal Prefetto di Siracusa. Il Tenente dei Carabinieri per formare il picchetto per gli onori militari dovette raccogliere i Carabinieri di Lentini e Carlentini.

Papà raccontava in famiglia che il Tenente fece di tutto per fare il picchetto. In Senato per la commemorazione fu pronunciata solo una proposizione di circostanza il 1 maggio 1934, dove si dice della sua scarsa attività, pur sedendo in Senato da molti anni.

L’avvocato Francesco Sgalambro, nella sua orazione funebre letta il 2 aprile 1934, nella chiesa di San Giuseppe, riferisce che l’on. Giuseppe De Felice abbia definito il Senatore "il conservatore più illuminato di Sicilia" (p.6), accogliendone molte volte il contributo di idee e di attività.

È in ogni modo ascrivibile alla sua gestione l’inizio della crisi finanziaria della famiglia, pare, per l’acquisto dell’ex feudo Cuppodia, non studiato a dovere, che risultò ipotecato dopo l’acquisto. Il barone dovette pagare le cospicue ipoteche dissanguandosi e i nipoti - il figlio Francesco, detto ’u baruneddu, era morto a 67 anni nel 1931 - i cui stili di vita non erano moderati, finirono per far interdire il nonno. Il Barone, il Senatore del Regno finì per essere un amministrato, ne soffrì assai.

Al Senatore succedette il nipote Giuseppe Luigi Beneventano, 5° del suo nome - detto ’u baruncinu, ’u balluncinu, volgarmente -, che è stato probabilmente vissuto dalla famiglia come una disgrazia, anche perché nato nella fase di alta sua rinomanza, intorno al 1890. I genitori Francesco di Paola Beneventano e Lucrezia Geronimo erano primi cugini. Pare che il barone Giuseppe Luigi, padre di Francesco, non volesse le nozze, che ostacolò, fin quando gli fu possibile. Il ragazzo fu certamente curato e provvisto della terapia e degli strumenti adeguati di educazione fisica, secondo i tempi, però crebbe viziato, doveva essere nervoso, sposò giovane la signorina Gaetana Cannavà, di Augusta. Quando la signora non fu più in grado di sopportare il carattere del marito, si separarono e andò ad abitare in casa della figlia Maria sposata baronessa De Geronimo. I rapporti coi sei figli - due maschi e quattro femmine - furono poco affettuosi.

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Il Barone Giuseppe Luigi Beneventano V e signora

Accudì Giuseppe Luigi la signora Anna Sidoni, abruzzese, verosimilmente conosciuta a Roma. La signora Sidoni era probabilmente poco garbata, e non dobbiamo dimenticare il carattere del barone, perciò il dottor Federico Bugliarello, medico di famiglia, che curava in particolare la signorina Jolanda Beneventano, persona poco padrona di sé, da quanto ho capito, abitante col padre, si vide costretto a richiamare la signora Sidoni a maggiori cura e attenzione verso la signorina. È credibile che la signora abbia portato con sé, morto il barone, degli oggetti della casa più o meno pregevoli, ma non possiamo escludere che li abbia avuti in dono.

Il dono più grande che le è stato fatto è la dedica lusinghiera del fascicoletto Che cosa sono i dischi volanti?, senza data ma del 1952, che ci fa parlare del suo essere "eccezionale studioso di scienze matematiche e fisiche".

Giuseppe Luigi Beneventano 5° non lo è stato.

Si applicava alla matematica e alle scienze, con chiara competenza ed estro di sicuro, ma nulla di eccezionale. Fisico di alto livello, cioè di livello universitario, è stato il figlio Marcello, che ha insegnato all’Università di Roma, ch’era conosciuto negli USA e che ha pubblicazioni scientifiche anche con altri professori di fisica come Carlo Ballario.

Certamente l’amministrazione Beneventano non ha brillato anche col suo 5° Giuseppe Luigi, ma non mancarono i suoi gesti mecenati, col Centro Studi Notaro Jacopo, per esempio, cui metterà a disposizione degli ambienti vasti per farne sede.

Questa fu caratteristica della famiglia, così come l’amore per le scienze e la tecnica, che più sopra ho messo in rilievo riguardo l’agricoltura.

