Le favole del comunismo
Le favole del comunismo / di Anita Likmeta. - 1 ed. - Venezia: Marsilio Editori, 2024. - pp. 160. - (Romanzi e Racconti). - ISBN 978-88-2972-087-3.
La Storia la dovrebbero raccontare i bambini. Esclusivamente i bambini. Perché sono loro che ne subiscono le conseguenze. Lo abbiamo sottolineato in altre occasioni. Adesso abbiamo l’occasione per ribadirlo con maggior convinzione grazie all’esordio letterario di Anita Likmeta e il suo romanzo Le favole del comunismo.
Sono i bambini quelli che potrebbero parlare delle paure, senza alcun condizionamento di qualsiasi natura, politico o economico che sia. Sono i bambini che potrebbero ricordarci le infanzie rubate, i giochi interrotti da impreviste esplosioni, a volte anche solo verbali.
Sono i bambini che ci racconterebbero le fughe, le transumanze etniche senza ritorno. Gli amici, i compagni di scuola da dimenticare, gli angoli delle strade sui quali hanno cominciato a sognare. La familiarità e l’appartenenza a un territorio. La voglia di stringersi attorno a una solitudine e un silenzio che neanche le favole sarebbero in grado di addolcire.
Sono proprio le favole lo strumento comunicativo che l’autrice utilizza. Perché le favole hanno da sempre avuto quella caratteristica di metafora didattica. Quella che deve far riflettere e costringerci a soffermarci su una sorta di regole di vita che, ipoteticamente, dovrebbero aiutare questi bambini ad affrontare al meglio il futuro.
Purtroppo è proprio questo futuro che gli adulti finiscono troppo spesso per rubare alle nuove generazioni. Una nuova guerra, un dittatore sostenuto da una politica internazionale, un’arroganza che si riversa nelle vittime che, la Storia si ripete all’infinito, sono sempre le persone più vulnerabili e, tra questi, i bambini i principali protagonisti di queste violenze.
Anita Likmeta ha un privilegio deprecabile nel raccontarci le sue "favole", quello di averle vissute in prima persona in quella fase dell’età che dovrebbe esclusivamente appartenere alla spensieratezza di una bambina, sognatrice come qualsiasi altra della sua età, ma legata ai rapporti umani e familiari che diventano le basi per rapportarsi con il mondo.
Ed ecco quegli aneddoti che ci consegnano i personaggi che ogni lettore ritroverebbe nella propria esperienza di vita. L’affetto sconsiderato per i nonni, gli approcci con i coetanei compagni di vita. E quelle strane, bizzarre, umane figure che ogni angolo del mondo può rivendicare, nelle piccole realtà di paese. Estrosi funamboli della vita, dalle movenze che non si riesce a interpretare, ma che ci consegnano la crudeltà e la durezza di un quotidiano che, forse, solo con queste fughe dalla realtà, si riescono ancora a contrastare.
L’autrice ci racconta la sua Albania, quella che sfugge dagli stereotipi di un’altra "favola" che ci hanno voluto raccontare. Gli Albanesi, da una parte, a osservare l’Eldorado che prometteva alternativa, attraverso uno schermo televisivo sintonizzato sulle TV italiane. Gli Italiani, dall’altra, che hanno preferito non guardare, oltre quel confine di mare, la sofferenza di un popolo, il crollo disperato di ogni speranza dalla quale hanno provato ad uscire negli ultimi ottanta anni.
Nel mezzo, l’arroganza del dittatore Koci Xoxe e la Sigurimi, la polizia segreta albanese che ha "tutelato" il regime comunista per quaranta anni. Anita Likmeta nel suo libro ci racconta quei sogni interrotti di una bambina affacciata alla vita, lontano dalla madre già in fuga per l’Italia a provare a costruire un diverso futuro.
Ci centellina le sue favole in quella metafora che da il titolo al romanzo, lasciando piena libertà al lettore di poter leggere tra le righe la verità alla quale si preferisce credere. Si ha la sensazione che l’autrice, forse volontariamente, non abbia voluto raccontarci tutto, affidandosi al sottointeso, a un breve accenno, all’empatia dei lettori di ritrovarsi nelle sue parole.
Perché si sa, le favole sono state create per conciliare il sonno dei bambini, ma troppo spesso, quei sogni nelle mani degli adulti, sporcandosi di ipocrisia, si sono trasformati in incubi.
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