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Le “nuove mafie” e le società assopite: intervista a Vincenzo Musacchio

Mafie dall’approccio soft e planetarie, senza dimenticare la violenza. Così le nuove mafie nella riflessione del criminologo Vincenzo Musacchio.

di francoplat - mercoledì 24 settembre 2025 - 561 letture

Criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (Stati Uniti). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nel corso della sua carriera, ha avuto l’opportunità di collaborare con figure di spicco della lotta alla mafia come Antonino Caponnetto, magistrato di notevole esperienza che ha guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. Vincenzo Musacchio si presta a una conversazione pomeridiana – lunedì 8 settembre 2025 – per fornire il proprio contributo all’analisi del fenomeno mafioso, nazionale e internazionale.

Uno dei filoni tematici affrontati con il mio interlocutore è quello delle metamorfosi delle mafie. A riguardo, il prof. Musacchio osserva come, senza alcun dubbio, si sia registrata una trasformazione delle mafie tradizionali: sia per l’approccio, per così dire, più soft sul piano del metodo mafioso, meno aggressivo, meno violento, più volto alla ricerca di profitti tramite la corruzione e l’infiltrazione nel tessuto finanziario ed economico – garantita, peraltro, da un atteggiamento collusivo e complice di professionisti e altri segmenti della società civile; la cosiddetta “area grigia” – sia per la territorialità, nel senso che il raggio d’azione mafioso è ormai ben più largo dei confini nazionali, ben distante dalle zone di insediamento originario. Non solo, le “nuove” mafie si caratterizzano ancora per la loro trasparenza e la loro competenza digitale.

A proposito di quest’ultimo aspetto, assume una sua icastica espressività l’immagine del mafioso tradizionale che si reca presso qualche ministero con la borsa piena di denaro atto a corrompere, oggi sostituito da criptovalute, da denaro anch’esso trasparente e volatile, incorporeo, ma non meno efficace per dare alle consorterie criminali un vantaggio economico e un’allettante seduzione presso stanze politiche, amministrative, finanziarie, imprenditoriali ecc.

Ciò non significa affatto – precisa il professore – che le mafie abbiano rinunciato per sempre alla violenza esplicita, a quella più brutale; semplicemente, rappresenta l’extrema ratio, l’ultimo strumento dopo averne attivati altri meno eclatanti, meno pericolosi per l’allarme sociale che il fatto di sangue porta con sé. Duisburg fu un errore, commentarono i clan calabresi, all’indomani della strage che, il 15 agosto 2007, insanguinò le strade della cittadina tedesca. Per quanto – aggiunge Musacchio – fu un errore, di fatto, presto dimenticato. Perché, a fronte delle nuove mafie, c’è una società, italiana e internazionale, piuttosto dormiente, assonnata, distratta.

Il mio interlocutore allarga lo sguardo all’ambito europeo, rileva come, davanti alle mafie che si globalizzano, stenti a partire un contrasto ai clan di sapore internazionale: legislazioni arretrate, ancora indisponibili a prevedere l’associazione di stampo mafioso, metodi investigativi in difetto rispetto alla crescita delle strategie mafiose sul piano tecnologico, opinioni pubbliche poco allarmate e presto dimentiche, professionisti, come si è detto, allettati dalla sirena cripto-monetaria mafiosa, ma anche dal vecchio, buon denaro, e governi timidi, fiacchi, quando non palesemente orientati all’erosione di alcuni dei capisaldi della lotta alla mafia, costruiti in decenni.

L’ultimo accenno è relativo – nella riflessione del prof. Musacchio – al nostro Paese: l’abolizione dell’abuso d’ufficio, le limitazioni imposte alle intercettazioni, l’intervento su altri istituti, sono tutti atteggiamenti e azioni politiche che vengono sintetizzati, dopo essere stati esposti, in una frase inequivocabile: «non vedo una reale volontà da parte della classe politica di fronteggiare il fenomeno mafioso». E questa mancanza di volontà, in qualche misura concerne anche l’altro volto dell’azione di contrasto alle mafie, cioè quello educativo. Perché va bene reprimere – osserva il mio ospite –, ma la repressione non basta, non è sufficiente, non costruisce quella coscienza civile, quel livello di conoscenza e di consapevolezza soli in grado di rappresentare un argine contro la diffusione di comportamenti e orizzonti culturali mafiosi.

Mafiosi, ma non solo. Perché, pur non trattando la questione in modo organico, nel corso di tutta l’intervista, il prof. Musacchio non manca di sottolineare come alle allettanti proposte mafiose rispondano i non mafiosi, così come, oggi, i clan non abbiano bisogno di scardinare le porte dei sistemi corruttivi, di brandire la clava del loro marchio di fabbrica, la violenza; perché, oggi, vengono fatti entrare dalla porta, invitati. Ciò vale per il professionista che supporta le strategie mafiose sul piano informatico, ciò vale nelle stanze della politica, ciò vale – e qui il riferimento del mio interlocutore è esplicito e diretto – nell’incontro corruttivo tra le esigenze economiche delle imprese e gli interessi di profitto della camorra. Si riferisce al dramma dello smaltimento dei rifiuti tossici in Campania, ma non solo, per il quale reato «si è soliti incolpare i Casalesi»: ma non erano loro che dovevano interrare quel materiale fonte di morte nelle popolazioni locali, bensì gli imprenditori, a cui faceva gioco il prezzo offerto dai clan campani, decisamente concorrenziali, al ribasso, rispetto allo smaltimento legale di quei rifiuti.

Come si avrà modo di leggere nell’intervista integrale qui allegata, il prof. Musacchio – alla pari di altri interlocutori – parla di mafie, ma non dimentica di includere nel quadro tutte le variabili che, da un lato, spiegano le ragioni di fondo della persistenza delle consorterie criminali e, dall’altro, consentono di approdare a un’interpretazione meno manichea e rassicurante delle conseguenze devastanti e tragiche delle attività illecite dei clan. Con buona pace del manicheismo tipico di questi tempi, dove pare facilissimo individuare i “buoni” e i “cattivi”.


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