Da notare in particolare: la pubblicazione, definita dallo scrivente agiografica, del 1901, dal titolo Cenni storici della famiglia Beneventano scritti dal Giuseppe Luigi Beneventano Barone della Corte, si conclude col figlio del Senatore Francesco di Paola. Nel 1901 Giuseppe Luigi 5°, nipote, era ventenne, era l’erede, ma non è citato, come se non facesse parte della famiglia -. com’è difficile accettare le disgrazie! - e in effetti il giovane lo sa e lo scriverà nella citata dedica alla signora Sidoni, che da 27 anni, scrive, s’è curata delle sue infermità, "che mi resero più penose coloro che avevano il dovere di non farlo". Non è un rimprovero, questo, ed amaro, alla consorte, ai figli ma prima ancora ai genitori e al nonno?

La casa Beneventano

Propriamente abitazione della famiglia dal XVI secolo, secondo quanto indica, al n.61, la carta "di Lentini depinta per dominicu rosa Leontinisi" a volo d’uccello il 16 giugno 1584, fino agli anni ’60 del secolo scorso -, fino alla morte di Giuseppe Luigi Beneventano 5°.

In questa casa di abitazione è stato anche l’Ufficio della Percettoria Comunale tenuto da D. Francesco Beneventano, come già scritto, come l’Ufficio de’ Rami e Diritti Diversi era tenuto in casa propria da D. Federico Bugliarello in salita Gesù e Maria, via Teocle.

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Portone di Palazzo Beneventano

La casa dei Beneventano è, quindi, una casa, una casa per civile abitazione. Non è un palazzo. Ripeto: è una casa di abitazione, che è stata ampliata e modificata, secondo le necessità, nel corso del tempo, di una famiglia cospicua e secondo la cultura, il gusto e le esigenze della stessa.

Il palazzo è altra cosa, e a Lentini non ci sono palazzi, tranne, in qualche strettissima misura, il Municipio. la casa dei Baroni Fuccio di Sanzà del ’700 e, dal primo ’900, il palazzo De Geronimo Aletta, che sono edifici di modeste dimensioni.

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Cortile d’ingresso del palazzo-casa Beneventano negli anni ’30 del Novecento

Fatta questa considerazione e fatte salve le cosiderazioni sul "palazzo" Beneventano della nostra gentile e cara Interlocutrice, non esito ad affermare che è stata una gran cosa che il progetto dell’architetto Carlo Sada sia andato in fumo. Questo progetto richiedeva la possibilità di poter guardare il palagio da una certa distanza per apprezzarne l’imponenza, mentre via san Francesco d’Assisi è stretta; inoltre lo stile di Sada e roboante e sovraccarico, alieno dallo stile semplice, lineare dell’architettura lentinese, espressione delle non molte risorse finanziarie disponibili e, credo, d’una cultura di prevenzione antisismica, che poi s’è smarrita. Il progetto di Sada avrebbe avuto, come si dice oggi, un impatto ambientale forte, per il quale il sessantenne Barone doveva avere, probabilmente, un istintivo moto di scontento, quantunque il prestigio, le risorse, i condizionamenti sociali lo spingevano a realizzarlo.

Sono contento che la casa sia quella che è, che abbiamo, che sia stata restaurata per quel che è: casa di civile abitazione. Il restauro non è stato rigoroso, filologico, infatti le due feritoie angolari, da cui era possibile guardare dall’interno chi fosse nella villetta, senza che l’osservatore fosse visto, non sono state riprese e, in luogo che non ricordo, c’è qualche interpolazione cementizia inelegante.

Bene. Che fare di questa bella, comoda, ampia, luminosa residenza, dato che infastidisce il termine casa? Basta guardare le necessità di Lentini, dei suoi Cittadini, ovvero ascoltare ed interpretare quanto ascoltato - cioè promuovere, potenziare, farne risorsa per tutti - per decidere che fare.

Intanto, in negativo, dico che della residenza non si può fare un contenitore, qualcosa che possa contenere di tutto, perché, come gli antichi nobili abitanti della casa la percorrevano liberamente in ogni direzione, così questa modalità d’uso deve garantirsi all’odierno visitatore, che deve avere il piacere di poter muoversi alla stregua dei suoi antichi inquilini. Questo significa essere, per il cittadino, titolare, per mezzo dell’ente pubblico locale, d’un bene una volta aristocratico, secondo una storia che colla Repubblica è stata completata, perfezionata, avendo reso quel bene aristocraticamente democratico o, se si vuole, democraticamente aristocratico.

