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Le incisioni di Passo Gavia

Il ghiacciaio si ritira ed emergono le incisioni rupestri più alte d’Europa: l’eccezionale scoperta sopra il Passo Gavia. Un articolo di LP (ilDolomiti.it)

di Redazione - mercoledì 27 novembre 2024 - 314 letture

Sulle domande che ruotano attorno al ritrovamento è in corso un articolato progetto di ricerca. L’obiettivo è quello di ricostruire le modalità di occupazione del territorio e le strategie di sfruttamento delle risorse delle comunità umane. L’esito delle indagini archeologiche condotte dal 2022 in diversi siti a breve distanza dal Tresero, alla Malga dell’Alpe, alla Grotta Cameraccia e al Lago Nero, ha confermato che queste aree, oltre diecimila anni fa, furono percorse dai cacciatori mesolitici, che hanno lasciato le tracce di bivacchi e di postazioni per la caccia

Si tratta di incisioni rupestri databili alla Media età del Bronzo e risalgono a 3.600 - 3.200 anni fa. Sono le incisioni rupestri più alte di quota mai trovate, scoperte a 3.000 metri di altitudine ai piedi del ghiacciaio del Pizzo Tresero. La scoperta e gli studi sono stati presentati, a Palazzo Lombardia, dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. I petroglifi del Tresero sono una testimonianza della presenza di lunghissimo periodo dell’uomo nelle terre di montagna.

Le incisioni sono collocate sopra il Passo di Gavia e sono in stretto collegamento con i siti rupestri in Valtellina e in Valle Camonica, primo sito italiano a ottenere, nel 1979, il riconoscimento Unesco quale Patrimonio dell’Umanità. Una scoperta che nasce dalla segnalazione, nell’estate 2017, da parte dell’escursionista comasco Tommaso Malinverno alla Soprintendenza. Da quel momento sono cominciati gli studi e le analisi e le scoperte sono state entusiasmanti.

"Abbiamo effettuato molti sopralluoghi e molti interventi - ha spiegato il professor Stefano Rossi della Soprintendenza - proprio a conferma dell’autenticità di questo di questo sito così particolare. Gli elementi maggiori, oltre alla verifica diciamo fisica del dei manufatti e della loro modalità di incisione, è stata realizzata con delle indagini cosmologiche, ovvero la verifica in laboratorio dei tempi di esposizione ai raggi cosmici diciamo più banalmente alla luce solare, e di un sito che è emerso dal ghiacciaio, poi da questi nuovamente sommerso, e poi, da pochi decenni, a fronte della della fusione del ghiacciaio del Tresero nuovamente riemerso".

I petroglifi si concentrano su alcune rocce lisciate dall’azione dei ghiacci poste in posizione defilata lungo il margine occidentale del bacino del ghiacciaio, ai piedi di Punta Segnale. Le tecniche impiegate nella realizzazione delle incisioni e alcune caratteristiche nella composizione figurativa suggeriscono che i segni siano stati realizzati da mani diverse, forse in periodi successivi.

Le incisioni del Tresero si collocano quindi al confine tra due dei comprensori più ricchi di manifestazioni d’arte rupestre dell’arco alpino: le rocce e i massi incisi camuni, patrimonio Unesco e ormai note a livello mondiale, e le altrettanto significative testimonianze valtellinesi, come la Rupe Magna di Grosio, tra le rocce incise più estese delle Alpi, o le statue-stele rinvenute numerose nell’area di Teglio.

Va evidenziato che tracce dell’azione di erosione e di sfregamento causate dalla nuova avanzata del ghiacciaio, a partire da 3.000 anni fa, sono ancora visibili sulle rocce e riguardano anche le incisioni, che presentano striature e risultano parzialmente cancellate. Ciò potrebbe far supporre che in origine i segni incisi fossero in numero maggiore e che siano stati in parte cancellati dall’avanzata glaciale, che avrebbe risparmiato solo quelli posti in posizione più protetta. Se questa ipotesi fosse corretta, i petroglifi rinvenuti sul Tresero potrebbero essere quanto resta di un complesso figurativo più vasto, una sorta di ’santuario’ di arte rupestre, una versione a piccola scala di quello riconosciuto fin dall’Ottocento sul Monte Bego, sulle Alpi Marittime, a oltre 2.000 metri di altitudine.

L’assessora regionale alla Cultura, Francesca Caruso, presente con Fontana, Rossi e altri alla presentazione delle scoperte ha voluto evidenziare come "questa scoperta abbia un significato fondamentale proprio in chiave culturale. Una notizia che ci consentirà di conoscere meglio il nostro passato, potenziare l’attrattività culturale delle nostre aree di montagna e di promuoverle per il futuro anche al di là dei già qualificati aspetti turistici".

Questa scoperta conferma che il Parco Nazionale dello Stelvio e l’Alta Val di Gavia rappresentano un osservatorio unico e privilegiato per ricostruire l’interazione tra uomo e terre alte. Sulle domande che ruotano attorno al ritrovamento è in corso un articolato progetto di ricerca.

L’obiettivo è quello di ricostruire le modalità di occupazione del territorio e le strategie di sfruttamento delle risorse delle comunità umane in tutta l’area dell’Alta Valle di Gavia, che è nota per aver restituito tracce di frequentazioni molto antiche. L’esito delle indagini archeologiche condotte dal 2022 in diversi siti a breve distanza dal Tresero, alla Malga dell’Alpe, alla Grotta Cameraccia e al Lago Nero, ha infatti confermato che queste aree, oltre diecimila anni fa, furono percorse dai cacciatori mesolitici, che hanno lasciato le tracce di bivacchi e di postazioni per la caccia. E la Lombardia, anche come Regione, vuole conoscere di più e meglio il suo passato umano e quello delle sue montagne, uno dei preziosi tesori regionali.


L’articolo di LP è stato diffuso da ilDolomiti, 18 novembre 2024.



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