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Le vacche cannibali: lacrime sulle elezioni di settembre

Fino a tutti gli anni Ottanta ci sentivamo invulnerabili, onnipotenti, proiettati verso un futuro di conquiste pacifiche e durature poi, dalla seconda metà degli anni Novanta, tutto ha cominciato a sfaldarsi...

di Evaristo Lodi - mercoledì 7 settembre 2022 - 2708 letture

Una considerazione al di sopra delle parti: i governi degli ultimi trent’anni che più hanno fatto gli interessi dei cittadini (anche se gli stessi ne hanno dovuto soffrire le conseguenze) sono stati quelli che hanno portato avanti delle riforme reali, concrete. Non è un caso nemmeno che questi governi siano stati definiti tecnici, cioè non eletti direttamente dal popolo. Sembra quasi che il popolo italiano sia affetto da masochismo congenito. Intendiamoci, non è una critica verso quei governi che, in un modo o nell’altro, hanno aumentato le tasse, hanno fatto riforme pensionistiche o sul lavoro (da notare che la scuola, l’istruzione non è stata nemmeno presa in esame da questi governi, anzi sono proprio stati i governi politici che hanno fatto riforme su riforme che non hanno minimamente scalfito la sostanza tragica della situazione in cui versano la scuola e l’istruzione italiane), anzi la mia critica va direttamente all’intera classe politica italiana della cosiddetta “seconda Repubblica”.

Tyler Cowen, un economista americano che non mi risulta sia mai stato tradotto in Italia, in tempi non sospetti, correva l’anno 2011, pubblicò “The Great Stagnation” e qui riporto alcune frasi che mi sembrano significative. I puristi mi scuseranno ma tradurre non è il mio mestiere:

“For the last forty years, most Americans have been expecting more than their government is capable of delivering. That mistake is at the root of why our government is functioning poorly. Instead of admitting its limitations, or trying to manage our expectation, government starts lying to us about what is possible. […] The expectation is built into our history and built into our national character.”

“Negli ultimi quarant’anni, molti americani si erano aspettati molto di più di quello che il governo era in grado di offrire loro. L’errore era radicato nelle ragioni del perché il governo svolgesse il proprio compito così miseramente. Invece di ammettere i suoi limiti o provare a gestire le aspettative dei cittadini, il governo iniziò a mentirci riguardo a quello che fosse stato possibile realizzare. […] Le aspettative dei cittadini erano basate sulla nostra storia, sul nostro spirito nazionale.” (Tyler Cowen, The Great Stagnation”, Dutton, Penguin Group, U.S.A., 2011: pag.56-57)

Lasciando per un attimo da parte il fatto che Cowen si riferisce principalmente alla società americana, mi ha sorpreso quando sostiene che la “sinistra americana” è più conservatrice della destra, semplicemente perché vuole mantenere lo status quo, mentre gli altri, più radicali, predicano al vento cambiamenti epocali che non si realizzeranno. (Ripeto, Cowen fa riferimento alla società e alla politica americana e ogni riferimento all’Italia di oggi è puramente… voluto) Conclude poi un capitolo con una frase lapidaria: in politica, il mondo è andato sotto sopra. Se facciamo un paragone con la società e la politica italiana, come non dargli ragione.

Tutto si sta “sfilacciando”, decomponendo, i problemi stanno affiorando e mostrano sempre di più la loro drammaticità, nella confusione più assoluta. Mi riferisco a tutto ciò che ci circonda: il ricordo della pandemia, e del conseguente lock down, sembra suggerirci che quello che ci preoccupava altro non era che un’inezia, rispetto a quello che ci aspetta. E la classe politica italiana cosa fa? Provoca una crisi del governo, di un governo tecnico sì, ma quasi di unità nazionale, per far fronte alle emergenze, imponendo ai cittadini di andare a votare a settembre. Credo non sia mai successo nell’Italia repubblicana. E tutti i partiti si aggrappano ai loro “programmucci”. Programmi stantii, fatti di slogan elettorali che certo non potranno risolvere le contingenze economico-sociali che si avvicinano paurosamente. C’è anche chi vocifera velatamente che, dopo le elezioni, sempre Mario Draghi (attenzione, sempre un non eletto) debba rimanere a capo del governo per affrontare le crisi minacciose che si addensano all’orizzonte. E non si è mai visto un governo in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, stanziare tanti miliardi per affrontare la contingenza.