Lentini, i lentinesi cioè, ha bisogno d’un Museo civico dove conservare per ammirare e studiare quanto il Comune conserva, che, previo restauro, vi può essere serbato: il drappo rosso del ’700, un salterio da coro, la vasca da bagno già Beneventano, i quadri che il compianto professor Cirino Gula ha lasciato al Comune, oggetti che famiglie intelligentemente coinvolte possono donare o porre in deposito, altri quadri che artisti lentinesi potrebbero donare, conoscendone la sede prestigiosa. Il museo moderno è pure laboratorio e scuola di restauro, di libri, oggetti, quadri. Il Liceo Artistico che l’abbiamo a fare? Va promosso, incarnato nella storia, nella cultura e nell’arte nostre. Questo è compito anche dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione, se c’è.

Lentini, i lentinesi cioè, ha bisogno d’una Scuola di musica, perché molti sono i giovani che a Lentini la studiano, l’amano, la professano; poi perché la musica è l’espressione creativa che gli uomini educati hanno bisogno di praticare eseguendo o praticare ascoltando. Le città ove la musica è diffusa sono città particolarmente felici, penso a Siena, a Spoleto. Curare la scuola di musica non è compito, anche di un Assessorato alla Pubblica Istruzione degno del nome?

C’è la proposta dell’arch. Luca Maci per un Centro di studio del Medioevo e della cultura rupestre, proposta suggestiva ed affascinante, che abbisogna non solo di un forte rapporto coll’Università, ma, pure, con una banca finanziatrice, generosa, che per parte sua va allettata con promesse e suggestioni vivide. Senza dimenticare i finanziamenti europei, che devono superare, oggi, un vaglio severo. La proposta dell’arch. Maci è pure suggestiva ed affascinante perché richiede - e richiede di promuovere - forte interesse non solo a Lentini, ma in provincia almeno, culturale, istituzionale, scolastico, interesse che va costruito - coltivato - e nel tempo con accuratezza, costanza, impegno, studio e risorse!

Con quali mezzi finanziari realizzare una di queste belle idee? Un assessore palesò in privato il suo cruccio per questo problema, per lui irrisolvibile. In realtà - ogni problema, se è tale, è risolvibile, altrimenti non è problema - il problema è risolvibile con finanziamenti europei, che sono sù a Bruxelles e che dicono, quasi urlano, alle amministrazioni del Sud d’Italia: pigghiatimi! pigghiatimi! Questi finanziamenti vanno richiesti a puntino, come fanno amministrazioni comunali di vario colore, ma rigorose ed accorte, in Toscana, Marche, Veneto, Lombardia, che non sono in un altro mondo, ma nella nostra bella e cara Italia. Ma siccome a Lentini abbiamo amministratori non certo rigorosi ed accorti [5], i soldi restano là dove sono, dato che a noi non arriverà, a momenti, neppure il treno, grazie ai deputati regionali e nazionali siracusani, diversamente colorati e similmente poco rigorosi ed accorti, ed al nostro Sindaco, che ha partecipato a molte manifestazioni per la ferrovia per Siracusa.

Un altro punto importante è il contesto urbano della casa Beneventano, che riguarda l’ex monastero, l’ex ospedale e la così detta Sibba (selva) dove può essere realizzato, come propone il prof. Paolo Ragazzi, l’orto botanico, approfittando d’un ambiente che in parte conserva una sua naturalità, se così si può dire, anche operando qualche significativa demolizione. Anche per questo bisogna coinvolgere la proprietà con discorso intelligente: l’imprenditoria locale, per aiutarla ad essere tale, anche; e le risorse europee, che dobbiamo imparare ad acquisire, anche per educarci ed essere Europei, non leghisti del sud.


Un particolare ringraziamento va al sig. Raffaele Iannitto per il lavoro svolto nella ricerca dei documenti e delle foto di repertorio.


[1] Sebastiano Pisano Baudo, Francesco Alemagna e Domenico Bugliarello ricordati ai loro Concittadini / C. Scatà Alemagna, 1911, pp. 119-120

[2] Salvatore Jannitto, Lentini nella fase finale del Regno delle Due Sicilie - Attività politica ed amministrativa. Tesi di laurea, 1980.

[3] Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, 1956, pp. 414, 415.

[4] Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, 1956, pp. 414, 415.

[5] Che l’amministrazione comunale lentinese - in tutti i suoi organi - sia poco rigorosa ed accorta lo dimostrano la recente disavventura ladresca della nostra casa Beneventano - appena restaurata - e la tarda e irrispettosa risposta a positive proposte di saggia economia nel funzionamento del Consiglio Comunale fatte dai Movimenti Civici.


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