Lavori Inutili
Una raccolta di saggi brillante del sociologo Bruno Manghi che attraverso l’analisi del "mito del lavoro futuro"evidenzia la permanenza del lavoro dipendente come fonte centrale di identità per milioni di uomini.
Un saggio brillante e brevissimo di Bruno Manghi su "il mito del lavoro futuro".
Bruno Manghi è un sociologo atipico ed originale nel panorama degli studi sul mondo del lavoro e dei lavoratori in Italia. Manghi, sociologo progressista di formazione cattolica e non marxista, non ha voluto limitarsi alla ricerca accademica ed all’insegnamento universitario.
Negli anni dell’autunno caldo si è fatto coinvolgere direttamente nelle vicende del sindacato dei metalmeccanici e della Cisl di Pierre Carniti; nella Cisl è stato formatore, pur giovanissimo, di migliaia di sindacalisti e, poi, è stato lui stesso dirigente sindacale di primo piano, finendo poi con l’annoiarsi del grigiore della Cisl di D’Antoni e di Pezzotta che non lo hanno saputo valorizzare proficuamente.
Ha collaborato con Prodi durante il suo Governo e ha fatto il consulente aziendale (dopo aver lasciato il sindacato) per grandi imprese come la Tim.
Manghi non ha paura di essere identificato come un "conservatore" da chi ritiene che il Sindacato non sia abbastanza aggiornato rispetto ai cambiamenti della società postindustriale perché ritiene utile la funzione "conservatrice" di forme, garanzie, diritti che impediscano agli uomini e alle donne di sradicarsi dalla propria cultura in nome di un fantomatico ed equivoco progesso.
Questa sua capacità di sfidare i luoghi comuni, i conformismi intellettuali di destra e sinistra Manghi la dimostra nella sua ultima e breve raccolta di saggi dal titolo "Lavori Inutili".
Nel libro Manghi si fa beffe del mito dell’efficienza produttiva, quella che vuole sempre tagliare posti, intensificare i ritmi e saturare i tempi, già duramente criticata da un altro sociologo del lavoro come Domenico De Masi. Quest’ultimo critica la mancanza di coraggio delle aziende italiane nel ridurre i tempi legali di lavoro, a fronte di una fortissima crescita della produttività e di tanto tempo perso inutilmente nelle aziende che potrebbe essere restituito alle famiglie, alla società, alla vita.
I "Lavori Inutili", che prosperano e proliferano nelle moderne imprese, non solo quelle grandi ma nella rete di sostegno delle medie e piccole, dalla consulenza alla comunicazione, ecc. ..., ecc. ..., poi così inutili non sono: perché il lavoro, aldilà del reddito, dà ancora senso e cittadinanza nella società odierna, e i costi della perdita di senso e di cittadinanza, i costi umani, sociali, economici, dell’esclusione dal mondo del lavoro sarebbero decisamente superiori delle risorse assorbite dai lavori inutili.
Nella conclusione del breve saggio Manghi prende le distanze dagli apocalittici sulla fine del lavoro che: "proclamano la fine del lavoro, il trionfo della precarietà, l’acuirsi della disuguaglianza, l’incapacità dei più a tenere il passo delle tecnologie" e dagli integrati che: "iperottimisti officiano in tutti i meeting dei businessmen più o meno autentici da Davos a Cernobbio e in giù, i cantori dell’autoimprenditorialità, della flessibilità felice, della nuova economia, del telelavoro universale".
Manghi dice: "tutte queste posizioni hanno argomenti a disposizione, ma in realtà la loro affermazione comune "tutto cambia nel lavoro" non muove tanto da una rassegna meditata dei fenomeni, bensì mira ad una sorta di predicazione politica, di sollecitazione dei sentimenti poco propizia a quanti sono impegnati nell’opera di promozione e tutela del lavoro stesso.
Come sempre i cambiamenti sono valutabili se messi in relazione con quanto non cambia o cambia con ritmi assai lenti, se si sanno osservare anche le innovazioni che si esauriscono, il va e vieni dei fenomeni...
E’ bastato un anno di difficoltà a placare le esaltazioni sulla nuova economia. Il telelavoro è ben altro dagli 11 milioni di esseri umani che possono lavorare a casa propria, la remotizzazione ha invece moltiplicato i Call Center o si è adattata a lavori individuali che già si svolgevano lontano dagli uffici e dalle fabbriche.
La flessibilità, fatta salva una minoranza di soggetti dotati e ben collocati, non ha appannato in nessun luogo del mondo l’aspirazione alla sicurezza o quanto meno alla prevedibilità.
La crescita indubbia ed interessante della net-economy va di pari passo con la crescita impressionante dei lavori dal volto antico (trasportare, pulire, sorvegliare, educare, assistere, intrattenere, fare manutenzione della città e dell’ambiente). Molti tra questi sono lavori "poveri" anche se del tutto regolari.
L’estendersi dei lavori individuali e autonomi è peraltro una novità molto relativa nella tradizione italiana (abbiamo sempre avuto più artigiani e piccoli commercianti n.d.r.) e non toglie il fatto che il lavoro dipendente si conferma il raggruppamento prevalente, anche se non in termini assoluti.
... Certo continua il declino del lavoro manifatturiero nelle nazioni benestanti ma esso continua ad essere un motore della ricchezza irrinunciabile... nell’occidente benestante il lavoro si è fatto più decente e un po’ meno stabile anche se l’instabilità era ben conosciuta a più della metà dei lavoratori.
Per Manghi il lavoro dipendente continua e continuerà ancora ad essere fonte centrale di reddito e, soprattutto, di identità per milioni di uomini, ad essere luogo di conflitti e di accordi, sembra l’acqua calda ma è acqua calda che spegne tanti facili nuovismi e luoghi comuni che si leggono troppo spesso.
Scheda Libro Titolo: Lavori Inutili Autore: Bruno Manghi Editore: Rubbettino Prezzo: 5 euro
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