Legge Bavaglio
Al via da questa settimana la nuova rubrica curata da Adriano Todaro, che si occuperà di commentare le vicende politiche e non solo, di attualità e società.
IL FATTO – Sulla norma scritta dall’allora deputato di Azione e oggi Forza Italia, Enrico Costa, che vieta ai giornalisti di pubblicare integralmente le ordinanze di custodia cautelare, definita opportunamente «legge-bavaglio», il governo Meloni ha fretta e cerca di evitare il dibattito in Parlamento. Malgrado le richieste dell’opposizione il dibattito non ci sarà, considerato – come ha ricordato la presidente della commissione Giustizia, la leghista Giulia Bongiorno – che il testo «si compone di tre articoli». Evidentemente, per Bongiorno, troppo pochi per un dibattito approfondito.
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IL COMMENTO – Dunque, il governo Meloni ha fretta. Quando interessa che una determinata legge sia approvata, calza le scarpette da corsa. La legge delega, approvata lo scorso 4 settembre scade il 10 dicembre e le commissioni devono dare un parere entro il 20 ottobre. Ci sarebbe, quindi, tutto il tempo per un dibattito che non si farà. In realtà la fretta governativa ha un senso, quello di evitare casi come quello di Giovanni Toti. Nel caso dell’ex presidente ligure, infatti, l’ordinanza di custodia cautelare è stata pubblicata dai mezzi d’informazione per diversi giorni. La Federazione nazionale della Stampa italiana si era appellata, inutilmente, anche al presidente Mattarella affinché non firmasse la legge che, di fatto, «sta smontando l’articolo 21 della Costituzione ». Così, fra poco, avremo la legge- bavaglio. Mordacchia che si metterà ai giornalisti per non far scrivere loro, le malefatte dei politici di tutti i colori. Come ricorda il sindacato dei giornalisti «Il discrimine non è tra dare o meno una notizia, ma è tra scrivere una notizia documentata, oppure scriverla senza potersi appoggiare sulle parole di un giudice che quando motiva una sua decisione sceglie termini precisi e rigorosi. Difficili da parafrasare e sintetizzare».
Una volta approvata, la legge vieterà ai giornalisti di pubblicare sia integralmente che per estratto, il testo dei provvedimenti che i giudici, su richiesta del Pm, dispongono una misura cautelare. Con questa proibizione, viene meno il controllo dell’opinione pubblica sui magistrati. Una forma di controllo contro soprusi compiuti nei confronti della persona indagata perché è evidente che se io cittadino non so nulla non posso controllare. La vicenda di Stefano Cucchi in questo caso è esemplare. La maggioranza governativa, di contro, sostiene che per i giornalisti cambierà ben poco. Secondo il decreto, i giornalisti potranno pubblicare una sintesi dell’ordinanza. Ottimo.
C’è un problema, però. Se il giornalista non può leggere l’ordinanza di custodia cautelare, come potrà pubblicare la sintesi? Lo faranno altri soggetti attraverso, però, la loro interpretazione. Io, giornalista, però posso avere interesse maggiore per certi aspetti della vicenda che il comunicato-stampa del Pm non mette in evidenza. E allora come mi comporto? Niente paura. Tutto sarà pubblicabile solo alla fine delle indagini preliminari (sic!). Se il mio dovere di giornalista è informare, come posso farlo in queste situazioni? Non è questa, forse, una pesante limitazione del diritto di cronaca? E se il cittadino ha il diritto a essere informato come può esercitare tale diritto se la stampa è imbavagliata? L’unica cosa certa è che gli unici che ci guadagneranno da questo decreto saranno i cosiddetti “colletti bianchi”. Una specie ormai protetta più dei panda e, senza dubbio, più dei lupi. Ah, a proposito. Matteo Renzi ha votato a favore della norma Costa. E te pareva.
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