Non mi sento di abbracciare il programma di un partito piuttosto che di un altro. A volte vorrei abbandonarmi all’abbraccio spensierato che mi offre la pubblicità per non lasciarmi trascinare dallo sconforto assoluto della realtà. Vorrei danzare sulle ali protettive delle energie rinnovabili che tutte le aziende fornitrici di energia ci dispensano. Vorrei cullarmi nell’abbraccio di un’auto elettrica, ibrida o che brucia ancora combustibile fossile ma che rispetta tutte le caratteristiche per non inquinare e che mi trasporta, rassicurante, con i capelli al vento. Vorrei vivere in una famiglia felice e gioiosa che mangia solo cibi sani, che pratica attività sportive, che beve bevande salutari, in poche parole dove i bambini sono felici e anche i genitori vivono sereni. Vorrei non invecchiare, nel rispetto dell’ambiente. Vorrei vivere in una società dove il lusso è un diritto sancito dalla costituzione. Vorrei vivere in una società che rispetta l’ambiente anche solo perché si lava i denti o fa una crociera intorno al mondo.

Come vorrei che il governo che uscirà, come per magia, dalle elezioni di settembre abolisse per sempre la pubblicità di qualsiasi tipo dalla società italiana. Sto rasentando la follia, lo so. Le utopie sono sempre dure a morire e, se continuassi, ne avrei a non finire da proporvi.

Fino a tutti gli anni Ottanta ci sentivamo invulnerabili, onnipotenti, proiettati verso un futuro di conquiste pacifiche e durature poi, dalla seconda metà degli anni Novanta, tutto ha cominciato a sfaldarsi, a erodersi, a minacciare tragici cambiamenti epocali che non avremmo mai pensato di dover affrontare. Un certo Francesco, a Roma, disse qualche anno fa: “Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato”. Per usare una metafora biblica, si potrebbe fare riferimento ai sette anni di “vacche grasse”, seguiti poi da un periodo, molto più lungo, di “vacche magre”. Nella Genesi, nel sogno del faraone, si sottolinea anche il fatto che quelle magre divoravano quelle grasse e il periodo di benessere veniva cancellato dalle sofferenze ineludibili del periodo successivo. Sempre nella Genesi, la carestia dominava un periodo di sofferenza per il genere umano. La grande carestia degli anni Trenta del secolo scorso, durante la dittatura di Stalin, possiede un nome evocativo, Gladomor, che mi porta un fremito alle ginocchia. Prima che se ne accorgessero i politici e i giornalisti italiani, troppo occupati a raccontarci le fasi quotidiane e i crimini della guerra in Ucraina, qualcuno, anche in Italia, si preoccupava di allarmare i grandi della terra delle conseguenze catastrofiche per l’approvvigionamento del grano dei paesi più poveri. Un esempio su tutti la rivista mensile Nigrizia.

Mentre i politici italiani fanno propaganda del nulla, lasciandoci in balia di eventi che non sembrano essere affatto rassicuranti, noi dobbiamo ancora comprendere se siamo alle soglie, o siamo già entrati in un periodo di terrificanti vacche cannibali.

Per tutta la vita ho sempre pensato di vivere un periodo di benessere e questa sensazione si rifletteva tutto intorno a me. Si poteva allungare la mano e aggrapparsi a ciò che più faceva comodo per afferrare le opportunità, al volo. La politica sovraintendeva sorniona alla burocrazia, cercando di dare un colpo al cerchio e uno alla botte per strappare voti che rimanevano saldi, se le promesse venivano mantenute. Negli anni del boom economico questa era la regola e i più svegli, anche solo con un diploma, riuscivano ad affermarsi economicamente e socialmente. Per un paio d’anni, durante i mitici anni Ottanta, ho avuto un’esperienza in una scuola serale. Persone adulte, anche più grandi di me che facevano sacrifici enormi per strappare un diploma che permettesse loro un tenere di vita più elevato. Ho fatto la stessa esperienza quattro anni fa e la platea era cambiata: giovani che non avevano raggiunto il diploma e che provavano a strapparlo, solo alcuni lavorando di giorno, solamente perché la scuola serale offre diplomi un po’ più semplicemente della scuola diurna. L’aspirazione del vinci facile ha invaso tutte le nostre scuole di ogni ordine e grado.

Ora invece è certo che le promesse elettorali non verranno mai mantenute, perché ciò che stiamo per affrontare non ha molti esempi precedenti a cui fare riferimento. Forse sono vecchio e lamentoso ma ricordo che ho votato contro il nucleare per ben due volte (ma ora non sono più tanto sicuro di avere fatto bene a seguire le indicazioni politiche, soprattutto per il primo). Mi ricordo però di altri due referendum, dove sono certo di aver votato bene, che però non hanno sortito molti effetti concreti a causa dell’inghippo burocratico dell’aggettivo abrogativo. Mi riferisco a quelli riguardanti il finanziamento pubblico dei partiti.

Speriamo solo che quel bastardo di scrittore russo, forse sarebbe meglio santificarlo come poeta ucraino (perdonatemi, non so scegliere a quale nazionalismo fare aderire Isaak Babel’) non abbia ancora una volta ragione:

«La fodera di una borsa pesante è cucita di lacrime».


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